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dal libro: "Un'altro giro di giostra" di Tiziano Terzani - Le pagine più interessanti - Ed. Longanesi

Post n°214 pubblicato il 27 Giugno 2016 da loredanafina1964

UNDICESIMA PUBBLICAZIONE

Pag. 55

A volte, vedendo entrare e uscire dai grandi, famosi edifici della Quinta Strada o di Qall Street eleganti signori con le loro piccole valigette di bel cuoio, mi veniva il sospetto che quelli fossero gli uomini da cui bisognava guardarsi e proteggersi. In quelle borse, camuffati come "progetti di sviluppo", c'erano i piani per dighe spesso inutili, per fabbriche tossiche, per centrali nucleari pericolose, per nuove, avvelenanti reti televisive che, una volta impiantate nei paesi a cui erano destinate, avrebbero fatto più danni e più vittime di una bomba. Che fossero loro i veri "terroristi"?

Con le strade che si popolavano subito dopo l'alba, New York perdeva ai miei occhi la sua aria incantata e a volte mi appariva come una mostruosa accozzaglia di tantissimi disperati, ognuno in corsa dietro a un qualche sogno di triste ricchezza o misera felicità.

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Pag. 56

Un giorno, nel New York Times mi colpì la notizia di uno studio fatto dalla London School of Economics sulla felicità nel mondo. I risultati erano curiosi, uno dei paesi più poveri, il Bangladesh, risultava essere il più felice. L'India era al quinto posto. Gli Stati Uniti al quarantaseiesimo! 

A volte avevo l'impressione che a goderci la bellezza di New York eravamo davvero in pochi. A parte me, che avevo solo da camminare, e qualche mendicante intento a discutere col vento, tutti gli altri che vedevo mi parevano solo impegnati a sopravvivere, a non farsi schiacciare da qualcosa o da qualcuno. Sempre in guerra: una qualche guerra.

Una guerra a cui non ero abituato, essendo vissuto per più di venticinque anni in Asia, era la guerra dei sessi, combattuta in una direzione soltanto: le donne contro gli uomini. Seduto ai piedi di un grande albero a Central Park, le stavo a guardare. Le donne: sane, dure, sicure di sè, robotiche. Prima passavano sudate, a fare il loro jogging quotidiano in tenute attillatissime, provocanti, con i capelli a coda di cavallo; più tardi passavano vestite in uniforme da ufficio - tailleur nero, scarpe nere, borsa nera con il computer -, i capelli ancora umidi di doccia, sciolti. Belle e gelide, anche fisicamente arroganti e sprezzanti. Tutto quello che la mia generazione considerava "femminile" è scomparso, volutamente cancellato da questa nuova, perversa idea di eliminare le differenze, di rendere tutti uguali e fare delle donne delle brutte copie degli uomini.

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Pag. 57

Mi venivano spesso in mente le donne indiane, ancora oggi così femminili, così diversamente sicure di sè, così più donne a quaranta cinquant'anni che a venti. Non atletiche, ma naturalmente belle. Davvero, l'altra faccia della luna. E poi, le donne indiane, come le europee della generazione di mia madre, mai sole; sempre parte di un contesto familiare, parte di un gruppo, mai abbandonate a se stesse.

Dalla finestra assistevo spesso a un vero e proprio "trasloco": una ragazza che, da una qualche altra parte d'America, arrivava a New York con tutta la sua vita in una borsa. La immaginavo leggere gli annunci economici di un giornale, trovarsi una camera d'affitto, una palestra in cui fare aerobica e un impiego davanti allo schermo di un computer. La immaginavo nella pausa pranzo, andare in un salad bar a mangiare, in piedi, con una forchetta di plastica, verdure biologiche messe con delle pinze in una vaschetta con coperchio e pagate a peso. E la sera? Un corso di Kundalini Yoga che promette di risvegliare tutte le energie sessuali per quell'atto un tempo potenzialmente divino e ora ridotto, nel migliore dei casi, a una prestazione sportiva.....a punteggio: John batte Bob  quattro a due.

Alla fine anche quella ragazza, attratta come una falena dalle luci di New York, sarebbe finita nel grande falò di umanità che ricarica in continuazione di energia vitale questa particolarissima città. Fra dieci, vent'anni potrà toccarle di essere una di quelle tristissime donne che osservavo, silenziose e impaurite, senza un amico o un familiare, aspettare nelle poltroncine dell'MSKCC di essere operate o di avere il responso di un qualche preoccupante esame.

Forse, a vivere da soli si perde il senso della misura. a star zitti, in compenso, si diventa più sensibili all'ascolto. Mi capitava così, camminando, di cogliere spezzoni di discorsi, battute che poi mi restavano nelle orecchie per ore. La gente mi pareva parlasse sopratutto di soldi, di problemi, di conflitti. La maggior parte delle conversazioni mi sembravano litigi, le parole sempre cariche di tensione, di aggressività.

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO

 

 

 

 

 

 

 


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