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Post N° 105


Saggio brevissimo sull’amore filosoficamente inteso : Platone e Nietzsche.L’amore e’ “bisogno”, scrive Platone, e’ “mancanza”. E’ la storia, vecchia come il mondo, della ricerca dell’altra meta’ della mela, di cio’ che ci completa, di cio’ che ci rende quello che vogliamo essere piu’ di qualsiasi altra cosa: interi. Amiamo perche’ abbiamo atavicamente bisogno di amare, perche’ siamo spaccati, perche’ la nostra mente spietatamente razionale puo’ sopportare solo un vero che sia “intero”, finito, controllabile, risolvibile. Nell’amare noi ricerchiamo realmente la finitudine del nostro essere, la verita’ intera, e quando crediamo di averla trovata vi ci aggrappiamo perche’ ne abbiamo un disperato bisogno, perche’ quello e’ il pezzo che completa. E ora e’ nostro, ce lo siamo presi … ma questo cosa significa? Ci rapportiamo alla persona da amare come se fosse un mezzo per realizzare il nostro essere? Per paura della solitudine, per paura dell’incontrovertibilita’ di un essere spezzato, per un bisogno, per una mancanza, insomma, amiamo “in funzione di”? E’ tutto un egoisticamente prendere?Il bisogno e’ forse la forma di amore piu’ “primitiva”, non nel senso di “selvaggia”, ma nel senso di “prima”, in quanto e’ il bisogno dell’altro che ci spinge a cercare l’altro. Ma a mio parere non possiamo ridurre l’amore ad un primitivo bisogno di interezza, di conferma del proprio essere, di “rassicurante cantuccio” nel quale nascondersi ogni qualvolta la realta’ ci sembra infinita, incontrollabile, irrisolvibile.L’amore e’ “sovrabbondanza dell’amore di se’”, scriveva Nietzsche, rifiutando l’idea di “bisogno” e “mancanza”, ricucendo le due meta’ della mela in una originaria e incrollabile e infantile egoistica interezza. L’amore nasce nell’uomo, non per mancanza ma per eccedenza, e si diffonde per “osmosi”, volendo essere scientifici. E’ un po’ come la saggezza in “Cosi’ parlo’ Zarathustra”, nella sua forma piu’ alta, quella che nemmeno sono sicura che esista se non in un eventuale idealizzazione: in ogni caso non credo che le cose debbano “esistere” per essere “vere”.La saggezza si sviluppa in noi, e’ in noi. Anche se ci ritiriamo nella piu’ completa solitudine, penso ad un saggio eremita, ad esempio. Ebbene, ad un certo punto si comprende che la saggezza va condivisa, altrimenti resta cosa morta. E allora il saggio che e’ tra gli uomini, o che torna tra gli uomini, da’, semplicemente, e prende, semplicemente, non per scelta, non per bisogno e nemmeno per mancanza, ma perche’ cosi’ e’, non potrebbe non farlo, e’ un destino, una necessita’, cosi’ come dall’ Uno plotiniano tutto “procede” e da cui tutto “necessariamente” deve procedere, cosi’ dall’uomo saggio “procede” la saggezza e cosi’ dall’uomo che ama se’ stesso “procede” l’amore, non come bisogno ma come destino, non come mancanza ma come eccedenza, egoista e disinteressato come sanno amare perfettamente i bambini, che nell’altro, nella mamma, nel papa’, nel gioco, amano loro stessi, amano l’estensione di loro stessi che si identifica nella mamma, nel papa’, nel giocattolo.Se noi riuscissimo ancora a vedere l’altro come eccedenza di noi stessi, se nel “Tu” ricominciassimo a scorgere l’ “Io”, riusciremmo anche ad amare senza l’ombra dell’opportunismo che invece grava sul bisogno, senza la disperazione della mancanza.Il nostro amore e’ estensione dell’amore che nutriamo per noi stessi.Amare come i bambini.”Sovrabbondanza” e non “Mancanza”.L’amore, come la saggezza, “non e’ abbastanza povero per fare l’elemosina”.MaliceVoi che ne pensate? (: