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“Si poteva agire più rapidamente due anni fa, ma c’è sempre una prima volta”. Così il premier Mario Monti ha commentato a Bruxelles l’approvazione del piano di salvataggio da 130 miliardi di euro per la Grecia, che ha ottenuto oggi il via libera dalle autorità europee. Per mettere in sicurezza la Repubblica Ellenica, il copione imposto al governo di Atene è comunque quello di sempre: una cura lacrime e sangue, che dovrebbe portare a una riduzione del debito pubblico dal 160 al 120% del pil in 8 anni, attraverso il raggiungimento di un avanzo primario di 3,6 miliardi di euro entro il 2014. Tra gli economisti, però, è sempre più nutrita la schiera di chi, per uscire dalla crisi, indica una strada opposta e alternativa a quella intrapresa dall’Unione Europea e caldeggiata fortemente dalla Germania. Negli Stati Uniti come in Europa, infatti, si stanno facendo spazio le tesi della Modern Monetary Theory (Mmt), nuova teoria che viene considerata la naturale evoluzione del pensiero di John Maynard Keynes, il celebre economista britannico che ispirò il New Deal americano, cioè il piano di investimenti pubblici con cui il presidente Roosvelt riuscì a traghettare gli Stati Uniti e il mondo intero fuori dalla Grande Depressione del 1929. Come pensava Keynes circa 80 anni fa, gli esponenti della Mmt ritengono che, in un’economia già stagnante, le politiche di rigore siano un rimedio peggiore del male: nel caso della Grecia ma anche del Portogallo (che ha appena varato un piano di austherity, in cambio di un finanziamento internazionale da 78 miliardi di dollari), l’aumento delle tasse e la riduzione della spesa pubblica hanno fatto precipitare i paesi in recessione, aggravando ancor di più il disastro dei loro conti pubblici. Per uscire dalla crisi, dunque, ci vuole ben altro. Keynes proponeva un piano di interventi pubblici nell’economia, finanziato con i disavanzi di bilancio, come fecero gli Stati Uniti nel 1929 e come stanno facendo oggi, a differenza dell’Europa. Gli esponenti della Modern Monetary Theory la pensano più o meno allo stesso modo, aggiungendo però un particolare: poco importa se i debiti pubblici di alcune nazioni sono già alle stelle e, sui mercati finanziari, nessuno vuole più sottoscrivere i titoli di stato dei paesi maggiormante disastrati. Le banche centrali hanno infatti una capacità pressoché infinita di coprire i deficit governativi e di finanziare il debito. Come? Semplicemente stampando nuova moneta, che poi è il compito da sempre stato affidato alle autorità monetarie delle nazioni, sin dalle loro origini. Certo, chiunque abbia studiato i fondamenti dell’economia non può ignorare un aspetto importante: quando si stampa troppa moneta, c’è il rischio che il denaro in circolazione si svaluti velocemente, generando una spirale inflazionistica, cioè un aumento dei prezzi al consumo, come temono anche i membri dell’establishment finanziario europeo, soprattutto quelli di estrazione tedesca. Gli esponenti della Mmt, propongono però una nuova prospettiva di analisi. Il rischio di una fiammata dell’inflazione non esiste sempre, “ma soltanto quando la quantità di denaro messo in circolazione dalla spesa pubblica, finanziata con il disavanzo, è troppo grande in rapporto alle risorse disponibili nell’economia”, dice Andrea Terzi, professore al Franklin College Switzerland di Lugano (con una cattedra di economia monetaria anche alla Cattolica di Milano), che si considera senza reticenze un esponente della Modern Monetary Theory (alla quale ha dedicato anche delle apposite analisi pubblicate dalla fondazione Educatt). Non sempre, a detta degli studiosi della Mmt, l’immissione massiccia di denaro sul mercato genera infatti un aumento dei prezzi, soprattutto in una situazione come quella in cui si trova oggi l’Europa che, sottolinea Terzi, “è nel pieno della recessione”. Inoltre, non va dimenticato che esistono anche delle modalità virtuose per iniettare liquidità sul mercato, senza generare il rischio-inflazione. Una di queste, per esempio, è quella adottata dal presidente della Bce Mario Draghi che, come sostiene anche il celebre economista statunitense Paul Krugman, ha salvato il sistema dei bancario europeo dal collasso, abbassando i tassi d’interesse e aumentando le riserve di denaro a disposizione degli istituti di credito. Ancora snobbata dall’establishment finanziario internazionale e dai profeti del rigore di bilancio, la Modern Monetary Theory sta conquistando sempre più nuovi adepti nel mondo accademico. A sposare queste tesi rivoluzionarie, infatti, non c’è soltanto l’italiano Terzi ma anche molti economisti d’Olteoceano come Randall Wray, Stephanie Kelton, James K. Galbraith (figlio di John Kenneth, il principale studioso della Grande Depressione), il keynesiano britannico Robert Skidelsky e l’australiano Bill Mitchell. Senza dimenticare Warren Mosler che alla fine degli anni ‘90, quando era soltanto un oscuro analista finanziario, si conquisto le lodi del celebre economista inglese Charles Goodhart, per aver descritto in maniera profetica la nascita dell’euro come un’operazione ad alto rischio. “Il lavoro di Mosler, come quello di altri studiosi” dice Terzi, “hanno dato vita in questi anni a un nuovo, possibile paradigma di economia monetaria”. Spesso sono i personaggi poco noti, ma capaci di elaborare idee rivoluzionarie, a cambiare la storia.
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