A Room of One's Own

Natasha e le altre


“L‘ultima che hanno confermato a tempo indeterminato, ha pensato bene di mettersi in maternità dopo due mesi, quella s…...”. La ragazza non si trattiene dall’affibbiare un epiteto poco gentile alla collega, ‘colpevole’, con il suo comportamento, di aver precluso ad altre la stessa opportunità che ha avuto lei, di passare da contratti a progetto a tempo determinato ad un contratto stabile. Il disappunto d’altra parte è comprensibile: trent’anni, una laurea in tasca e una gavetta ormai di diversi anni alle spalle fatta di stage e contratti a progetto, l’ultimo dei quali firmato solo il mese scorso, per la durata di un anno. Il datore di lavoro è un grande gruppo editoriale, il nuovo contratto le riconosce un bell’aumento di stipendio rispetto al precedente, ma il tutto a scadenza di dodici mesi. L’episodio risale a qualche settimana fa, e mi è tornato in mente  leggendo questo articolo, riportato nelle news di Libero.  Con il mio lavoro mi capita di trovarmi a sentire entrambe le campane. Mi risuonano ancora nelle orecchie le geremiadi di una piccola imprenditrice quando la sua impiegata ha avuto in successione due maternità, entrambe con astensione anticipatata a partire dai primissimi mesi di gravidanza e senza ripresa del lavoro neanche per un giorno tra una maternità e l’altra. Il caso è meno isolato di quel che si può pensare e  non è l’unico episodio del genere in cui mi sono imbattuta.  E al termine della seconda maternità poi arrivano regolarmente le dimissioni, con la buonuscita dell’indennità sostitutiva del preavviso prevista dalla legge. Un diritto sacrosanto? Come donna  non posso che pensarlo. Ma di fronte ai costi e ai disagi che ne conseguono, le aziende grandi e piccole evitano come la peste l’assunzione di donne in una certa fascia di età, e questo è un fatto. Ma come si  esce da questa situazione? Come salvare la capra del diritto delle donne ad avere i figli che desiderano, e il cavolo del diritto a non essere discriminate nelle assunzioni? Forse qualche risultato in più si potrebbe ottenere rendendo tecnicamente ‘equivalente’ l’assunzione di un uomo e di una donna. In che modo?  Rendendo i congedi parentali usufruibili solo in parti uguali  e non,  come è oggi, lasciando  a discrezione della coppia la suddivisione dei tempi del congedo tra i due genitori: in questo modo finisce quasi sempre per essere la donna che richiede il 100% del periodo disponibile,  con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.