loredanafina

Dal libro: "MOS ME"LE Non lasciarmi" di Caterina Camarda - Ed. Coloremore - PRIMA PUBBLICAZIONE


Pag. 5 IL SIGNOR NESSUNOLa sveglia suonava presto al mattino, alle sette e cinque la prima volta, allora lui allungava un braccio e lei smetteva di suonare, poi suonava ancora, alle sette e tredici e lui allungava il braccio e di nuovo la faceva tacere. Alle sette e ventuno suonava per la terza volta e la scena si ripeteva, fino alle sette e ventinove, fino a quando, cioè, si sentiva il suono di un'altra sveglia arrivare dal bagno, allora bisognava proprio alzarsi per spegnerla. Tornato a piedi nudi dal bagno, si infilava le ciabatte, prendeva camicia e pantaloni dal servo muto e usciva piano per non svegliare la moglie. " Ciao....." gli diceva ogni volta lei in un fil di voce, ben sveglia fin dal primo trillo.Un grugnito era sempre la risposta, mentre chiudeva dietro di sè l aporta della camera.Il signor Nessuno era fatto così, la mattina era intrattabile, aveva la carburazione lenta.Il signor Nessuno era un uomo sui quarant'anni, piuttosto bassino e tarchiatello, la barba del giorno prima, i capelli corti e spettinati, gli occhi scuri, sicuramente originario del sud. Tutte le mattine si lavava e si vestiva con calma, faceva colazione con calma e si recava alla bottega per le nove, con calma, apriva la saracinesca lentamente, portava dentro la vecchia bicicletta piena di ruggine e l'appoggiava al muro sul retro."Si, papà..." diceva poi ogni volta, "stai tranquillo, ti ho già detto che presto la rivernicerò".Senza guardarlo, si rivolgeva così a un portaritratti appoggiato su una specie di altarino, in alto di fianco alla porta, con la foto ovale in bianco e nero del viso dell'uomo dai lunghi baffi a punta e i capelli tutti tirati indietro. Poi tornava sul davanti, s'infilava il camice color cioccolato al latte, accendeva una grossa radio antidiluviana, muoveva avanti e indietro una manopola per captare bene il segnale, inforcava un paio di occhiali dalla grossa montatura nera e, fatto un bel respiro, prendeva il primo paio di scarpe e si metteva al lavoro. "Buongiorno..."Un tizio che era appoggiato al bancone si girò."Buongiorno, signò!" disse...con un sorriso da marpione.Il ciabattino sollevò lo sguardo dalla scarpa, vidi che reggeva dei chiodini con le labbra e restò lì fermo, in attesa. Ebbi un attimo di esitazione, mi aspettavo un buongiorno, mi dica pure o quantomeno un Si?, ma nessun suono uscì dalla sua bocca."Avrei bisogno di sistemare la suola di questo scarpone" dissi allora aprendo un sacchetto di plastica della spesa.Lui tolse gli occhiali, chiuse le stanghette e li infilò nel taschino del camice, si alzò dallo sgabello, prese lo scarpone e ne osservò per bene tutte le cuciture, l'interno e l'esterno, poi passò alla para in gomma provando a rimetterla su."Mhmmm...." bofonchò, "L'altro scarpone?" disse infine trattenendo a stento quattro chiodini sul bordo delle labbra."Mah, pare che stia ancora tenendo..." dissi, abbozzando mezzo sorriso."Eh..." fece lui, "so' cinesi, costano poco e durano pure meno" e si rigirò ancora lo scarpone tra le mani come fosse fatto di pelle putrida .Decisamente era del sud, anche se non riuscivo a individuarne la regione con certezza. In genere quando non riuscivo a riconoscere le origini, era perchè l'accento era troppo simile al mio."Beh, sì... ma i ragazzi crescono così in fretta...." tentai di giustificarmi, " e poi non hanno cura di niente..." sorrisi ancora imbarazzata.Lui non si scompose, mentre il tizio aveva continuato a guardarmi per tutto il tempo scuotendo il capo come per darmi ragione."Domani pomeriggio" disse all'improvviso mentre io mi chiedevo perchè mai mi trovassi lì."Bene..." dissi timidamente, "allora si può sistemare...""Eh, finchè tiene! Ma vedrai che presto mi porterai pure l'altro!"Posò lo scarpone sul banco, inforcò gli occhiali, si sedette allo sgabello e, preso un chiodino dalla bocca, ricominciò a inchiodare. Sorrisi tra l'imbarazzato e l'interdetto, probabilmente il nostro colloquio era finito, quindi feci per andarmene."Signò!" il tizio mi chiamò, "Lo sapete come si chiama quest'uomo?" mi aveva presa in simpatia.Mi bloccai pensando che, come al solito, avevo beccato quello che ha bisogno di parlare, per certa gente avevo una specie di calamita."Desiderio"."Ah..." dissi senza scompormi e mi mossi verso la porta."Desiderio..." ripetè lui, "Nessun Desiderio".Lo guardai come si guarda un idiota."Certo, è un nome originale..." e allungai la mano verso lam maniglia."Bisogna stare attenti a quello che si chiede" mi bloccò il braccio con la mano e si avvicinò con fare confidenziale, "certe volte i desideri si avverano...." quindi si allontanò di scatto e si sedette allo sgabello di fianco all'entrata.Lo fissai senza capire in attesa di una spiegazione, ma il tizio tacque del tutto e si appoggiò alla parete ficcandosi in bocca un ciupa-ciups dopo aver buttato indietro un ciuffo di capelli col movimento del capo.Nel fare questo, un piccolo orecchino all'orecchio sinistro brillò ai raggi del pallido sole che filtrava dalla porta a vetri."Ehm..." balbettai con aria sperduta, "allora vado....arrivederci..." il tizio non si mosse.Guardai il ciabattino ma sembrava immerso nella sua risolatura, dunque aprii finalmente la porta e uscii.  Ero appena scesa dalla soglia che mi accorsi di aver lasciato dentro le chiavi della macchina, rientrai subito probabilmente paonazza in volto pensando alla figura della solita donnetta che lascia le chiavi in giro."Le chiavi..." dissi in un fil di voce.Il ciabattino non fece una piega mentre agguantavo le chiavi e mi giravo verso lo sgabello con aria alquanto imbarazzata. Ero mancata la frazione di un secondo, il tizio non c'era più. Mi guardai intorno smarrita, nell'aria solo l'intenso odore di solvente e la musichetta della grossa radio.Tornando a casa non feci che pensare a quel tizio."Non può essere uscito, visto che io ero sulla porta, nè può aver attraversato il locale in così poco tempo..." e aprii il cancello col telecomando, "magari era dietro il bancone, piegato a cercare qualcosa..." lasciai la macchina sul vialetto e aprii la porta, "sicuramente era dietro il bancone...."  scaricai la spesa e portai la macchina giù, "ma che tipo strano, cosa avrà mai voluto dire..." scesi dalla macchina e aprii il portone, "certo che ce n'è in giro di gente bizzarra..." conclusi andando di sopra.Era tardi, dovevo preparare il pranzo per Losto e così, tra l'acqua della pasta, il sugo e l'insalata,  mi dimenticai del tizio. La giornata si svolse come al solito, per tutto il tempo non feci altro che urlare e maledire ogni istante di quella vita malefica che mi ero andata così inconsciamente costruendo, per cui anche quella notte non mi riuscì di dormire. Ero andata a letto presto, distrutta e avvilita come sempre e, come sempre mi ero svegliata alle quattro del mattino tra mille pensieri e preoccupazioni, non riuscendo più a riprendere sonno.Stavo per portare la piccola all'asilo quando squillò il cellulare, erano le nove."Oh no..." dissi guardando sul display, "la scuola..." e intuendo già il motivo della chiamata.Era l'insegnante di matematica, Losto stava male, tremava e aveva gli occhi fissi, non sapeva che fare e voleva che andassi a prenderlo. In realtà non aveva fatto i compiti e, approfittando del fatto che era un bambino adottato, aveva trovato questo stratagemma per passarla liscia coi professori e con noi. Provai a spiegarglielo, dissi che non era la prima volta e che se volevamo che la smettesse dovevano collaborare anche loro, mi assicurò che l'avrebbe rimandato in classe. Dopo neanche dieci minuti mi telefona la preside, isterica, dicendo che se non fossi andata a prenderlo avrebbe chiesto l'intervento dei vigili per abbandono di minore. Salutai in fretta la piccola e andai subito a scuola, imbestialita più che mai. Inutile dire che quella mattina con lo stomaco che mi si contorceva dal nervosismo, non riuscii a dipingere nulla."E' stata colpa tua!" aveva detto Forte tornando dal lavoro. "Non avresti dovuto lasciare questa responsabilità ai professori! "Naturalmente. Con Forte era sempre colpa mia."Salve!" dissi secca chiudendo la porta.Al tardo pomeriggio non avevo ancora smaltito la rabbia. Nessuna risposta seguì il mio saluto, ma stavolta me l'aspettavo e comunque non me ne importava nulla."E' riuscito a sistemare lo scarpone?" dissi cercando con lo sguardo.Osservai il minuscolo locale, era pieno di scaffali stracolmi di scarpe, i macchinari per la riparazione e il bancone che, posto per la lunga, mi separava dal ciabattino. Lui tolse gli occhiali e li infilò nel taschino, poi si alzò e andò dritto allo scaffale dietro di sè, guardò in alto, poi nel mezzo, quindi in basso e ancora a destra, poi a sinistra. "Ma dov'è che l'ho messo..." si grattò la testa inarcando un sopraciglio, "Ah! Eccolo qua!" esclamò infine con una smorfia, "Per un po dovrebbe tenere...." e fece per prendere un sacchetto da sotto il banco."Niente, lasci stare, ho qui il mio" quindi presi il portafogli. "Quanto le devo?""Dammi un euro..." rispose scrollando le spalle."Così poco?" lo guardai."Ho messo solo un po di colla..." pareva tirasse fuori le parole a fatica."Bene!" conclusi secca, "Allora grazie e arrivederci!" e mi girai per uscire.Nel girarmi andai a urtare contro qualcuno che stava entrando in quel momento, il sacchetto con lo scarpone cadde a terra. Sbuffai sonoramente piegandomi subito a prenderlo."Oh scusate..." disse una voce."Niente, niente!" feci nervosa, "Alle volte vorrei proprio cambiare vita!" quindi mi alzai e sollevai la testa.Era il tizio con l'orecchino. Non gli diedi corda e uscii, avevo altri pensieri per la testa quel giorno.Mi accorsi "Siete sicura signò?" mi seguì oltre la porta.Non mi girai neanche."Siete sicura che è proprio quello che volete? insistè lui.La sua invadenza mi stava facendo innervosire ancora di più, così mi girai e lo guardai torva chiedendomi cosa mai quest'uomo volesse da me. Trentacinque, forse quarant'anni, alto e magro, capelli biondi e lunghi sotto un berretto di lana a strisce colorate, la barba incolta, gli occhi azzurri. Sarebbe potuto essere un bell'uomo, non fosse stato napoletano. Ebbi la sensazione di dover rispondere di no, ma lo stomaco gridava vendetta e dovevo buttar fuori un pò di veleno."Certo che sono sicura!" dissi con la mia solita arroganza, "Vorrei sparire da qua e trovare la mia vera vita!" socchiusi gli occhi, "Vorrei essere apprezzata per come sono veramente e vorrei riuscire a smettere di fingere atteggiamenti che non mi appartengono!" Mi avvicinai alla sua faccia. "Ecco cosa vorrei!" aggiunsi secca, "Ecco cosa vorrei..." ripetei più piano e mi girai per andarmene.Mi accorsi subito di aver detto un mucchio di stupidaggini, forse me ne accorsi per lo sguardo di compatimento del tizio, forse per il buco allo stomaco che invece di esaurirsi aumentò dolorosamente, o forse me ne accorsi perchè avevo detto veramente un mucchio di stupidaggini."Mi scusi..." mi rigirai, "sto passando un brutto periodo e..." ma la mia voce si perse nell'aria, il tizio era sparito.Il tempo di tornare a casa e, tra una sgridata e l'altra, a sera avevo già dimenticato l'intera faccenda.Ero disperata. Forse non ero portata a fare la mamma, ogni giorno si trasformava in una vera e propria pena, non facevo altro che gridare e sgridare, forse avevo fatto male a decidere di adottare i due bambini, con un'altra mamma sicuramente avrebbero potuto avere una vita migliore. Non passava giorno che non maledicessi il momento in cui avevo accettato, avrei preferito mille volte restare senza figli, pur nell'angoscia della solitudine e della tristezza , piuttosto che avere qualcuno a cui badare continuamente e che mi impediva di fare quello che avrei voluto fare.Non riuscivo più a organizzare le mie giornate, tutto era scandito dalla loro presenza, la scuola e l'asilo, la palestra e i giochi e poi la colazione, il pranzo, la merenda, la cena, sempre a preparare qualcosa per loro, tutta una vita dedicata interamente a loro, senza tregua, senza spazio vitale per me, senza riuscire a lavorare qualche ora di seguito perchè disturbata ogni due minuti. Se l'avessi saputo, se solo avessi capito che sarebbe stato così, che era logico e normale che dovesse essere così, se solo avessi approfondito con coscienza il significato della parola mamma...._____________________________________