PensoQuelloCheDico

Prigioni


Alle otto e un quarto di un mercoledì d'agosto sto finalmente abbandonando questo posto dopo trent'anni carcerato all'Asinara che vuoi che siano poche ore in una bara. Ché in una bara in fondo non si sta poi male basta conoscersi e sapersi accontentare e in questo io, modestamente, sono sempre stato un grande perché per vivere a me non serve niente, solo... Aria... soltanto... aria. L'avevo detto: "prima o poi vi frego tutti!" quelli ridevano, pensavano scherzassi "da qui non esce mai nessuno in verticale" come se questo mi potesse scoraggiare e poi col tempo mi hanno visto consumarmi poco a poco ho perso i chili, ho perso i denti, somiglio a un topo ho rosicchiato tutti gli attimi di vita regalati e ho coltivato i miei dolcissimi progetti campati... In aria... nell'aria. E gli altri sempre a protestare, a vendicare qualche torto a me dicevano, schifati, "tu sei virtualmente morto! a te la bocca serve solamente a farti respirare" io pensavo: "e non è questo il trucco? inspirare, espirare", inspirare, espirare: questo posso fare e quando sono fortunato sento l'umido del mare io la morte la conosco, e se non mi ha battuto ancora è perché io, da una vita, vivo solo per un'ora... D'aria... un'ora d'aria. Respiro lento, aspetto il vento il mio momento arriverà... aria aria aria..."Aria", D. Silvestri Quante volte ci sentiamo prigionieri…Prigionieri dei luoghi, dei ricordi, delle situazioni, delle persone, dei doveri…Difficile spezzare le barriere che ci tengono distanti dagli altri, specie se il nostro modo di fare si consuma dietro l’abitudine…E quando si spezzano?... Eccoci respirare come quando ci si opera al naso: la prima volta che si levano i tamponi, entra così tanto ossigeno da esserne storditi….Eppure questo spezzare le barriere, non è una vera e propria rottura definitiva… ma una rottura “a tempo”… piano piano si sentono le sbarre richiudersi… insieme alla paura della vita che vaga alla ricerca di nuovi orizzonti…Ci si sente snaturati, non ci si riconosce quasi più… quello che eravamo non ci appartiene quasi più… quello che ora proviamo ad essere (e ci accorgiamo di esserne capaci) ci sembra “troppo”, sembra quasi una violenza tutto questo “benessere”…Quindi? Si torna nel nido caldo, sofferente e così conosciuto… tanto da farci amare la sofferenza, perché cosa abitudinaria, di cui non abbiamo paura… sappiamo dosare bene al suo interno, solitudine, amarezza, dolore, autocompassione, autolesionismo… tutto insieme… dosato magistralmente, quasi fossimo dottori di noi stessi, la stessa precisione asettica… in aggiunta, solo una dose di autocompiacimento…Via, via, voi altri... dal mio dolore esclusivo, privato, passionale…Gelosia di un amante verso il proprio nido così amato, così protetto…Immagine: G. B. Piranesi, Carceri d'Invenzione