A Room of One's Own

Conversazione in Sicilia


Da alcuni giorni mi é tornato in mente. Sarà questa pioggia, insistente, continua, saranno le notizie che ci arrivano dai telegiornali, sempre le stesse, oggi come allora, oltre settant'anni fa.  Sono andata a cercare il libro, sapevo di averlo, dai tempi del liceo.  Diciannove maggio 1978: all'epoca mettevo la data sui libri, quando li compravo. Lo apro alla prima pagina:" […] Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo […] Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete. Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. […] Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, […] come se mai avessi avuto un'infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne… " Richiudo il libro, lo rimetto al suo posto sullo scaffale. Fuori, continua a piovere.