Creato da alias1973 il 29/09/2006

L' ATTIMO FUGGENTE

"I WENT INTO THE WOODS BECAUSE I WANTED TO LIVE DELIBERATELY. I WANTED TO LIVE DEEP AND SUCK OUT ALL THE MARROW OF LIFE, TO PUT TO ROUT ALL THAT WAS NOT LIFE; AND NOT, WHEN I CAME TO DIE, DISCOVER THAT I HAD NOT LIVED " - "BOYS, YOU MUST STRIVE TO FIND YOUR OWN VOICE, BECAUSE THE LONGER YOU WAIT TO BEGIN, THE LESS LIKELY YOU ARE TO FIND IT AT ALL. THOREAU SAID: <MOST MEN LEAD LIVES OF QUIET DESPERATION>. DON'T BE RESIGNED TO THAT. BREAK OUT!". (DEAD POETS SOCIETY - 1989)

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Post n°126 pubblicato il 22 Febbraio 2009 da alias1973
 


A T T E N T I   A L   L U P O

Dopo tanto piovere il cielo sembra finalmente essersi placato. Non so invero quanto durerà, eppure alba e tramonto in questi giorni di fine Febbraio ci stanno di volta in volta deliziando con colorate trasparenze e accesi contrasti. L’altra mattina il mio orizzonte era una tiara ornata di montagne innevate splendenti più dei diamanti; la sera un bracciale di rubini ad infuocare il paesaggio collinare.     

La Natura sembra proprio voler prendere attiva parte alle celebrazioni dell’umano Carnevale e per far ciò ha per tempo smesso le poco idonee vesti bigie degli ultimi mesi per accendersi dei suoi tessuti più appariscenti e sgargianti.

Da domenica scorsa in città le strade del centro storico testimoniano le ondate di festeggiamenti che in giorni ed ore alterni, si susseguono per la gioia dei tanti. Come un giardino a lungo esposto alla pioggia e poi finalmente ammesso al godimento dell’atteso sole, gli austeri sanpietrini padovani sono tutto un fiorire di coriandoli, minuscoli come capocchie di spillo o grossi come francobolli. Lucidi, opachi, a stella: li guardo coagularsi al centro delle strade e al limitare dei marciapiedi, a fare i finti morti finchè un’auto di passaggio non passa loro sopra e per quel risucchio, repentino, tornano alla vita. Così prima s’appiattiscono e si rincorrono strisciando, poi saltano su percorrendo aeree traiettorie da galleria del vento inseguendo ogni santo veicolo in un frusciante sciame di puntini colorati.

Sono tutte macchine degli sposi!!!!!!

L’altro giorno camminavamo chiacchierando forte all’ombra del Pedrocchi: i leoni di pietra grigi dall’aria benevolmente impassibile sono presi d’assalto dai bimbi, per l’occasione infilati in caldi costumi di peluche. Piccoli tigrotti umani issati dai papà sulle lisce groppe di granito che sorridono ad un mondo per loro ancora perfetto, scevro da qualsivoglia pericolo o preoccupazione.

E viva Dio, ci mancherebbe fosse altrimenti, e voglia anzi il cielo che così sia il più a lungo possibile…..

Ma è anche tempo di lauree.

Come tradizione precetta, in piedi sulle panchine di marmo di fronte al Bo, novelli Dottori in improbabili sandali di nastro adesivo, abiti confezionati con i materiali più assurdi e un’accozzaglia di accessori tra i più stravaganti, reggono e declamano a gran voce il loro papiro: approfittando dello scherzoso rito carnascialesco e in luogo alla proverbiale farina, gli amici al seguito rovesciano sulle capocce dei festeggiati bombolette di schiuma colorata e stelle filanti. Il risultato è il gigantesco imbrattamento generale dell’allegra combriccola che infine decide di dare inizio al classico giro, neo-laureato infilato nel solito carrello della spesa e le ugole sonanti dell’esilarante corteo ad intonare tra portici e piazze il motivetto d’ordinanza ben noto a tutti i Padovani ;D

E’ Carnevale, dunque!

Le stelle filanti s’allacciano alla base delle colonne e come viticchi le adornano, mentre tra Pagliacci, Arlecchini, Fatine e Principesse, Principi e Supereoi c’è anche chi si traveste da mostro, o da animale feroce, divertendosi, finchè la festa lo consente, a far scherzi spaventosi agli amichetti. …


Ma attenti al lupo.....c
he  le belve, quelle vere, sono tra noi.

E non smetteranno la loro maschera orribile al suonar di Pentecoste..

Guardate: via Anelli è uno zoo dalle gabbie sventrate, le bestie sono scappate e leste nella loro fuga,in tutto  simile ad una pestilenza, si sono sparpagliate ovunque. Dapprima spaesate, hanno poi fatto in fretta a trovarsi nuove tane, più accoglienti e opportune di prima. Si nascondono nei bassifondi dove trovano l’ombra a coprire le indecenze di cui vivono ma, subdole, s’insinuano anche un  piano sotto agli attici di lusso. Si sono mescolati al tran-tran grigiastro delle periferie così come allo struscio domenicale dei borghesi e al passeggio della Padova bene, hanno iniziato a frequentare piccoli bar defilati ma onesti scalzandone la normale clientela e diventandone i soli avventori.
Come il lupo che perde il pelo, hanno saputo far la muta: quasi invisibili, nell’aspetto più curati, come persone di prim’acchito normali si intrufolano nel gregge e colpiscono della moltitudine i meno accorti.

I mostri si sentono più forti, hanno alzato testa e tiro e se la psicosi non è affatto una buona consigliera, prudenza vuole perlomeno si acquisiscano forme comportamentali di accortezza impensate ed inusuali fino a poco tempo fa.


Pieno giorno, sabato mattina di giallazzurra lucentezza e umanità già in pieno fermento. Mezza giornata di shopping in sana solitudine, che pure questo ci vuole! Passeggio sotto ai portici. E li incrocio. Tengo lo sguardo basso, o diretto altrove, faccio come quando vedo avvicinarmisi un cane pericoloso e cerco d’evitare i suoi occhi. Per non provocare.

La distanza fisica tra le persone nel quotidiano rapportarsi con gli altri è regolata da leggi inconsce. Gli spazi relazionali sono aree delimitate dove l’accesso viene consentito in base al tipo di rapporto che si è instaurato con la controparte. Molti hanno la cattiva abitudine di entrare nella zona intima delle persone con cui per esempio conversano attraverso contatti fisici più o meno lievi come una pacca sulla spalla, piccole spinte. Altre, semplicemente, si avvicinano troppo pur essendo appena stati presentati.
Personalmente reagisco a questa sorta di comunicazione invasiva facendo un passo indietro o comunque ristabilendo la soglia di distanza entro la quale non provo disagio.

Stessa cosa per lo sguardo.

Non che non si possa, per carità. Ma “fissare” una persona, e farlo insistentemente e con poca delicatezza, non è buona cosa. Concesso solamente in caso di schermaglie amorose in corso: e comunque trattasi di occhiate fugaci, eloquenti più per il loro “come” che il loro “quanto”.

Ma sotto ai portici o al sole delle piazze, loro sembrano essere all’oscuro di questi significati.

Ti si avvicinano fin’anche a provare a trattenerti per il braccio. Più spesso ti inchiodano quegli occhi addosso con una  tale ferma sfrontatezza che a passar oltre non provi neppure sollievo, tanto sulla schiena ancora ti sembrano fissi, come puntatori laser.

Perché devo subire tutto questo? Perché, ogni qual volta mi vada di farmi una serata in auto per conto mio e raggiungere degli amici in centro storico, non potendo infiltrarmi oltre i limiti della ZTL e dovendomi dunque sciroppare della strada a piedi, devo esser costretta a munirmi di accompagnatori, tassisti, body guards? Perché - chiaramente - ogni volta non lo faccio e finisco col dover tremare ad ogni angolo, a guardarmi attorno come una ladra, a maledire le mie smanie di indipendenza, a pensare erano meglio le scarpette da tennis (che non ho) e ad immaginarmi quando dovrò togliermi il tacco 12 per correre a perdifiato nella prima direzione che trovo pur di cercare d’aver salva la vita?

Una situazione evidentemente precipitata quest’anno, la mia città che diventa trincea anziché luogo amico e familiare. Nonostante il pur vistoso dispiegamento di forza pubblica, in barba a più o meno autorizzate ronde e rondinelle, non passa giorno che il giornale locale non  riporti di ragazze molestate, violentate, spaventate, di anziane scippate e scaraventate a terra, di placide coppiette aggredite, derubate e picchiate alle 22:00 in mezzo ai locali ancora aperti (neppure un uomo a fianco ti serve più). Ma cosa diavolo succede?

Succede che non siamo più padroni a casa nostra.

Succede che ci sono troppa violenza e cattiveria.

Succede che è tra noi chi non conosce (più) i valori del rispetto e della libertà.

Succede che stasera non voglio guardarmi le spalle.

Succede che stasera me ne resto a casa.
(E succede che è una sconfitta, e non mi va bene).


(poco tempo fa, perlomeno, si era "solo" questo...)

 
 
 

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Post n°125 pubblicato il 14 Febbraio 2009 da alias1973
 

 
 
 

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Post n°124 pubblicato il 07 Febbraio 2009 da alias1973
 

"  G L I   I M P E R M E A B I L I  "
(1984 - P.Conte, Ed. Sugarmusic/L'alternativa)


Mocambo...
serrande abbassate
pioggia sulle insegne delle notti andate
... devo pensarci su ... pensarci su...
ma dipenderà ... dipenderà...
... quale storia tu vuoi che io racconti?...
... ah!... non so dir di no, no, no ... no ...no...

... e ricomincerà...
come da un rendez-vous...
parlando piano tra noi due...

Scendo giù a prendermi un caffè...
... scusami un attimo...
passa una mano qui, così,
sopra i miei lividi...
... ma come piove bene sugl'impermeabili

(...e non sull'anima)

 
 
 

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Post n°123 pubblicato il 30 Gennaio 2009 da alias1973
 

"A L LO R A    V O R R E I    E S S E R   S O L O,
S O L O   M A   C O N    Q U A L C U N O"


In questa frase c'inciampo.
La leggo, realizzo, me ne infatuo.
Mi c'infilo a tutte dita come in un guanto magico, mi ci rigiro come un maiale nella mota.
Che non è farina del mio sacco  ma che solo altrui, è stata giusto per un incidente dovuto ad avariate circostanze.
Ma è come se lo fosse, se prendiamo come un dato di fatto il suo urlarmi da mesi, incastrata fra le fughe di questi tasti, ad alternanza pizzicata e schiacciata come un grumo di sporco in attesa di rimozione.

Colpa della nefasta combinazione dei rigori invernali e il colore dei miei orecchini, assurge dunque al rango di assolutamente chiaro e veritiero l'assunto per cui: 
"uno è troppo e nessuno troppo poco".

Cosa succede entro breve a dell'acqua fredda posta in una pignatta sopra al fuoco?

Bella RI-scoperta ;D

 
 
 

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Post n°122 pubblicato il 25 Gennaio 2009 da alias1973
 

G R A Z I E

O R A   P O S S I A M O   R I P A R T I R E

 
 
 
 
 
 
 

L' ALILETTURA DEL MESE....

"TROPICO DEL CANCRO" - Henry Miller

 

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