La Loggia di NEO-GEO

Anatomia di un Fallito. parte I


Mi trovavo in treno con un pugno di mosche che mi ronzavano per il cervello. Il pugno di mosche era anche quello che mi era rimasto in mano dalla sera prima. Il solito vuoto con cui attendo di riempire una vita che non ha inchiostro per scrivere. Sul treno i posti erano tutti occupati, non era l’ora di punta, ma quel treno è sempre pieno di gente a qualsiasi ora della giornata. Di fianco a me un grosso uomo leggeva la Repubblica. Ogni tanto buttavo l’occhio per leggere qualche titolo, come si fa quando butti l’orecchio per sentire qualche conversazione nei posti vicini al tuo. Lo faccio sempre anche se so che quando tornerò a casa troverò sicuramente lo stesso giornale da leggere, infatti trovo molto più interessante leggere di sfuggita i titoli di altri giornali che non siano quello. In ogni caso, leggere di sfuggita i titoli dal giornale di un’altra persona, ha sempre qualcosa di comico, o comunque qualcosa di avventuroso, insomma, dà una certa soddisfazione. L’uomo grosso era seduto alla mia sinistra, alla destra avevo il corridoio. L’uomo era stato l’ultimo passeggero a sedersi in quei quattro posti e quando era arrivato mi aveva chiesto se il posto accanto a me era libero. Io avevo risposto con la mia solita combinazione di annuimento, occhi sgranati e un “si” a voce bassissima. Quello in tutta risposta si era preso il posto montandomi sui piedi, con una certa prepotenza innata e istintiva che mi aveva dato fastidio. Poco male, mi sarei rifatto scroccandogli i titoli. Il primo passeggero a sedersi in quel nucleo era un ragazzo con gli occhiali e un apple sulle ginocchia. Un tipo stiloso, ben vestito. Ogni tanto prendeva con la mano il bordo dello schermo e farfugliava qualcosa a voce bassissima, come se stesse ripetendo quello che era scritto sul suo computer. Io non ho mai voluto un computer portatile. Non saprei che farmene. Forse perché non viaggio poi molto e la maggior parte del tempo la passo a casa, quindi il computer fisso è sempre una scelta ottimale. Studiare su un computer è una cosa che non sono mai riuscito a fare. Sottolineare per me è di un’importanza stratosferica, sia perché sottolineare aiuta a memorizzare, sia perché ho bisogno di compiere un gesto fisico mentre leggo, come se con quel gesto potessi fare mio ciò che leggo. Io ero stato il secondo passeggero a sedersi, e il terzo era una ragazza che si era messa proprio nel posto di fronte al mio. Non era vestita male. Aveva i capelli castani lunghi fino alla base del collo. Gli unici difetti apparenti erano un viso eccessivamente allungato, e un occhio un po’ strabico che guardava il suo compagno con fare interrogativo. Ogni tanto notavo che mi gettava un’occhiata, ma non so mai dire quanto veramente io possa interessare alle ragazze che incrocio sui treni oppure per strada. Magari alle volte mi illudo un po’ troppo e allora faccio finta di niente. Anche perché non saprei proprio come farmi avanti per verificare il tutto. In ogni caso questa volta non mi interessava più di tanto, non tanto per l’aspetto fisico, ma per l’impressione strana che mi faceva il suo modo di fare. Dopo una fugace colazione con una pasta salata, e dopo qualche minuto di occhiate, si era bellamente addormentata sul sedile. Non era certo questo il fatto che mi dava fastidio, ma forse era di più quell’aria un po’ troppo insicura. Strano, io che di insicurezza ne dovrei capire un po’… Qualche posto più in la notai una ragazza di capelli lunghi e ricci, con un paio di occhiali da vista dalla montatura grossa e rettangolare. Non amo particolarmente quel tipo di occhiali, perché fanno sempre un po’ “maschera" e fanno i volti tutti uguali, gli trovo molto anonimi. Comunque, ogni tanto buttavo l’occhio su di lei, mosso dalla semplice curiosità, ma gli occhiali mascheravano sempre il suo sguardo. Di conseguenza il mio occhio tendeva sempre a cadere su una signora che era a sedere più vicino. Una bella signora che sfogliava un giornale (i titoli erano troppo piccoli per leggerli). Era mora, capelli lunghi, sul volto un paio di rughe, non certo un tipo che poteva interessarmi più di tanto. Era vestita in un completo nero, stile gessato, e ai piedi aveva un paio di stivali di pelle nera. La cosa strana su quegli stivali la notai quando arrivammo a destinazione e tutti si alzarono. Quegli stivali avevano gli speroni. Mi chiedevo per quale ragione, una donna d'affari (come presumevo che lei fosse) avesse scelto un paio di stivali con un attrezzo simile. Era qualcosa di fuori posto, ma forse era un modo per dimostrare un certa personalità. Forse una personalità forte probabilmente. Ma tutto questo lo notavo solo per distrarmi dal pugno di mosche. Mosche che mi hanno accompagnato fino ad adesso che scrivo. Tentando di scacciare il loro rumore dalla mia testa mi cadde l’occhio su quello che avevo in grembo…