A Room of One's Own

A Pasqua


Quando ero piccola il giorno di Pasqua era caratterizzato da una serie di riti che gli conferivano un’atmosfera particolare, e un po’ magica.  La sera della vigilia, mia mamma non ci permetteva di accendere il televisore, perché non sarebbe riuscita a sentire quando fossero state ‘slegate’ le campane. Quell' espressione, ‘desligà le campane’, aveva un che di liberatorio, e  ce ne stavamo lì, con le orecchie tese, ad aspettare di sentirle suonare a stormo, e appena ne sentivamo il suono, mamma correva a prendere un po’ d’acqua in una scodella, e dovevamo bagnarci gli occhi, perché era acqua benedetta e ci avrebbe protetto la vista. Poi  faceva il giro della casa, e bagnando la mano nell’acqua, aspergeva ogni stanza perché non vi succedesse nulla di male per tutto l’anno a seguire. La mattina di Pasqua, poi, si mangiavano le uova. Non le uova di cioccolato, le uova sode.Quelle deposte dalle galline nella settimana santa  mia madre le contrassegnava con una  croce, per poterle riconoscere, e la mattina di Pasqua, quando noi ragazzi ci svegliavamo sul tavolo della cucina c’era già il piatto con le uova  cotte.  Le uova  venivano mangiate così, solo con un po’ di sale, per colazione, ed era consuetudine offrirle anche ad eventuali parenti che fossero arrivati in visita. Anche in seguito, quando mamma smise di allevare le galline e le uova doveva prenderle al negozio, il rito di mangiar le uova sode la mattina di Pasqua sopravvisse, e solo dopo la morte di papà, questa tradizione andò persa. Ma in qualche anfratto del mio subconscio deve aver agito la reminiscenza di quella consuetudine, se ieri al supermercato ho comperato, senza una necessità apparente, una confezione da dieci uova.           Buona Pasqua a tutti.