di Giorgio La Malfa e Piergiorgio GawronskiNel decreto Salva-Italia del dicembre 2011, il Governo aveva enunciato l’obiettivo di ridurre il deficit pubblico per il 2012 all’1,6% del Pil e di annullarlo nel 2013 e aveva stimato una flessione del Pil dello 0,4% nel 2012, seguita da una ripresa nel corso del 2013*. Nella Nota di aggiornamento al Def del 20 settembre, il quadro muta radicalmente. Per il Governo il Pil 2012 crolla del 2,4%. È, come dice la Nota, il «peggioramento dello scenario internazionale»? No, giacché le esportazioni crescono inlinea con le previsioni (+1,2%). La correzione dei conti pubblici sta avendo effetti molti più gravi del previsto.La Nota ammette che anche gli obiettivi di finanza pubblica verranno mancati. Nel 2012 il deficit non sarà all’1,6% del Pil, ma superiore al 2,5%. Secondo Banca d’Italia: «scendere sotto al 3% non è scontato». Il debito doveva fermarsi al 123,4% del Pil, ma la Nota indica un 126,4% tutto da verificare. Infine, l’annunciata «crescita del PIL potenziale» non c’è: la Nota annuncia un crollo (-10,8%) degli investimenti fissi lordi in macchinari e impianti.Viene meno anche la speranza del «ritorno alla crescita» nel 2013. Ora il Governo prevede una flessione del Pil dello 0,2% rispetto al +0,3 di dicembre scorso; l’Fmi stima un-0,7%. Quanto al debito pubblico, il Governo ora prevede che nel 2015 non sarà al 110%, ma al 120%.Secondo Mario Monti, «solo uno stolto può pensare che sia possibile incidere sul debito senza provocare un rallentamento». Ma la caduta del Pil allontana il risanamento della finanza pubblica. Il Commissario Rehn intanto chiede nuovi tagli. Chesi fa? Dal 2008 è aperta una dura discussione fra i sostenitori di due strategie alternative: per gli uni il risanamento finanziario è condizione necessaria per la ripresa; per gli altri bisogna far ripartire l’economia perché solo questo farà aumentare il gettito fiscale e rimetterà in sesto i bilanci pubblici. L’Europa ha scelto la prima strada, gli Stati Uniti la seconda.Tecnicamente il dibattito si incentra sul valore numerico dei cosiddetti “moltiplicatori fiscali”, che indicano quanto incidono sul Pil le manovre di riduzione del disavanzo (e viceversa) e quale effetto di ritorno ha la variazione del Pil sul deficit e sul debt ratio. Più bassi sono i moltiplicatori, meno negativi gli effetti dell’austerità. Le politiche di compressionedei deficit decise dall’Europa poggiano sull’ipotesi che imoltiplicatori fiscali siano attorno lo 0,5. I sostenitori dell’altra tesi sostengono che, in questa fase, i moltiplicatori più alti fra 1 e 3.Nel caso italiano, se il moltiplicatore fosse 0,5,la manovra del “Salva-Italia” (22,5 miliardi, 1,4% del Pil)avrebbe ottenuto l’auspicata riduzione del rapporto deficit/Pil(-1%), con una perdita complessiva di -0,7% del Pil: scenario coerente con le previsioni del dicembre 2011. Nel caso invece di moltiplicatori intorno a 1,5 una manovra di 22,5 miliardi riduce il deficit di solo 0,35% del Pil e per ottenere il rapporto deficit/Pil desiderato bisognerebbe inseguire l’obiettivo con ripetute manovre di austerità, per importi complessivi superiori a 50 miliardi, infliggendo al Pil un -6,5% ovvero la caduta del Pil in Grecia in questi anni.Dobbiamo imboccare la stessa strada? L’azione del Governo Monti è stata ispirata dall’obiettivo di rassicurare i mercati che l’Italia non avesse perso il controllo della finanza pubblica. Appariva obbligata, ma poggiava sull’idea che i moltiplicatori fiscali fossero bassi e fosse possibile correggere il deficit senza provocare una caduta verticale del Pil. Oggi è evidente un effetto negativo assai più forte di quello previsto dal Governo. Bisogna rifletterci seriamente.La conclusione è in linea con una messe ricchissima di ricerche condotte in questi anni (Fatas, Mihov, Blanchard,Perotti, Sumner, Eichengreen, O’ Rourke, Almunia, Mendoza,Vegh , Ilzetzki, Summers, De Long, Eggertsson, Krugman,Romer, Auerbach, Gorodnichenko, Leigh, Batini, Callegari, Melina,Portes, Hurts, Holland, Eichenbaum, e molti altri) che sottolineano valori elevati dei moltiplicatori fiscali. Negli Usa, i repubblicani sostengono l’austerità; la Casa Bianca, stimando nel 2009 imoltiplicatori a 1,5-1,6, ha optato, con il sostegno di Bernanke, per uno stimolo fiscale. Lo stesso hanno fatto molti paesi emergenti.L’inglese Office for Budget Responsibility ha ipotizzato moltiplicatori fiscali pari a 0,5 sottovalutando l’impatto dell’austerità del Governo Cameron. L’Europa di Maastricht si è schierata a favore di politiche severamente restrittive.L’evidenza che si è accumulata dopo il 2008 conferma la forza dei moltiplicatori. Negli Usa, lo stimolo di Obama si stima abbia salvato 3 milioni di posti di lavoro, a parità di tendenze del rapporto debito/Pil. La svolta del 2010 dell’Europa verso l’austerity non ha pagato.
Per una terza via keynesiana tra austerità e populismo
di Giorgio La Malfa e Piergiorgio GawronskiNel decreto Salva-Italia del dicembre 2011, il Governo aveva enunciato l’obiettivo di ridurre il deficit pubblico per il 2012 all’1,6% del Pil e di annullarlo nel 2013 e aveva stimato una flessione del Pil dello 0,4% nel 2012, seguita da una ripresa nel corso del 2013*. Nella Nota di aggiornamento al Def del 20 settembre, il quadro muta radicalmente. Per il Governo il Pil 2012 crolla del 2,4%. È, come dice la Nota, il «peggioramento dello scenario internazionale»? No, giacché le esportazioni crescono inlinea con le previsioni (+1,2%). La correzione dei conti pubblici sta avendo effetti molti più gravi del previsto.La Nota ammette che anche gli obiettivi di finanza pubblica verranno mancati. Nel 2012 il deficit non sarà all’1,6% del Pil, ma superiore al 2,5%. Secondo Banca d’Italia: «scendere sotto al 3% non è scontato». Il debito doveva fermarsi al 123,4% del Pil, ma la Nota indica un 126,4% tutto da verificare. Infine, l’annunciata «crescita del PIL potenziale» non c’è: la Nota annuncia un crollo (-10,8%) degli investimenti fissi lordi in macchinari e impianti.Viene meno anche la speranza del «ritorno alla crescita» nel 2013. Ora il Governo prevede una flessione del Pil dello 0,2% rispetto al +0,3 di dicembre scorso; l’Fmi stima un-0,7%. Quanto al debito pubblico, il Governo ora prevede che nel 2015 non sarà al 110%, ma al 120%.Secondo Mario Monti, «solo uno stolto può pensare che sia possibile incidere sul debito senza provocare un rallentamento». Ma la caduta del Pil allontana il risanamento della finanza pubblica. Il Commissario Rehn intanto chiede nuovi tagli. Chesi fa? Dal 2008 è aperta una dura discussione fra i sostenitori di due strategie alternative: per gli uni il risanamento finanziario è condizione necessaria per la ripresa; per gli altri bisogna far ripartire l’economia perché solo questo farà aumentare il gettito fiscale e rimetterà in sesto i bilanci pubblici. L’Europa ha scelto la prima strada, gli Stati Uniti la seconda.Tecnicamente il dibattito si incentra sul valore numerico dei cosiddetti “moltiplicatori fiscali”, che indicano quanto incidono sul Pil le manovre di riduzione del disavanzo (e viceversa) e quale effetto di ritorno ha la variazione del Pil sul deficit e sul debt ratio. Più bassi sono i moltiplicatori, meno negativi gli effetti dell’austerità. Le politiche di compressionedei deficit decise dall’Europa poggiano sull’ipotesi che imoltiplicatori fiscali siano attorno lo 0,5. I sostenitori dell’altra tesi sostengono che, in questa fase, i moltiplicatori più alti fra 1 e 3.Nel caso italiano, se il moltiplicatore fosse 0,5,la manovra del “Salva-Italia” (22,5 miliardi, 1,4% del Pil)avrebbe ottenuto l’auspicata riduzione del rapporto deficit/Pil(-1%), con una perdita complessiva di -0,7% del Pil: scenario coerente con le previsioni del dicembre 2011. Nel caso invece di moltiplicatori intorno a 1,5 una manovra di 22,5 miliardi riduce il deficit di solo 0,35% del Pil e per ottenere il rapporto deficit/Pil desiderato bisognerebbe inseguire l’obiettivo con ripetute manovre di austerità, per importi complessivi superiori a 50 miliardi, infliggendo al Pil un -6,5% ovvero la caduta del Pil in Grecia in questi anni.Dobbiamo imboccare la stessa strada? L’azione del Governo Monti è stata ispirata dall’obiettivo di rassicurare i mercati che l’Italia non avesse perso il controllo della finanza pubblica. Appariva obbligata, ma poggiava sull’idea che i moltiplicatori fiscali fossero bassi e fosse possibile correggere il deficit senza provocare una caduta verticale del Pil. Oggi è evidente un effetto negativo assai più forte di quello previsto dal Governo. Bisogna rifletterci seriamente.La conclusione è in linea con una messe ricchissima di ricerche condotte in questi anni (Fatas, Mihov, Blanchard,Perotti, Sumner, Eichengreen, O’ Rourke, Almunia, Mendoza,Vegh , Ilzetzki, Summers, De Long, Eggertsson, Krugman,Romer, Auerbach, Gorodnichenko, Leigh, Batini, Callegari, Melina,Portes, Hurts, Holland, Eichenbaum, e molti altri) che sottolineano valori elevati dei moltiplicatori fiscali. Negli Usa, i repubblicani sostengono l’austerità; la Casa Bianca, stimando nel 2009 imoltiplicatori a 1,5-1,6, ha optato, con il sostegno di Bernanke, per uno stimolo fiscale. Lo stesso hanno fatto molti paesi emergenti.L’inglese Office for Budget Responsibility ha ipotizzato moltiplicatori fiscali pari a 0,5 sottovalutando l’impatto dell’austerità del Governo Cameron. L’Europa di Maastricht si è schierata a favore di politiche severamente restrittive.L’evidenza che si è accumulata dopo il 2008 conferma la forza dei moltiplicatori. Negli Usa, lo stimolo di Obama si stima abbia salvato 3 milioni di posti di lavoro, a parità di tendenze del rapporto debito/Pil. La svolta del 2010 dell’Europa verso l’austerity non ha pagato.