Vivere per amare

.la quiete


Definizione. Da questa descrizione si può dunque conchiudere che la quiete è un'orazione soprannaturale, non intieramente passiva, che avviene nella parte superiore dell'anima e le fa sentire e gustare Dio presente in lei. È orazione soprannaturale, vale a dire infusa, e in ciò ci stacchiamo da alcuni Carmelitani che, considerandola come orazione di transizione, pensano che possa essere acquisita come l'orazione di semplicità. Ma diciamo con loro che non è intieramente passiva, perchè solo la volontà (coll'intelletto) è prigioniera, mentre la ragione e l'immaginazione restano libere di divagare. Quanto ai gusti divini e alla virtù che ne sono gli effetti, li abbiamo altrove sufficientemente spiegati n. 1439. 1442.   B) Origine e progresso della quiete. a) La quiete è ordinariamente concessa alle anime che si sono già per notevole spazio di tempo esercitate nella meditazione e che passarono per la notte dei sensi. Talora però precede quest'ultima, specialmente nei giovinetti e nelle anime innocenti che non hanno bisogno di speciale purificazione. b) A principio non è concessa che di tanto in tanto, in modo assai debole ed inconscio; dura poco, per esempio, dice S. Teresa, lo spazio di un'Ave Maria 1442-1. Poi diventa più frequente continuando di più, fino a una mezz'ora. Ma, non venendo sempre repentinamente nè scomparendo tutto d'un tratto, può, coll'alba e col crepuscolo, giungere sino a un'ora o anche più. Anzi, quando è operosa (n. 1445) e accompagnata da ebbrezza spirituale, può durare uno o due giorni senza per altro impedire di attendere alle occupazioni ordinarie. c) La quiete saporosa può alternarsi colla quiete arida, finchè non sia compiuta la purificazione dell'anima. d) Viene poi il tempo in cui la quiete diviene abituale e allora ordinariamente vi si entra appena uno si mette in preghiera; anzi alcune volte coglie l'anima all'improvviso persino nelle occupazioni più volgari. Tende pure a farsi sempre più forte e più consapevole, e, se l'anima corrisponde alla grazia, finisce nell'unione piena e nell'estasi. Che se è infedele, l'anima può decadere e tornare all'orazione discorsiva o anche perdere la grazia. 1443.   C) Forme o varietà della quiete. Se ne distingono tre principali: la quiete silenziosa, la orante, la operosa 1443-1. a) Nella quiete silenziosa l'anima contempla Dio in un silenzio pieno d'amore, perchè l'ammirazione soffoca, a così dire, ogni parola; la volontà, immersa in Dio, infiammata d'amore, deliziosamente riposa in lui in calma, tranquilla, saporosa unione. L'anima, come madre che divora cogli occhi il suo bambino, contempla ed ama Dio. "Sta, dice S. Teresa 1443-2, come un bambino ancor lattante, quando sta in seno alla madre e la madre, senza che egli poppi, gli stilla per affetto il latte in bocca". Così qui la volontà beve all'amore senza sforzo della mente. 1444.   b) Talora l'anima, non potendo più contener l'amore, si sfoga in ardente preghiera: è la quiete orante: ora si effonde in dolci colloqui; ora s'abbandona ad impeti di tenerezza e invita tutte le creature a lodar Dio: "dice mille sante stranezze, mirando sempre a piacere a Colui che la tiene così" 1444-1. S. Teresa faceva allora poesie a descrivere il suo amore e il suo tormento. E Dio risponde qualche volta a questi slanci d'amore con affettuose carezze che producono una specie di ebbrezza spirituale, "la quale, secondo S. Francesco di Sales, ci aliena non dai sensi spirituali ma da quelli corporali, non ci inebetisce nè ci abbrutisce ma ci rende creature angeliche... e ci divinizza... e ci fa uscire fuori di noi per innalzarci sopra di noi" 1444-2. 1445.   c) Vi sono casi in cui la quiete diviene operosa. Quando, dice S. Teresa 1445-1, la quiete è profonda e di lunga durata, essendo incatenata la sola volontà, le altre facoltà rimangono libere di occuparsi nel servizio di Dio, e lo fanno con molto maggiore operosità; allora, pur attendendo ad opere esterne, l'anima non cessa d'amare ardentemente Dio; si ha quindi l'unione di Marta e di Maria, dell'azione e della contemplazione. 3° IL SONNO DELLE POTENZE. 1446.   Questa terza fase della quiete è forma più alta e prepara l'unione piena delle facoltà interne. S. Teresa la descrive nel capo XVII° della Vita 1446-1: "Vi è un'altra maniera di unione... Accade spesso in questa maniera di unione che intendo dire (e in particolare a me) che Dio s'impossessa della volontà ed anche, io credo, dell'intelletto, perchè non discorre ma sta occupato in goder Dio, come chi sta guardando fissamente e tante cose gli si presentano da vedere che non sa dove fissar lo sguardo e non può render conto di nessuna. La memoria però rimane libera e dev'essere insieme colla immaginazione. Vedendosi sola, è cosa da stupire la guerra che fa questa potenza e come procura di turbare ogni cosa. Questo a me reca grande affanno e l'abborisco e spesso prego il Signore che me la tolga... Pare una di quelle farfalle notturne, importune e inquiete; così va ella da un capo all'altro. Mi pare che il paragone calzi egregiamente, perchè, quantunque non abbia forza di fare alcun male, tuttavia importuna e infastidisce quelli che la vedono"... Quanto ai mezzi di trionfare di tali scorribande, ne indica uno solo: "non far più caso della memoria o fantasia che si faccia d'un pazzo, lasciandola con la sua pazzia, perchè Dio solo glie la può levare". -- Come si vede, si tratta di un'orazione di quiete in cui l'intelletto stesso è afferrato da Dio, ma dove la fantasia e la memoria continuano a divagare. È preparazione all'unione piena. CONDOTTA DA TENERE NELL'ORAZIONE DI QUIETE. 1447.   La disposizione generale da coltivare in questo stato è quella di umile abbandono nelle mani di Dio in tutte le fasi di questa orazione dagli inizi sino al suo compimento. a) Onde non bisogna fare sforzi per mettersi da sè in questo stato, cercando di sospendere le facoltà e perfino il respiro: sarebbe fatica sprecata, perchè Dio solo può darci la contemplazione. b) Appena si sente l'azione divina, bisogna adattarvisi più perfettamente che sia possibile, cessando di ragionare e docilmente seguendo il moto della grazia: 1) Se siamo chiamati all'affettuoso silenzio, guardiamo e amiamo senza dir nulla, o tutt'al più diciamo di tanto in tanto qualche tenera parola per ravvivare la fiamma dell'amore, ma senza sforzi violenti che potrebbero spegnerla. 2) Se siamo inclinati a fare atti, se gli affetti sgorgano spontaneamente, preghiamo adagio adagio, senza strepito di parole, ma con gran desiderio d'essere esauditi. "Alcune pagliuzze poste con umiltà... saranno qui più opportune e serviranno meglio ad accendere il fuoco che non molte legna insieme di ragionamenti molto dotti a parer nostro, e che potrebbero in un attimo spegnere quella scintilla" 1447-1. Bisogna soprattutto, aggiunge S. Francesco di Sales 1447-2, evitare gli slanci violenti e indiscreti che spossano il cuore e i nervi, e quelle riflessioni sopra se stessi con cui uno si affanna a sapere se la tranquillità di cui gode è veramente tranquilla. 3) Se la mente è l'immaginazione divagano, non occorre inquietarsi nè inseguirle; la volontà "rimanga a godersi il favore che le è concesso come un'ape sapiente in fondo all'alveolo. Se in cambio di entrare nell'alveare, le api si corressero tutte in cerca le une delle altre, come si potrebbe fare il miele?" § II. Orazione di unione piena. 1448.   Quest'orazione che corrisponde alla quinta mansione, viene detta unione semplice o unione piena delle facoltà interne, perchè l'anima è unita a Dio non solo con la volontà ma anche con tutte le facoltà interne, onde è più perfetta dell'orazione di quiete. Ne descriveremo: 1