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Nazionalizzazione del debito pubblico e buoni fiscali per rilanciare l'economia senza austerità_Parte 2^

Post n°2003 pubblicato il 25 Maggio 2018 da Lucky340
 

di Enrico Grazzini

Parte_2^

Le proposte di Padoan, Visco e Cottarelli: l'avanzo primario dovrebbe passare dal 2 al 4%. 

Come uscire dalla crisi? Le grandi banche d'affari e gli investitori finanziari, la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale propongono e impongono manovre basate su nuovi tagli alla spesa pubblica (spending review) e al costo del lavoro, sulla privatizzazione dei servizi pubblici e in pratica sulla svendita delle risorse nazionali. 
Ma l’“austerità espansiva” tende a ridurre il PIL e a segare l'albero in cui si è seduti. Infatti in situazione di crisi e di forte sottoutilizzo delle risorse produttive il moltiplicatore è superiore a uno. Questo vuole dire che se diminuisci la spesa di un euro, o se aumenti le tasse di un euro, il PIL si riduce più di un euro. Quindi il rapporto debito/PIL aumenta, come hanno dimostrato le manovre controproducenti effettuate dal governo Monti e dai governi successivi. Quando arrivò a Palazzo Chigi nel novembre 2011 per salvare il Paese da un destino greco, Mario Monti trovò una ratio debito/PIL al 119%, mentre quando se ne andò, dopo una dose da cavallo di austerità, quella stessa ratio era al 126,5% semplicemente perché il PIL era diminuito. 
Dunque, l'austerità non funziona. Questa ricetta provoca la rovina della economia e della società italiana, la fine della coesione sociale e la subordinazione dell'economia italiana al capitale estero e agli stati forti (Germania e Francia, e ovviamente USA ed UK). Così ci avviamo tristemente verso il suicidio dell'economia e della società italiana. 
Dobbiamo sentirci in colpa per avere acceso troppi debiti? Viviamo al di sopra delle nostre possibilità? È vero il contrario. Gli italiani hanno vissuto per oltre due decenni al di sotto delle loro possibilità per pagare con le loro tasse gli interessi sul debito agli investitori nazionali e internazionali. E i politici italiani da troppo tempo si sono subordinati agli interessi del grande capitale finanziario invece di fare gli interessi dei cittadini e degli elettori. Per questo motivo tutti i partiti al governo hanno finora perso le elezioni. 
Dal 1992 in poi, con una sola eccezione (nel 2009), l'avanzo primario italiano – che segnala il fatto gravissimo che i contribuenti pagano più tasse di quanto lo stato spende per i servizi ai cittadini - vale circa l'1-2% del PIL (dai 20 ai 30 miliardi circa). Questi avanzi non sono stati e non sono tuttora sufficienti a coprire gli oneri del debito (circa 60-80 miliardi all'anno). Anche dopo avere riscosso più tasse di quanto spende, lo stato italiano (senza più sovranità monetaria) è quindi costretto a rivolgersi alle banche d'affari e ai mercati per pagare gli interessi sui debiti che deve alle banche d'affari e agli operatori di mercato! 
Per raggiungere il pareggio di bilancio, l'ineffabile Pier Carlo Padoan, ex ministro delle Finanze, intende fare crescere l'avanzo primario dall'1,7% del PIL del 2017 al 3,7% circa del 2020. Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia è ancora più drastico: secondo Visco “con un tasso di crescita annuo intorno all’1%, l’inflazione al 2% (coerente con l’obiettivo della Bce) e con l’onere medio del debito in graduale risalita verso i valori osservati prima della crisi, sarebbe necessario mantenere l’avanzo primario intorno al 4% del Pil per ridurre il debito pubblico italiano al disotto del 100% entro dieci anni”. 
In questo modo i contribuenti dovrebbero essere spremuti e pagare ogni anno ai creditori dello stato circa 60-70 miliardi all'anno per servire il debito pubblico. Si tratta di un gigantesco e insopportabile salasso che va a scapito della sanità, delle pensioni, dell'istruzione e della ricerca, e che è completamente a favore della grande finanza. 
Anche secondo Carlo Cottarelli, economista, già commissario alla Spending Review, e prima ancora capo del dipartimento Politiche di bilancio al Fondo monetario internazionale, attualmente direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica, per ridurre il rapporto debito/PIL l'avanzo primario deve raddoppiare nei prossimi tre anni e passare dal 2 al 4%[5]. 
Secondo Cottarelli, che si è anche proposto come capo “tecnico” (cioè non eletto dai cittadini) di un futuro governo, basterebbe sostanzialmente congelare le spese e le tasse in termini reali e fare affidamento sulla (peraltro debole e incerta) crescita nominale del PIL per riuscire a diminuire il rapporto debito/PIL. 
L'ex economista del FMI, è ottimista: per lui il debito pubblico è sostenibile, a patto che non accadono “shock esterni” e che …. i cittadini stringano ancora la cinghia! I dati esposti dall'ex economista del FMI sono questi: la maturity del debito è di 82,81 mesi (quasi sette anni). Il tasso d’interesse medio ponderato dello stock dei titoli in circolazione si attesta al 2,77%: quindi è superiore alla crescita del PIL nominale. Tuttavia attualmente il tasso medio all’emissione è ai minimi storici: 0,68% è il tasso medio nel 2017. 
Secondo Cottarelli, per tutti questi motivi, al netto di avvenimenti straordinari esogeni (nuove crisi finanziarie o politiche), il debito per i prossimi due/tre anni dovrebbe relativamente sostenibile e resiliente. L’unico evento realmente critico per la sostenibilità del debito pubblico italiano sarebbe una eventuale e prossima recessione globale che coinvolga anche l’Italia. 
Cottarelli appare però troppo ottimista: ammesso e non concesso che non ci saranno shock economici esterni, la sua soluzione sarebbe molto fragile e non rappresenterebbe la svolta necessaria per l'economia italiana. I creditori sarebbero gli unici beneficiari del mostruoso avanzo primario che Cottarelli auspica. Ma il 4% di avanzo primario non è stato richiesto dalla famigerata Troika neppure alla Grecia per saldare il suo debito. La Troika si è “accontentata” del 2,5% circa. 
Un'altra soluzione sarebbe invece assai più efficace e non dolorosa: uno stato che controllasse una banca pubblica potrebbe farsi finanziare il deficit dalla sua banca pagando un interesse vicino a quello che la BCE offre da anni – cioè un tasso di interesse vicino allo zero -. In questo modo il debito pubblico comincerebbe da subito a diminuire[6]. 

Le proposte alternative per ridurre il rapporto debito/PIL: alcune efficaci, altre velleitarie 

Circolano diversi progetti alternativi a quelli ufficiali basati sull'austerità e sulla crescita dell'avanzo primario; però solo alcuni di questi sono effettivamente efficaci. 
In via preliminare occorre sottolineare che le soluzioni effettivamente praticabili per ridurre il debito e fare ripartire l'economia dovrebbero godere delle seguenti caratteristiche fondamentali: 
- rispettano le regole attuali dell'eurozona e le regole di mercato e quindi non producono nuove rotture drammatiche e ulteriori crisi finanziarie, istituzionali e economiche che potrebbero essere definitivamente rovinose per l'economia italiana. Non avanzo per esempio proposte di ripudiare o “ristrutturare” il debito, o di non rispettare lo stupido e iniquo trattato di Mastricht. Mi propongo invece di osservare in pieno le norme europee e le regole di mercato, non perché le ritenga giuste ed efficienti, tutt'altro! ma per evitare ulteriori problemi, nuove crisi e probabili ritorsioni. 
- non provocano rotture e proteste sociali, anzi tutelano la coesione sociale, il risparmio e le attività produttive. Non propongo le solite ricette finora applicate, come ridurre le pensioni, le spese per la sanità, l'istruzione e la ricerca, o aumentare le tasse. Se, come suggerisce l'OECD, per pagare i creditori si aumentassero le imposte sulle ricchezze dei super-ricchi (il 10% della popolazione italiana che controlla il 43% della ricchezza totale) si verificherebbe quasi certamente una precipitosa fuga dei capitali. E se si imponessero imposte straordinarie ai cittadini italiani per diminuire il debito pubblico, si scatenerebbe una forte protesta sociale. Le proposte che qui si avanzano tendono a essere socialmente eque e vogliono evitare di aggravare i problemi sociali. 
- non pretendono di risolvere subito problemi strutturali e cronici, che devono essere assolutamente affrontati, ma che per loro natura richiedono tempi medi e lunghi di risoluzione. Non proporrò quindi di sistemare subito i problemi del mercato del lavoro e della produttività; dell'evasione e dell'elusione fiscale; della corruzione dilagante e della sottrazione di risorse da parte dell'economia criminale, ecc, ecc. Le riforme per l'equità e lo sviluppo sostenibile sono indispensabili ma sono complesse e hanno scadenze lunghe. La ripartenza dell'economia deve invece essere rapida. 
- sono tecnicamente praticabili in tempi brevi o medi. Occorre fare presto per risolvere la crisi italiana: la crisi dell'eurozona potrebbe essere incombente e l'Italia è l'anello più debole della catena. A livello globale quasi tutti gli analisti prevedono possibili imminenti crisi finanziarie. Il ciclo positivo dell'economia finanziaria mondiale si sta chiudendo sotto il peso di un enorme e crescente debito globale e nuove tempeste internazionali potrebbero colpire in particolare i paesi più esposti, come l'Italia. Le proposte qui esposte costituiscono una sorta di carburante per rimettere in moto un motore che si è spento. Solo un motore con la benzina può ripartire ed essere poi aggiustato o modificato. Se invece l'economia è schiacciata dal peso del debito pubblico, non può né ripartire né essere riformata. 
- possono essere decise e attuate autonomamente dai governi e dai parlamenti nazionali. Questo è il punto cruciale, decisivo. Il fallimento di ogni iniziativa è assai probabile se non si esercita una autonoma sovranità decisionale e se i centri di potere deliberativo sono all'estero. È ovvio che le soluzioni che richiedono l'assenso dei centri decisionali dell'eurozona per essere realizzate - e che quindi abbisognano del consenso della Commissione UE, del Consiglio Europeo, della Banca Centrale Europea, dell'Eurogruppo, e dei governi che dominano l'Europa, in primis quelli di Berlino e Parigi – hanno assai meno probabilità di essere attuate concretamente. 
È per esempio praticamente e politicamente impossibile “riformare” la BCE (come chiedono alcuni economisti) in maniera tale che essa continui il QE per aiutare gli stati deboli. Ed è anche irrealistico proporre che la BCE cancelli o che congeli (per esempio per i prossimi 50 anni) i debiti pubblici già acquistati, come è stato ripetutamente proposto da molti economisti e politici “riformatori” dell'eurozona[7]. Occorre prendere atto definitivamente che i governi tedeschi e quelli del nord Europa (Francia compresa) non approveranno mai la monetizzazione dei debiti pubblici e una politica di cooperazione che possa comportare anche un minuscolo trasferimento di risorse a favore dei Paesi del Mediterraneo. 

Minenna e l'assicurazione sul debito pubblico: ma l'ingegneria finanziaria non funziona per ridurre il debito 

Per garantire il debito pubblico italiano e dei paesi dell'eurozona, Marcello Minenna propone che i paesi dell'eurozona paghino un premio assicurativo allo European Stability Mechanism (ESM), il cosiddetto “fondo Salvastati” [8]. Il debito pubblico italiano verrebbe gradualmente assicurato dall'ESM – che riceverebbe per questo un pagamento da parte italiana - fino alla copertura integrale dei debiti nel giro di una decina di anni[9]. 
In dieci anni, secondo i calcoli di Minenna, l'Italia pagherebbe circa 56 miliardi di euro al ESM sotto forma di premi assicurativi. Gli investimenti pubblici associati e alimentati dall'ESM aumenterebbero però il PIL dell'Italia di 150 miliardi di euro.[10] 
La proposta di Minenna è stata fatta propria dalla nuova formazione di sinistra Liberi e Uguali. Inoltre è ben vista dalla CGIL e trova buona accoglienza presso il Movimento 5 Stelle. Secondo Minenna “i titoli emessi costituirebbero un primo embrione di eurobond, capace di archiviare definitivamente lo spread e di restituirci una curva dei rendimenti governativi unica nell’area euro”. 
I problemi relativi a questa proposta sono però che: 1) esistono rischi non assicurabili dai mercati ma coperti (parzialmente) solo dallo stato - come i terremoti per esempio, o l'inquinamento radioattivo legato ai disastri nucleari - e lo stock del nostro debito appare tra quelli; 2) i valori di mercato dei premi assicurativi da pagare non sono mai stabili. Se c'è crisi, il premio per garantire il debito andrebbe alle stelle. Quale valore dovrebbe allora applicare l'ESM al debito pubblico italiano? 3) è davvero estremamente improbabile – per non dire impossibile - che il Fondo Salvastati a guida franco-tedesca voglia garantire il debito italiano; se Berlino e Parigi accettassero di garantire con i loro fondi il debito pubblico italiano chiederebbero un rendimento elevato e soprattutto la possibilità di gestire direttamente la politica di bilancio italiana. I due governi esteri invocherebbero sicuramente l'arrivo della cosiddetta Troika (UE, BCE, FMI) o qualcosa di molto simile. 
Anche Carlo Bastasin, Marcello Messori, Gianni Toniolo ritengono che l'European Stability Mechanism possa e debba giocare un ruolo essenziale per risolvere la crisi italiana del debito[11]. In pratica propongono che l'ESM acquisti temporaneamente parte del patrimonio pubblico italiano in modo da alleggerire in modo sostanziale il debito e da soddisfare i vincoli del Fiscal Compact[12]. Il patrimonio acquisito temporaneamente dall'ESM verrebbe però, tramite apposita opzione contrattuale tra Italia e ESM, restituito a scadenza concordata, per esempio dopo circa 10 anni. Dopo che l'Italia ha risanato i conti pubblici, l'ESM rivenderebbe le quote acquistate allo stato italiano a prezzi convenuti dall'inizio. 
Ma anche questo progetto appare nella pratica velleitario e irrealizzabile. E' politicamente assai difficile imporre all'ESM l'obbligo di acquistare quote di fondi patrimoniali dei paesi debitori e di restituirle poi a termine. E' difficile che Berlino e Parigi siano interessate a una simile proposta. Inoltre, sul fronte interno, la costituzione di un fondo patrimoniale nazionale sarebbe particolarmente complessa; e sarebbe politicamente difficile per uno stato cedere anche solo temporaneamente una parte sostanziale del proprio patrimonio pubblico a una istituzione europea: l'opinione pubblica potrebbe non accogliere benevolmente questo “esproprio”. 

Richard Werner: lo stato deve indebitarsi con le banche e non con i mercati finanziari[13] 
Secondo l'autorevole economista tedesco Richard Werner, la soluzione più efficace e immediata per diminuire il debito pubblico è quella che lo stato si faccia prestare i soldi direttamente dalle banche commerciali invece di indebitarsi – come fa attualmente - con i mercati finanziari emettendo titoli negoziabili.[14] 
Secondo Werner, i governi per finanziare i deficit pubblici dovrebbero preferibilmente indebitarsi direttamente con le banche private – o possibilmente con una banca pubblica, aggiungo io - accendendo dei prestiti di lunga durata a bassi tassi di interesse. Infatti nella quasi totalità dei casi, i prestiti concessi dalle banche ai grandi enti economici hanno tassi di interesse più bassi di quelli applicati sul mercato finanziario. Inoltre (e soprattutto) i prestiti bancari non sono soggetti alle incertezze e alla dinamica altalenante e speculativa del mercato dei titoli di Stato, e non sono soggetti alle valutazioni spesso erronee e tendenziose delle agenzie di Rating: queste hanno spesso emesso giudizi di downgrade che hanno danneggiato gli stati e i settori pubblici e che hanno contribuito non poco alla crisi dei debiti sovrani. 
Una soluzione del tipo di quella attualmente proposta da Werner venne adottata in Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale quando, anche su consiglio di John Maynard Keynes, il Tesoro britannico si fece prestare dalle banche dei fondi all'1,125% di interesse. 
Anche le banche potrebbero guadagnare dei notevoli vantaggi prestando soldi allo stato. Innanzitutto questi prestiti non sono valutati con il metodo mark to market e quindi rappresentano una voce contabile stabile e non soggetta a variazioni negative nelle fasi di crisi[15]; inoltre, secondo le regole di Basilea i prestiti allo stato sono classificati come sicuri, non richiedono di essere coperti da un incremento di capitale della banca prestatrice, e possono anche essere utilizzati come collaterali presso la BCE. Così le banche avrebbero il miglior rapporto capitale/rischio e potrebbero anche offrire più credito all'economia reale. 
Infine questa soluzione ha un merito che mi sembra di fondamentale importanza: essa permette di nazionalizzare il debito e di non esporlo alla speculazione di soggetti stranieri che, ovviamente, mirano al loro profitto e non all'interesse nazionale. E che sono più rapidi a fuggire nelle situazioni di crisi, cioè proprio nei momenti in cui c'è più bisogno di capitali. 
In base alla proposta di Werner si potrebbe ipotizzare che in Italia una banca pubblica, per esempio MPS, o anche un consorzio di banche e istituzioni finanziarie pubbliche e private, concedano prestiti di lungo periodo allo stato. Il tasso di interesse sarebbe stabile e vicino a quello BCE, cioè vicino allo zero, e la banca pubblica opererebbe come calmiere nei confronti del mercato finanziario. MPS, ma anche in futuro probabilmente Cassa Depositi e Prestiti e Poste Italiane, o magari anche Intesa Sanpaolo, potrebbero giocare un ruolo importante in questo senso. 
Se la banca pubblica assumesse i debiti di stato, una quota parte degli interessi maturati sui crediti concessi allo stato ritornerebbe allo stato azionista sotto forma di dividendi sugli utili con grande vantaggio per le casse pubbliche. Il comma 2 dell'articolo 123 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede già che gli enti creditizi di proprietà pubblica possano ricevere finanziamenti dalla BCE[16]. E niente impedisce che questi finanziamenti siano utilizzati per prestiti allo stato. Su un debito pubblico italiano attuale di circa 2.200 miliardi e scadenze annuali di circa 400 miliardi, questo significherebbe pagare interessi annui per circa 10 miliardi invece che per gli oltre 60 attuali. 
Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni hanno avuto uno scambio di mail con la BCE a proposito della possibilità che banche pubbliche assumano i debiti di stato[17]. E, a loro richiesta, la BCE ha così risposto: “il divieto di scoperto bancario e di altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si applica agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. Inoltre, in riferimento a banche pubbliche: “gli istituti di credito possono liberamente prestare i soldi ai governi o comprare i loro titoli di stato, nonché prestare soldi a qualsiasi cliente”. Il via libera da parte della BCE appare scontato. 

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