A Room of One's Own

Libertà di amare?


Come ti sono gratodi questa libertà,la libertà di amartisenza essere obbligato...Così cantava Modugno e i versi di  quella  canzone mi tornano in mente,  riflettendo su quanto mi è stato scritto nei commenti al post precedente. Ammetto che da adolescente e anche per parecchio tempo dopo che   l’adolescenza era passata,  quella descritta nella canzone è stata pressapoco anche la mia posizione, anche se, per essere sincera fino in fondo e  per dirla proprio tutta, credo che il motivo reale che mi portava a sostenere che il matrimonio fosse una inutile sovrastruttura di un rapporto che doveva essere dettato solo dal sentimento fosse in realtà la paura e che una parte di me  fosse  determinata a  mantenersi aperta una ‘via di fuga’, nel caso che le cose non fossero andate per il verso giusto. C’è voluto un po’ perché  mi accorgessi che in una società in cui ormai il divorzio è una realtà acquisita, a tenere  legate le persone non sono i contratti o le cerimonie celebrate, ma gli innumerevoli lacci e laccioli, tanto emotivi quanto economici, che la convivenza  stabilisce un giorno dopo l’altro: relazioni sociali, rapporti di lavoro, impegni economici assunti,  non ultimo l’affidamento che si offre all’altra persona e che dall’altro si riceve. Tutto questo è ciò che , quando le cose ‘vanno storte’ frena dal mandare tutto all’aria. E un po’ alla volta mi sono convinta che   il matrimonio sia dal punto di vista religioso e  per chi ci crede, un impegno che si prende con la propria coscienza, mentre dal punto di vista civile è solo un contratto che permette ai terzi di considerare la coppia come una unità, e che nei rapporti interpersonali tra i due coniugi è del tutto ininfluente quando c’è l’amore, ma diventa molto utile quando l’amore non c’è più e si tratta di recidere tutti quei ‘legami’ che la convivenza ha creato. Con tutto questo però credo che ciascuno possa liberamente scegliere la soluzione che ritiene più opportuna per sé stesso, finché le conseguenze delle scelte operate  ricadono su chi le scelte ha compiuto.  Ma nel caso in cui dall’unione nascano dei figli, queste scelte dei genitori hanno ricadute inevitabili anche sui bambini, anche quando, e credo che sia la norma, il bambino è riconosciuto da entrambi i genitori. Esiste un solo motivo plausibile perché un bambino figlio di genitori non sposati tra di loro riceva una considerazione diversa da uno che invece è nato nell’ambito del matrimonio?  E non necessariamente la discriminazione che si attua è a sfavore del figlio cosiddetto ‘naturale’: nel caso degli assegni familiari, ad esempio, il genitore non sposato, anche se convive con l’altro genitore, è considerato come ‘single’ e ha diritto ad assegni più elevati. Ma esiste un solo motivo logico che giustifichi queste discriminazioni? Io francamente non lo vedo. clic