A Room of One's Own

Biodiversità


Capita a volte che per qualche  associazione mentale quell’orto che per tanti anni é stato parte integrante di quella che era la mia casa mi torni in mente. Come qualche settimana fa quando acquistando frutta al supermercato, prima ancora di vederla nelle scatole di plastica allineate sullo scaffale, l'ho riconosciuta dal profumo inconfondibile che mi è arrivato alle narici  e che mi ha riportato immediatamente indietro di almeno dieci anni, richiamando alla memoria la vite che cresceva lungo due  lati dell’orto, formando un ampio pergolato da cui pendevano i grappoli il cui profumo saturava l’aria quando erano maturi. Era una varietà di uva che mio papà chiamava ‘americana’ diversa da quella che trovo abitualmente ora in commercio, gli acini tondi, piccoli e profumati,  e la buccia che si staccava dalla polpa. Nell’orto della casa di mia nonna invece ce n’era una varietà ancora diversa, dagli acini piccolissimi e asprigni, mio papà la chiamava ‘ua usilina’, e non l’ho più vista da quando quell’orto è stato soppresso. Ora mi è tornata in mente, leggendo un articolo su una rivista in cui si parla del lavoro di una associazione che si occupa del salvataggio di alberi da frutto in estinzione. La fotografia sulla pagina iniziale dell’articolo, un ramo di fico con un frutto verde che si protende sullo sfondo del frutteto, mi riporta  alla bella pianta che c’era nel cortile di mia zia, e alle scorpacciate che facevamo quando i frutti erano maturi, prendendoli direttamente dai rami, ancora tiepidi del sole che li aveva maturati. Anche quell’albero ora è stato tagliato, e i fichi ormai non li mangio più, perché quelli del supermercato, freddi di frigorifero, non riesco a farmeli piacere, dopo aver mangiato quelli di quella pianta.