GIOCHI O NON GIOCHI?

SPIAGGE E SCARAFAGGI


Stamattina non riesco a tenere le dita ferme. Ho il bisogno di battere lettere a comporre parole frasi sullo schermo. Ma i pensieri si muovono troppo veloci nella mia testa per fermarne uno ed elaborarlo. Scriverci su. Mi nutro di parole che si inseguono a formare storie. Ma che bello se fosse venerdì oggi. Le spiagge in Sicilia sembrano enormi. Il mare lungo. Il sole picchia forte come su sabbia del deserto che si infila soffice tra le dita dei piedi. C’è un gatto che corre sul bagnasciuga, un collare rosso con campanellino. Aria secca, ferma, non rinfresca la pelle. Castelli erranti nascono da secchielli verdi e palette blu. Sono piccole, magre. Due zingarelle scure di sole. Scotta. Ma non lo sentono quasi sull’epidermide, troppo impegnate nei loro sogni. Corrono avanti e indietro a riempire bottiglie d’acqua per plasmare la sabbia in stelle marine fucsia. Il buco è abbastanza profondo per nascondersi qualche minuto, solo la testa a respirare il caldo. Il costume è pieno di arena sottile. Pizzica tra le gambe. La mamma è lì, stesa lucertola, rapita dai suoi libri alternati a settimane enigmistiche e punti neri da strizzare. Un costume viola le castiga il seno. Le guarda ogni tanto, le sue grillette nordafricane. Mettiti il cappellino ché il sole è troppo forte oggi!! Anzi, bagnalo prima nell’acqua. Urla, poco intimidatoria. L’avevano visto il mare, tra le colline gialle di grano secco, oltre la statale che percorrevano cantando Baglioni. Il mare il mare! Guarda mamma, il mare! E lei sorrideva dietro gli occhiali da sole scuri. E ad ogni slargo tra le cime arrotondate, il blu si avvicinava ancora. Ogni volta era un evento giungere alla spiaggia, troppo distante da casa per visitarla ogni giorno. Lungo il percorso, a bocca aperta, guardavano le colonne dei templi, sognanti gli occhi di chissà quali epoche. E il rosso di pietra su per le colline rimaneva alle spalle, mentre l’asfalto dolcemente scendeva a valle, sulla costa. La spiaggia è piena di scarafaggi di dimensioni ridotte. La bottiglia trasparente e azzurra di acqua Panna è vuota. Pensieri criminali solleticano i giochi delle bimbe. La paletta blu è un’ottima trappola. Un rumore sordo quando l’insetto tocca il fondo della bottiglia. Un altro e un altro ancora. Sono otto alla fine. Avvitano forte il tappo perché non scappino. E agitano. Sperano, cattive, che muoiano sotto la loro corazza lucida. Li lasciano ore a soffocare lentamente sotto al sole, dimenticati per far cambio con altri giochi. Per pranzo mangiano il panino più buono del mondo. Mezza mafalda a testa. Dentro la mamma ha messo gli abbinamenti migliori: prosciutto crudo, sottiletta, maionese, ketchup. Sapore dolce e salato contrastano sulla lingua e che goduria bere l’acqua con il ghiaccio dentro, cercano di catturarlo con la lingua, non si scioglie. Le mani sottili appiccicate dallo zucchero di una pesca scaldata dal sole. Il succo è colato sulle ginocchia incollando sabbia alla sabbia. Danze virtuose ed eleganti accompagnano orchestre marine. E il volo d’angelo sembra così perfetto, così elegante. Braccia spalancate a pelo d’acqua e piroette facili da imitare. E la sera arriva. Poco prima del tramonto il ragno d’oro le accoglie tra le grinfie di “broscia” con la granita al limone. Graffia nella gola. Disseta. il ricordo di una lunga giornata di sole le accompagna beate lungo il viaggio di ritorno. Dormono con la testa appoggiata ai finestrini, stremate dai giochi. La piccola sbava saliva trasparente. E a casa sanno già che dovranno lavarsi, la mamma verserà loro addosso l’acqua fredda dal bidone. Perché non esce acqua dai rubinetti. Il fondo della vasca si coprirà di sabbia rubata dalla pelle, dai costumi.