A Room of One's Own

Il Dalai Lama


Le cronache dei mesi scorsi ci hanno abituato a vedere monaci vestiti di rosso sfilare per le strade della Birmania e  sfidare la violenza della repressione per sostenere rivendicazioni molto ‘laiche’, addirittura di carattere economico, in nome di una popolazione che da decenni è priva della possibilità di esprimere liberamente le proprie aspirazioni. E immancabilmente nella mia immaginazione  la figura del Dalai Lama, il suo viso dal sorriso mite, i grandi occhiali, la testa rasata, si identificava nelle file di monaci che sfilavano pacificamente per le vie delle città birmane. Nella mia ignoranza, fino a qualche giorno fa credevo che  il Dalai Lama fosse il capo spirituale di quei monaci che osavano sfidare il potere delle armi, una specie di Papa Buddista, a dimostrazione  di quanto siamo condizionati dalla nostra esperienza nel percepire la realtà  in cui ci imbattiamo. Già, perché il Dalai Lama non ha nessuna relazione gerarchica con i monaci Birmani, egli è si un maestro spirituale per i seguaci della sua dottrina, ma la sua sfera di influenza è circoscritta al Tibet, dal quale vive in esilio da quando era poco più che bambino. La sua è una religione senza Dio, poiché il Budda non è una divinità, e come ha  tenuto a sottolineare l’ambasciatore cinese in occasione della visita in questi giorni dell’anziano monaco in Italia, la sua autorità non è paragonabile al papa dei cristiani. E tuttavia, nonostante l’opposizione indispettita della Cina, il Dalai Lama conduce tenacemente la sua battaglia,  spendendo la sua autorevolezza e la sua fama a favore di una causa, il riconoscimento delle autonomie del Tibet pur all’interno di uno stato Cinese,che di religioso non ha nulla. Per lui, come per i monaci della Birmania, la vita spirituale non è disgiunta dalla vita civile. Con buona pace del governo Cinese, che di questa spina nel fianco, una volta di più, non ha potuto liberarsi.