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A storm in a tea (party) cup


Articolo di Sergio Cesaratto in uscita su Left-Avvenimentida ......Voci dall'EsteroLa situazione economica italiana e globale è estremamente allarmante, ed è soprattutto preoccupante il prevalere, su entrambe le sponde dell’Atlantico, di posizioni tanto grette, quanto dannose. Negli Stati Uniti l’accordo stipulato da Obama, con i conseguenti tagli al bilancio federale, comporterà sia dei danni alle politiche di bilancio volte a sostenere produzione e occupazione, che ulteriori ingiustizie sociali. In Europa le misure intraprese dai governi europei sono sinora risultate insufficienti ad arrestare la crisi del debito dei paesi periferici che si è ora estesa in maniera drammatica anche al nostro paese. Il costo del debito pubblico italiano - i famosi spread, gli scarti fra i tassi di interesse pagati dallo stato italiano e quelli pagati dalla Germania - è salito a livelli inimmaginabili solo poche settimane fa, dimostrando l’inutilità della manovra. A ben vedere il moralismo populista del Tea Party, che esalta lo stato minimo e il predominio dei più capaci, non è che è una variazione sul tema della retorica dei politici, mass media ed economisti tedeschi volta ad attribuire ogni colpa alla dissipatezza dei popoli dell’Europa periferica, come se le banche germaniche non avessero allegramente sostenuto quella presunta viziosità e l’economia tedesca beneficiato di abbondanti esportazioni verso la periferia. Le manovre imposte ai paesi periferici si rivelano la classica fatica di Sisifo: nuocciono a crescita e stabilità sociale e da ultimo al bilancio pubblico medesimo. Eppure nella scatola degli attrezzi della politica economica vi sarebbero gli strumenti per affrontare la crisi, strumenti che sono stati con successo adottati soprattutto dagli Stati Uniti nel 2008-9: sostenere la domanda attraverso la spesa pubblica, e puntellare il bilancio pubblico, il sistema finanziario e le famiglieindebitate attraverso una politica monetaria “accomodante” che mette a disposizione liquidità a basso costo, cioè a bassi tassi di interesse. Maggiore liquidità a bassi tassi, in periodi di crisi, non genera inflazione, ma è una flebo per il sistema. L’abbandono prematuro di queste politiche rischia di far ricadere gli Stati Uniti nella crisi, con effetti drammatici sull’economia mondiale.L’Europa non ha mai coraggiosamente adottato queste politiche. Guidata da una Germania che fa delle esportazioni la guida alla propria crescita, essa ha preferito lasciar fare agli altri. E in effetti le esportazioni tedesche verso i paesi emergenti, Cina in primis, hanno ripreso alla grande dal 2010, avvantaggiandosi anche, grottescamente, del deprezzamento del’Euro che ha seguito la crisi della periferia europea. Quest’ultima area non si è avvantaggiata della ripresa tedesca in quanto il retroterra industriale della Germania è ormai nell’est europeo, l’area a cui storicamente questo paese ha guardato – l’opzione occidentale della Germania  apparendo un accidente storico più che una vera scelta. Con l’esplosione della crisi greca a fine 2009, si è palesato quanto la scelta dell’Unione Monetaria Europea (UME) fosse stata una scommessa azzardata per la periferia europea. I flussi di capitale dai paesi centrali hanno dato l’illusione sino al 2008 che tutto andasse a gonfie vele in Spagna, Irlanda e Grecia, sebbene si fosse già da tempo capito che non era così per Portogallo e Italia. Con l’UME i paesi periferici si sono auto-negati la possibilità di riallineare la propria competitività attraverso le variazioni del tasso di cambio nella speranza  di importare disciplina ed efficienza tedesca. Hanno invece importato un mucchio di capitali che hanno sostenuto i consumi (ma non gli investimenti industriali) e fatto lievitare prezzi e salari, sicché ora si trovano con molti debiti e una competitività perduta, ma senza poter ricorrere alla classica “arma della svalutazione”. L’Italia fa storia a sé. Il nostro debito pubblico era già alto prima dell’UME, e divenne tale per scelte sbagliate compite nel periodo 1979-81. L’adesione al sistema monetario europeo (il padre dell’UME) e il cosiddetto “divorzio” fra Banca d’Italia e Tesoro, per cui la prima smise di finanziare a basso costo il secondo, determinarono un formidabile aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico. Ciò determinò, assieme al lasciar correre l’evasione fiscale, una miscela micidiale che ha portato il debito pubblico italiano ai livelli ben noti. E’ una storia su cui si dovrà tornare. Nulla a che fare, comunque, con un eccesso di spesa sociale che in Italia è, anzi, sottodimensionata. Sino all’adesione all’UME il debito pubblico italiano era tuttavia posseduto da connazionali. Con l’UME anche l’Italia perde progressivamente competitività – i nostri prezzi crescono inesorabilmente sempre un po’ più di quelli tedeschi e non possiamo svalutare -, i nostri conti con l’estero vanno in rosso e anche noi tendiamo a indebitarci, sebbene un po’ meno degli altri. Una manifestazione dell’indebitamento estero è che ora quasi la metà del debito pubblico è in mano a stranieri. L’Italia è in una situazione simile al 1992, quando una grossa svalutazione della lira aggiustò (un po’) le cose: le esportazioni ripresero, il debito estero fu restituito. Ora non si può più fare. I mercati lo sanno e attribuiscono una probabilità positiva che l’Italia sia costretta ad uscire dall’Euro, e dunque chiedono tassi sempre più altri per acquistare i titoli del debito sovrano italiano. Dunque non è questione di speculazione, queste sono bugie. Con questi tassi – 4% più di quelli pagati dai tedeschi - il debito pubblico non potrà che crescere, non c’è manovra che possa farvi fronte, e la probabilità di un “default” italiano si avvicina. La situazione italiana si sta cioè avvicinando viepiù a quella della Grecia di un anno fa. La Grecia è tuttavia un paese piccolo, e i prestiti europei l’han tenuto in (una stentata) vita (medesimo discorso per Irlanda e Portogallo). Questo non è possibile per Italia (e Spagna). Che fare allora?Come convengono tutti gli osservatori più avveduti, c’è una istituzione di cui tutti i paesi sovrani si sono dotati dalla fine del XIX° secolo per fronteggiare queste contingenze: la banca centrale. Dunque solo un intervento fermo della Banca Centrale Europea (BCE) potrà fermare e invertire la tendenza al rialzo dei tassi di interesse sui debiti sovrani di Italia e Spagna (una banca centrale lo fa acquistando lei i titoli e sostenendone il prezzo; i mercati, rassicurati, chiederanno tassi più bassi per detenere quei titoli). Purtroppo l’ultimo accordo europeo del 21 luglio ha ulteriormente esentato la BCE dall’operare in questo senso. Ottimisticamente riteniamo che, a meno di voler affossare l’Euro nel giro di qualche settimana, la BCE dovrà intervenire. Se questo avvenisse in misura adeguata, e si potesse ricominciare a respirare normalmente, ci si potrà rimboccare le maniche per raddrizzare questa Europa e questa Italia. Ma su questo torneremo.