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Letta e la Commissione UE. Fare i bravi scolaretti non premia

Post n°1642 pubblicato il 20 Novembre 2013 da Lucky340
 

Nonostante i compiti a casa, veniamo spediti a letto senza cena; e altri ceffoni, poco paterni, per la verità, sono in arrivo.

La bocciatura da parte della Commissione della nostra legge di stabilità, innanzitutto, è una sonora sconfitta della linea Letta e non è la prima cattiva notizia.

Svanisce così la possibilità di ricorrere alla "golden rule", il surplus per gli investimenti strategici da scorporare dal computo del deficit, che è stata in questi mesi agitata da Letta e Saccomanni come il premio che avremmo ricevuto qualora ci fossimo comportati da bravi scolaretti, non superando la soglia del 3% del rapporto deficit/Pil.

Perché, va dato atto a Letta, siamo stati realmente fra i primi della classe, registrando un avanzo primario da Guinness. Ma, nonostante i sacrifici, il premio non arriva. Anzi, dovremo probabilmente rinunciare anche a quelle (poche) politiche di sollievo fiscale che il nostro governo, con la camicia di forza dell'austerità, era riuscito a implementare.

Il gettito della manovra, a detta della Commissione, è minore di quanto previsto dal Mef, e potrà dunque scattare la clausola di salvaguardia che annullerà la riduzione delle tasse promessa.

Infine, il parlamento di Strasburgo ha appena approvato i nuovi fondi strutturali "condizionati"; una pessima idea, voluta dalla Germania.

I fondi europei, d'ora in poi, saranno erogati solo se il paese beneficiario non supererà la soglia deficit/Pil del 3% o in assenza di grossi squilibri macroeconomici. Se sgarriamo, dunque, niente soldi.

Sfruttare i fondi strutturali, d'altronde, sarà sempre più una corsa ad ostacoli, fra principio di "addizionalità", ovvero di compartecipazione degli Enti locali - perennemente in pre-dissesto - alla spesa finanziata dall'Europa, e i lacci e lacciuoli del Patto di Stabilità interno.

Ora, sarebbe semplicistico affermare che Letta ha sbagliato a puntare sulla strategia del bravo scolaretto, perché c'erano poche strade percorribili. Ma non ha fatto nulla per costruire alternative che, comunque, c'erano e ci sono nel dibattito politico internazionale.

Mesi fa, personalità di spicco del Pd, come Romano Prodi e Gianni Pittella, si erano impegnati per pretendere forme di mutualizzazione del debito in cambio dell'adozione della disciplina fiscale.

Ci saremmo aspettati che Letta tornasse a incalzare Sigmar Gabriel sugli eurobond, in occasione della sua recente visita al congresso della Spd, dato che per il presidente socialista questi strumenti erano oggetto della contrattazione con Merkel per la nascita del nuovo governo.

Il premier, invece, ha sempre preferito tenere un basso profilo che alla fine non ci ha premiato. E ora i nodi vengono al pettine.

Perché non abbiamo denunciato che la violazione delle regole sul surplus commerciale tedesco da parte della Commissione sono un bluff, non prevedendo sanzioni?

Perché abbiamo chinato il capo di fronte alle minacce di una nuova procedura d'infrazione per lo sforamento della soglia del 3%, quando la Francia non è stata punita con un rapporto deficit/Pil del 4,1%?

Perché non denunciare la concorrenza sleale della Germania con i suoi mini-job sottopagati e l'indifferenza di Barroso?
Perché insistiamo in questo masochistico autodafè sui limiti della nostra competitività, senza rilevare che l'Euro è tenuto artificialmente basso, per agevolare Berlino e penalizzare i paesi periferici dell'Eurozona come l'Italia?

In Europa, le regole s'interpretano per gli amici e si applicano ai bravi scolaretti. Capisco che Letta, uomo dall'alto profilo istituzionale, abbia paura di "attaccare l'Europa" e di esporla alla critica dei populisti.

Ma questa non è l'Europa socialista e democratica che Letta dovrebbe difendere per logiche di scuderia.
Barroso è del Ppe. La Commissione è stata votata da un parlamento a maggioranza conservatrice. E lo stesso Consiglio che ha redatto il Fiscal compact era dominato da Merkel, Sarkozy, Rajoy, Cameron e Berlusconi.

Il rischio, allora, è di sbagliare ancora una volta e svendere il nostro patrimonio pubblico per venire incontro alle richieste dei cattivi maestri europei.

L'effetto della vendita di asset come Eni ed Enel per ridurre il debito, ad esempio, sarebbe addirittura negativo perché il rendimento di quelle azioni è superiore agli interessi pagati sul debito che verrebbe eliminato dalla vendita delle partecipazioni.

In questo scenario, fare i bravi scolaretti diventa pericoloso, oltre che inutile.

 

Alessio Postiglione da HuffingtonPost.it

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