Ieri, a “La Gabbia”, Paolo Barnard ha parlato dei Mosler Bonds e in molti si sono chiesti (e mi hanno chiesto) se siano una proposta identica ai Certificati di Credito Fiscale (CCF).Identica no, ma c’è una strettissima parentela. Di CCF peraltro avevo discusso già mesi fa con Warren Mosler stesso (vedi qui) che ha scritto anche la prefazione del libro mio e di Giovanni Zibordi, in uscita (finalmente…!) dopo Natale.I Mosler Bonds, o Tax-Backed Bonds, sono stati proposti originariamente in questo articolo di Warren Mosler e Philip Pilkington.I Mosler Bonds (cito) sono “obbligazioni simili a normali titoli di stato, salvo che includerebbero una clausola tale per cui se lo stato emittente omette di effettuare pagamenti, e solo in questo caso, sarebbero utilizzabili per saldare imposte dovute allo stato emittente”.Emettendo Mosler Bonds, lo stato emittente si finanzia, di conseguenza con titoli che NON possono andare in default: se non vengono rimborsati in euro, automaticamente diventano moneta corrente, utilizzabile per pagamenti allo stato emittente stesso.I CCF sono, dicevo, strettamente imparentati ai Mosler Bonds (che anzi me li hanno ispirati, insieme ai MEFO bills di Hjalmar Schacht).I CCF sono anch’essi titoli utilizzabili per pagare tasse e qualsiasi altra obbligazione finanziaria nei confronti dello stato emittente; nella mia proposta, a partire da due anni dopo la loro emissione.Il mio progetto CCF non prevede di emetterli al posto dei normali titoli di stato, bensì di assegnarli gratuitamente a cittadini e aziende. I riceventi si troverebbero in mano uno strumento finanziario che ha valore fin da oggi: è vero che sarà utilizzabile nei confronti dello stato in un futuro prossimo, ma sarebbero subito monetizzabili (con uno sconto finanziario non molto diverso da quello dei normali titoli di stato) vendendoli a soggetti che hanno la necessità di pagare tasse, imposte ecc. in futuro.In questo modo si verifica subito un forte incremento della capacità di spesa e della domanda.Inoltre una parte delle assegnazioni è diretta alle aziende, in proporzione ai costi di lavoro da esse sostenuti. In questo modo, il loro costo del lavoro per unità di prodotto scende e si porta all’incirca al livello della Germania. Questo evita che la maggior domanda prodotta dalle assegnazioni di CCF si rivolga in misura eccessiva a prodotti importati, e impedisce il ricrearsi degli squilibri commerciali che sono all’origine dell’eurocrisi.L’Italia, attuando il progetto CCF, avvierà subito una rapida ripresa di domanda, PIL e occupazione. Il riallineamento di competitività migliorerà l’export e produrrà la sostituzione di una quota di import con produzioni interne. Questo compenserà il maggior import dovuto alla maggior domanda interna: i saldi commerciali italiani rimarranno in equilibrio (come sono oggi), ma con livelli di PIL, import, export e occupazione molto più alti.I CCF e i Mosler Bonds possono peraltro essere usati congiuntamente. E’ opportuno che, dal momento dell’avvio del progetto, lo stato italiano non emetta più titoli tradizionali, ma rifinanzi BOT e BTP in scadenza con Mosler Bonds, che sono titoli che NON comportano (per loro natura) rischio di default e non possono quindi essere considerati debito (come non sono debito i CCF).In questo modo si riduce rapidamente la quota di debito pubblico italiano soggetto a rischio di default, cioè del debito che è effettivamente tale. Questa è, tra parentesi, l’unica via tramite la quale è possibile raggiungere gli obiettivi del “fiscal compact”.Ricordo che il “fiscal compact” ha come obiettivo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e PIL dei vari paesi per evitare che si verifichino altri “casi Grecia”: ovvero default del debito pubblico di singoli stati che costringano gli altri a intervenire per evitare dissesti finanziari, fallimenti di banche eccetera.Il problema è che il “fiscal compact”, nella situazione attuale, impone ai vari stati politiche restrittive che aggravano la depressione della domanda e del PIL e che – come ampiamente dimostrato dalle vicende degli ultimi due anni – rendono impossibile raggiungere gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL (anzi lo peggiorano fortemente).Una volta che, mediante l’assegnazione di CCF, l’Italia avrà rilanciato domanda, PIL e occupazione e riallineato la competitività delle proprie aziende con quella tedesca; e, mediante l’emissione di Mosler Bonds, avrà rapidamente ridotto i rischi di default sul debito pubblico residuo – a quel punto saranno stati conseguiti tutti gli obiettivi sostanziali che, diversamente, richiederebbero il break-up dell’euro e la reintroduzione della lira.Tutto ciò, senza attuare una deflagrazione dell’eurozona ed evitando tutte le possibili conseguenze che preoccupano vari soggetti: niente rivalutazione della moneta usata nel Nord dell’eurozona; niente svalutazione dei crediti nei confronti di residenti italiani; niente turbolenze sui mercati finanziari; nessuna conversione forzata dei risparmi delle famiglie italiane.Il progetto qui descritto è, a tutti gli effetti pratici, una “euroexit” in quanto svincola l’Italia (e gli altri paesi che lo attueranno con modalità analoghe) dalle restrizioni e dalle pesantissime negatività del sistema monetario oggi in essere. E’ però un’uscita non deflagrante: non si spacca nulla, ma ci si “sfila” (elegantemente, se mi permettete…Marco Cattaneo
CCF e Mosler Bonds
Ieri, a “La Gabbia”, Paolo Barnard ha parlato dei Mosler Bonds e in molti si sono chiesti (e mi hanno chiesto) se siano una proposta identica ai Certificati di Credito Fiscale (CCF).Identica no, ma c’è una strettissima parentela. Di CCF peraltro avevo discusso già mesi fa con Warren Mosler stesso (vedi qui) che ha scritto anche la prefazione del libro mio e di Giovanni Zibordi, in uscita (finalmente…!) dopo Natale.I Mosler Bonds, o Tax-Backed Bonds, sono stati proposti originariamente in questo articolo di Warren Mosler e Philip Pilkington.I Mosler Bonds (cito) sono “obbligazioni simili a normali titoli di stato, salvo che includerebbero una clausola tale per cui se lo stato emittente omette di effettuare pagamenti, e solo in questo caso, sarebbero utilizzabili per saldare imposte dovute allo stato emittente”.Emettendo Mosler Bonds, lo stato emittente si finanzia, di conseguenza con titoli che NON possono andare in default: se non vengono rimborsati in euro, automaticamente diventano moneta corrente, utilizzabile per pagamenti allo stato emittente stesso.I CCF sono, dicevo, strettamente imparentati ai Mosler Bonds (che anzi me li hanno ispirati, insieme ai MEFO bills di Hjalmar Schacht).I CCF sono anch’essi titoli utilizzabili per pagare tasse e qualsiasi altra obbligazione finanziaria nei confronti dello stato emittente; nella mia proposta, a partire da due anni dopo la loro emissione.Il mio progetto CCF non prevede di emetterli al posto dei normali titoli di stato, bensì di assegnarli gratuitamente a cittadini e aziende. I riceventi si troverebbero in mano uno strumento finanziario che ha valore fin da oggi: è vero che sarà utilizzabile nei confronti dello stato in un futuro prossimo, ma sarebbero subito monetizzabili (con uno sconto finanziario non molto diverso da quello dei normali titoli di stato) vendendoli a soggetti che hanno la necessità di pagare tasse, imposte ecc. in futuro.In questo modo si verifica subito un forte incremento della capacità di spesa e della domanda.Inoltre una parte delle assegnazioni è diretta alle aziende, in proporzione ai costi di lavoro da esse sostenuti. In questo modo, il loro costo del lavoro per unità di prodotto scende e si porta all’incirca al livello della Germania. Questo evita che la maggior domanda prodotta dalle assegnazioni di CCF si rivolga in misura eccessiva a prodotti importati, e impedisce il ricrearsi degli squilibri commerciali che sono all’origine dell’eurocrisi.L’Italia, attuando il progetto CCF, avvierà subito una rapida ripresa di domanda, PIL e occupazione. Il riallineamento di competitività migliorerà l’export e produrrà la sostituzione di una quota di import con produzioni interne. Questo compenserà il maggior import dovuto alla maggior domanda interna: i saldi commerciali italiani rimarranno in equilibrio (come sono oggi), ma con livelli di PIL, import, export e occupazione molto più alti.I CCF e i Mosler Bonds possono peraltro essere usati congiuntamente. E’ opportuno che, dal momento dell’avvio del progetto, lo stato italiano non emetta più titoli tradizionali, ma rifinanzi BOT e BTP in scadenza con Mosler Bonds, che sono titoli che NON comportano (per loro natura) rischio di default e non possono quindi essere considerati debito (come non sono debito i CCF).In questo modo si riduce rapidamente la quota di debito pubblico italiano soggetto a rischio di default, cioè del debito che è effettivamente tale. Questa è, tra parentesi, l’unica via tramite la quale è possibile raggiungere gli obiettivi del “fiscal compact”.Ricordo che il “fiscal compact” ha come obiettivo di ridurre il rapporto tra debito pubblico e PIL dei vari paesi per evitare che si verifichino altri “casi Grecia”: ovvero default del debito pubblico di singoli stati che costringano gli altri a intervenire per evitare dissesti finanziari, fallimenti di banche eccetera.Il problema è che il “fiscal compact”, nella situazione attuale, impone ai vari stati politiche restrittive che aggravano la depressione della domanda e del PIL e che – come ampiamente dimostrato dalle vicende degli ultimi due anni – rendono impossibile raggiungere gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL (anzi lo peggiorano fortemente).Una volta che, mediante l’assegnazione di CCF, l’Italia avrà rilanciato domanda, PIL e occupazione e riallineato la competitività delle proprie aziende con quella tedesca; e, mediante l’emissione di Mosler Bonds, avrà rapidamente ridotto i rischi di default sul debito pubblico residuo – a quel punto saranno stati conseguiti tutti gli obiettivi sostanziali che, diversamente, richiederebbero il break-up dell’euro e la reintroduzione della lira.Tutto ciò, senza attuare una deflagrazione dell’eurozona ed evitando tutte le possibili conseguenze che preoccupano vari soggetti: niente rivalutazione della moneta usata nel Nord dell’eurozona; niente svalutazione dei crediti nei confronti di residenti italiani; niente turbolenze sui mercati finanziari; nessuna conversione forzata dei risparmi delle famiglie italiane.Il progetto qui descritto è, a tutti gli effetti pratici, una “euroexit” in quanto svincola l’Italia (e gli altri paesi che lo attueranno con modalità analoghe) dalle restrizioni e dalle pesantissime negatività del sistema monetario oggi in essere. E’ però un’uscita non deflagrante: non si spacca nulla, ma ci si “sfila” (elegantemente, se mi permettete…Marco Cattaneo