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Non intendo sollecitare investimenti.
Chiunque utilizzi spunti derivanti dalla mia analisi  agisce a proprio rischio e pericolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Messaggi di Marzo 2014

Usciamo dalla crisi con la Riforma Morbida dell' EURO e dell’economia italiana

Post n°1685 pubblicato il 27 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Riforma Morbida del sistema monetario e dell’economia italiana: principali caratteristiche e vantaggi rispetto al break-up dell’euro

Le controindicazioni di un processo di break-up dell’euro derivano dal fatto che una serie di rapporti contrattuali e di posizioni di debito e credito subiscono una conversione della valuta in cui sono espressi.

Stipendi, pensioni, contratti d’affitto, contratti di fornitura, contratti di finanziamento, in caso di break-up trasformano la loro valuta di denominazione in una moneta di minor valore.

Confusione, complicazioni, contenziosi legali, effetti redistributivi, incertezza sulle reazioni delle controparti, turbolenze sui mercati finanziari, instabilità del sistema bancario, sotto TUTTE in un modo o nell’altro conseguenze derivanti dalla ridenominazione dei contratti in essere al momento del break-up.

Sono prevedibili forti ostilità a qualsiasi ipotesi di questa natura da parte di gruppi d’interesse molto influenti quali:

le aziende tedesche e degli altri paesi dell’area ex-marco, che si troverebbero immediatamente a operare con una moneta rivalutata; e i mercati finanziari, dove gli operatori che detengono crediti verso l’Italia subirebbero una perdita sui loro crediti.

Tuttavia anche i cittadini italiani, compresi molti di coloro che stanno sempre più capendo la relazione tra disfunzionalità del sistema monetario e problemi economici del paese, vivono comunque con disagio la possibilità di vedere i loro risparmi, le loro retribuzioni e le loro pensioni trasformate in un’unità monetaria di minor valore.

Queste ultime preoccupazioni sono di natura prevalentemente psicologica, in quanto non c'è da aspettarsi l'emergere di fenomeni inflattivi (in seguito al break-up) se non su scala molto inferiore all’entità della svalutazione. Ma costituiscono comunque un forte freno all’emergere di un netto consenso della pubblica opinione in favore del break-up.

Ci sono poi le difficoltà tecniche di gestire un processo di break-up senza che si producano fughe di notizie, turbative di mercato, corse agli sportelli bancari e fughe di depositi, eccetera.

Una riforma del sistema monetario che permette di conseguire TUTTI i risultati che ci si propongono in seguito al break-up:

PRIMO, eliminazione degli squilibri di competitività tra paesi appartenenti all’eurozona

SECONDO, sviluppo di politiche economiche di pieno impiego

TERZO, finanziamento del settore pubblico senza emettere debito in una moneta che lo stato non gestisce e non controlla

senza che si ridenomini nessuno dei rapporti contrattuali pregressi è quindi nettamente più efficace e meno rischiosa di un break-up, suscita di gran lunga meno ostilità, meno inquietudini e dubbi nella pubblica opinione, e ha difficoltà di esecuzione enormemente inferiori.

Tra l’altro, la Riforma Morbida è attuabile SENZA che debbano essere effettuate richieste di alcun tipo ad altri stati membri dell’Eurozona e in particolare alla Germania (richieste quali eurobond, trasferimenti finanziari o qualsiasi altra forma di sostegno).

La strada da seguire non è quindi di rottura, ma di affiancamento e sostituzione.

Fermo restando che tutti gli effetti benefici del recupero di sovranità monetaria possono, e devono, essere conseguiti immediatamente.

 
 
Tutto quanto sopra esposto è ottenibile con un processo articolato nei seguenti passaggi.

UNO: Certificati di Credito Fiscale (CCF) vengono assegnati gratuitamente a cittadini e aziende, e utilizzati dallo stato per finanziare provvedimenti di spesa. Le assegnazioni annue sono adeguate, in quantità, a riportare l’economia italiana al pieno impiego (stima attuale: 200 miliardi annui). Una quota è assegnata alle aziende in funzione dei costi di lavoro sostenuti, per riportare la loro competitività al livello dei paesi più efficienti dell’Eurozona (principalmente la Germania: stima attuale 80 miliardi annui) ed evitare il formarsi di sbilanci commerciali (l’obbiettivo è un saldo import-export tendenzialmente in pareggio).

DUE: I CCF, che possono anche essere denominati Lire Fiscali, saranno negoziabili tra gli assegnatari e il sistema bancario (gli assegnatari potranno cioè convertirli in euro) e anche utilizzati in transazioni tra privati. Sicuramente tramite supporti elettronici / informatici; eventualmente potranno essere emessi titoli bancari cartacei al portatore rappresentativi di Lire Fiscali (in pratica sarebbero banconote: da valutare le esigenze di compatibilità con l’art. 105 del trattato di Maastricht).

TRE: con effetto immediato, lo Stato italiano cesserà di emettere titoli di debito pubblico in euro. Le emissioni saranno esclusivamente denominate in Lire Fiscali: daranno quindi diritto al rimborso di capitale e interessi in moneta utilizzabile per pagare obbligazioni finanziarie verso lo Stato italiano.

QUATTRO: nessun rapporto di debito / credito, nessun contratto, nessun rapporto di lavoro, nessun impegno per pagamento di pensioni (eccetera) verrà convertito da euro a Lire Fiscali.

CINQUE: tuttavia è prevedibile che i NUOVI contratti di lavoro, finanziamento eccetera vengano sempre più spesso stipulati in Lire Fiscali e non in euro.

SEI: nel giro di qualche anno con ogni probabilità l’utilizzo della Lira Fiscale (moneta sovrana) risulterà predominante rispetto a quello dell’euro (moneta non sovrana).
 
Riguardo ai rapporti con l’Unione Europea, va precisato che quanto sopra deve essere messo in atto SENZA trattative o richieste di autorizzazioni, in quanto non viola nessun trattato ed è, d’altra parte, ESSENZIALE per il ripristino di adeguate condizioni di occupazione e sviluppo.
 
Potrà essere tenuto un referendum per stabilire la completa cessazione dell’utilizzo dell’euro da parte della pubblica amministrazione italiana (in luogo del quale verrebbe, in questo caso, esclusivamente utilizzata la Lira Fiscale). Tutto questo però SUCCESSIVAMENTE a quanto esposto ai precedenti punti UNO, DUE, TRE e QUATTRO (e senza che il referendum sia precondizione per metterli in atto).

Marco Cattaneo su Basta con l'eurocrisi

 
 
 

Basta euro. Come uscire dall’incubo-2^ puntata

Post n°1684 pubblicato il 26 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

«Basta euro. Come uscire dall’incubo, 31 domande e 31 risposte, la verità che nessuno ti dice” è il titolo del volumetto curato dal professor Claudio Borghi Aquilini con postfazione di Matteo Salvini, liberamente scaricabile dal sito www.bastaeuro.org.


2) Senza l’Euro diventeremmo tutti ricchi?
No, ovviamente per competere nei mercati internazionali occorre molto lavoro e ci vogliono molti miglioramenti perché abbiamo uno Stato inefficiente. Se bastasse avere una moneta propria per essere ricchi sarebbe troppo bello. Molte cose non semplici devono essere fatte, come rendere la giustizia più rapida, abbassare le tasse, aiutare le imprese perché producano meglio, ridurre la burocrazia, fare più ricerca ecc., tuttavia il peso di una moneta sbagliata è notevolmente superiore rispetto a questi altri fattori. Si tratta di quella che si dice una “condizione necessaria ma non sufficiente”. Non possiamo certo pensare di uscire dall’Euro e metterci a prendere il sole: bisognerà faticare, ma senza una nostra moneta correttamente valutata anche con la fatica non otterremo nulla.

3) Se eliminiamo l’Euro usciamo anche dall’Europa?
Posto che l’Italia sarà sempre in Europa con qualsiasi moneta, se si intende “Unione Europea” probabilmente no: un mercato di 60 milioni di persone è troppo importante per tutti. Non dimentichiamo che sono tanti gli Stati che fanno parte dell’Unione Europea pur non avendo l’Euro, dall’Inghilterra alla Svezia fino alla Danimarca. Le alleanze internazionali, come quelle che la Lega Nord ha stretto con i partiti che potrebbero risultare decisivi nel nuovo Parlamento Europeo, puntano proprio a “riscrivere le regole” dell’Unione in modo da realizzare una vera cooperazione su basi diverse dell’attuale “Europa dell’Euro”. Se invece, nonostante tutto, non si riuscisse a cambiare l’UE e questa continuasse a danneggiare la nostra economia con regole assurde, allora si potrebbe considerare di uscire anche dall’Unione, cosa che probabilmente non sarebbe una tragedia: la Gran Bretagna sta seriamente considerando di uscire e Paesi come la Svizzera o la Norvegia, pur senza avere l’Euro e non facendo parte dell’Unione Europea, non sono certo isolati dal mondo. Anzi, uscire dall’Unione Europea ci ridarebbe finalmente le “mani libere” per poterci gestire in autonomia e libertà, sia, ad esempio, per le politiche sull’immigrazione, sia con le regole per rendere più facile la vita alle piccole e medie imprese, penalizzate da vincoli europei gestibili solo dalla grande industria. 
Proprio la Svizzera è un esempio di che cosa vuol dire avere le mani libere e poter decidere in autonomia tasse, politiche sul lavoro e immigrazione. Chi abita vicino al confine Svizzero, poi, sa benissimo quale sia l’effetto della moneta: nei periodi in cui il Franco è debole tutti vanno a fare la spesa in Svizzera arricchendo il Canton Ticino e lasciando vuoti i negozi italiani; il contrario accade nei periodi in cui il Franco è forte.

da http://www.lapadania.net/

 
 
 

Basta euro. Come uscire dall’incubo-1^ puntata

Post n°1683 pubblicato il 25 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

«Basta euro. Come uscire dall’incubo, 31 domande e 31 risposte, la verità che nessuno ti dice” è il titolo del volumetto curato dal professor Claudio Borghi Aquilini con postfazione di Matteo Salvini, liberamente scaricabile dal sito www.bastaeuro.org. Da oggi, pubblicheremo ogni giorno una domanda con relativa risposta contenute nel libretto.
 
1)L’Euro è la causa principale della crisi? Perchè? 
 
Per tanti motivi, ma i principali sono che un’unica moneta per economie diverse non può funzionare, crea disoccupazione, rafforza chi è già forte e indebolisce chi è già in difficoltà. Senza il controllo sulla sua moneta uno Stato in recessione non può tentare di contrastare le crisi. Senza il controllo sulla sua moneta uno Stato non può avere nessuna autonomia e si riduce alla condizione di un Paese del Terzo Mondo, con governi fantoccio e costretti a supplicare per ottenere il denaro di cui ha bisogno. Nessuno Stato può dirsi padrone a casa propria se non ha il controllo della propria moneta.
Vediamo il perché con qualche esempio.
Di solito uno Stato con un’economia molto competitiva ha anche una moneta dalle quotazioni elevate perché tutti devono richiederla per poter comperare i suoi prodotti. La forza della moneta fa “alzare i prezzi” dei prodotti di questo Stato che quindi diventano meno convenienti e tutto torna in equilibrio. Uno Stato che per vari motivi si trova ad essere meno competitivo o che sta attraversando un momento di difficoltà, invece, avrà anche una moneta dal prezzo minore perchè i suoi prodotti sono meno richiesti. Se il valore della moneta cala, per il resto del mondo è come se scendesse tutto il “listino prezzi” dei prodotti di quello Stato, che diventano così più convenienti e più richiesti e si tende a ristabilire l’equilibrio anche in questo caso. Con l’Euro invec si ha uno strano caso in cui un paese poco competitivo e in difficoltà (come per esempio la Grecia) si ritrova la stessa moneta di un Paese aggressivamente competitivo e in crescita (come la Germania): il “listino prezzi” della Grecia risulterà quindi troppo caro mentre quello dei prodotti tedeschi sarà troppo basso. Il risultato è che in Grecia si muore di fame mentre in Germania si registra il record di esportazioni. Un caso simile fu quello dell’Argentina che bloccò per molti anni il prezzo della propria moneta a quello del dollaro finendo nel 2001 al fallimento, con le conseguenze di quel disastro che (unite ad altri errori) si fanno sentire ancora oggi. Pensiamoci: tutti i paesi dell’Europa periferica sono nelle stesse condizioni: povertà e disoccupazione da record indipendentemente dal colore dei governi, dal livello di tasse e spesa pubblica o dal maggiore o minor livello del debito pubblico. Se tante persone entrano in un ristorante, e tutte quelle che hanno ordinato una particolare pietanza finiscono all’ospedale, è probabile che la colpa sia del cibo. Nel “Ristorante Europa da Merkel” stanno tutti male, tranne chi non ha ordinato la “pietanza Euro” come l’Inghilterra
o i gestori del ristorante (Germania). L’Italia, fino ad ora, si è difesa, ma la moneta troppo “pesante” rispetto a quella che sarebbe giusta per la sua economia, sta rendendo ogni giorno meno convenienti i suoi prodotti (il “listino prezzi” è troppo alto), per cui la disoccupazione è destinata irrimediabilmente a salire perchè gli stessi italiani compreranno sempre più prodotti esteri di quanto sarebbe giusto. I prodotti esteri (sembra una banalità, ma a volte non ci pensiamo) sono fabbricati da aziende ed operai esteri e, quindi, in Italia il lavoro scompare. Se scompare il lavoro, scompaiono anche i soldi per importare i prodotti e pagare le pensioni e si finisce alla fame. In pratica, è come se gli Stati Europei, invece di “essere una squadra”, fossero messi su un ring di pugilato gli uni contro gli altri, indipendentemente dal peso. Il “peso massimo”, cioè la Germania, vince e gli altri perdono. Sempre per rimanere in tema di sport è come se si mettesse un pesante zaino uguale per tutti sulle spalle dei concorrenti di una corsa: chi è più grosso e forte sarà avvantaggiato, mentre chi è piccolo e agile sarà in grossa difficoltà, così appesantito, e non potrà mai vincere. Anche il controllo della moneta come “arma” contro le crisi è fondamentale. Uno Stato che può “stampare moneta” e che ha un’industria ben sviluppata e prodotti normalmente richiesti se è in difficoltà può spendere di più per sostenere la propria economia senza preoccuparsi di dover trovare il denaro a prestito. Può anche comperare i propri titoli di debito mettendo altra moneta in circolo. Se questa azione facesse scendere il tasso di cambio della moneta, tanto meglio, perché come abbiamo visto una moneta più conveniente significa una maggior richiesta per i prodotti di quel Paese che diventerebbero più appetibili, creando così posti di lavoro e un nuovo equilibrio. Uno Stato che non ha una moneta propria, come invece accade per chi ha scelto di avere l’Euro, se è in difficoltà si ritrova a fare i conti con il famigerato “spread”, vale a dire che nessuno vuol comprare i suoi titoli. Gli altri Paesi, quindi, per “salvarlo” e prestargli i soldi che, se avesse avuto moneta propria, avrebbe potuto agevolmente procurarsi da solo, cominciano ad imporgli inutili e dannose politiche di austerità. Gli Stati in crisi quindi si ritrovano sempre più tasse, sempre meno possibilità di spendere e con interessi sempre più alti da pagare: vanno inevitabilmente ancora di più in difficoltà e la crisi peggiora. Pensiamo invece all’Inghilterra: quando nel 2008 ci fu la crisi delle banche, dopo il fallimento della americana Lehman, era in forte difficoltà perché la sua principale industria è proprio quella finanziaria. Ebbene, l’Inghilterra riuscì ad assorbire la crisi facendo comperare alla propria Banca Centrale i titoli di Stato necessari per finanziarsi, la Sterlina si svalutò fortemente (invece di far salire lo spread sui titoli) e adesso la sua economia è in ripresa senza aver dovuto subire ordini e condizioni da nessuno. Gli Stati dell’Europa periferica invece sono in ginocchio.

da http://www.lapadania.net/

 

PS___


Audizione di  Claudio Borghi  alla camera dei deputati del 18/dicembre 2013 nella quale demolisce le fandonie  sulle riforme strutturali  come condizione essenziale per rilanciare l'economia italiana!

 

 
 
 

Toh anche Fassina si è svegliato: Va aumentato il deficit e innalzata la domanda aggregata ora ci dice!

Post n°1682 pubblicato il 25 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

I risultati delle elezioni amministrative di domenica in Francia sono l'ennesimo segnale che l'euro-zona è sulla rotta del Titanic e che l'iceberg non sono i mercati finanziari, ma i mercati rionali afflitti da sofferenza economica e sociale. La campana suona anche per noi in vista del Documento di Economia e Finanza (Def) per il 2014-16 e del Programma Nazionale di Riforme (Pnr). È un passaggio decisivo perché dai numerini lì scritti si evidenzia l'effettiva riconquista di autonomia culturale e dipende in misura significativa l'intensità della ripresa, ossia il fatturato delle imprese, l'occupazione, l'andamento della finanza pubblica e, non ultimo, lo svuotamento dei populismi.

Affinché sia "la svolta buona", l'intervento sull'Irpef va fatto senza "copertura". Il Def presenti obiettivi di deficit innalzati, rispetto all'andamento tendenziale, di 10 miliardi all'anno, almeno per un triennio, così da dare efficacia all'intervento sull'Irpef. Così da migliorare il Pil potenziale, il saldo strutturale oltre che nominale e l'andamento del debito pubblico nel medio periodo. "Coprire" il taglio di tasse con un altrettanto ampio taglio di spesa determinerebbe un effetto recessivo sul Pil e provocherebbe effetti negativi sull'occupazione e sul debito pubblico. È un fatto documentatissimo: il moltiplicatore della spesa è molto più elevato del moltiplicatore delle tasse (il Fondo Monetario Internazionale ha avuto il coraggio di fare autocritica). È un fatto prevedibile e previsto. Purtroppo, ancora negato dagli ostinati difensori di un neo-liberismo oramai diventato "teo-liberismo".

Sia nella conferenza stampa, sia nella discussione in Parlamento in vista del vertice di Bruxelles del 20 e 21 Marzo, il governo ha dato chiare indicazioni di discontinuità sulla politica di bilancio, fino a definire "anacronistico" il vincolo del 3% per il rapporto tra deficit e Pil. Finalmente. Finalmente, chi ha la massima responsabilità di governo prende atto che non funziona la linea mercantilista praticata nell'euro-zona. Austerità e svalutazione del lavoro, alla ricerca di competitività di costo per l'export, determinano ulteriore contrazione della domanda interna, sofferenza economica e sociale e impennata del debito pubblico. Non solo in Italia, ma ovunque.

La ragione del circolo vizioso sempre più soffocante non è la carenza di riforme strutturali, come si continua a leggere nei documenti della Commissione, segnata da ideologia cieca e ubbidienza agli interessi nazionali, declinati in modo miope, della Germania e di poteri finanziari senza patria. La ragione è la carenza di domanda aggregata: le imprese non investono perché non vedono consumatori, non perché non possono licenziare persone oramai ovunque senza protezione efficace. Il Pil medio nell'euro-zona è 3 punti al di sotto del 2007. Sette milioni di disoccupati in più. Debito medio salito dal 65 al 95 %. Prospettive di ripresa anemica, elevata disoccupazione, deflazione e insostenibile debito pubblico. Di quali dati abbiamo ancora bisogno per ammettere che non possiamo crescere tutti attraverso le esportazioni? Il modello tedesco non è generalizzabile e, senza credito facile ai Piigs, incomincia a ingolfarsi anche in Germania. Non può funzionare per un'area economica così grande e così ricca in termini di reddito medio pro-capite. Chi può importare l'enorme flusso di beni e servizi necessari a una ripresa dell'euro-zona sufficiente a scalfire la disoccupazione? Le economie emergenti anche esse tenacemente concentrate sull'export? Oppure gli Stati Uniti, per due decenni consumatore di ultima istanza, ma ora bloccati da un enorme debito estero e con un dollaro arrivato a 1,40 sull'euro? Le mitiche riforme strutturali sono drammaticamente più difficili nella disperazione e stagnazione. E comunque hanno effetti negativi almeno nella fase iniziale.

In tale contesto, è deprimente sul piano intellettuale e depressivo sul piano economico l'ennesimo intervento sulle regole del marcato del lavoro alla ricerca dell'occupazione perduta. È un'operazione di ulteriore svalutazione del lavoro, data l'impossibilità di svalutare la propria moneta, secondo la logica mercantilista. Aumenta la precarietà, quindi riduce ulteriormente la capacità negoziale e le retribuzione dei lavoratori e lavoratrici, quindi la domanda e l'attività produttiva. E, inevitabilmente, riduce l'occupazione. Va cambiato in Parlamento sia sulla portata dei contratti a tempo determinato senza causalità, sia sul contratto di apprendistato mutilato di formazione e una minima quota di stabilizzazioni.

Va percorsa la strada opposta: innalzare la domanda aggregata. È l'obiettivo della riduzione dell'Irpef per i lavoratori e lavoratrici a reddito medio-basso. Il governo ha fatto bene. Meglio avrebbe fatto a eliminare i contributi sociali a carico di tutti i lavoratori e lavoratrici. Così, avrebbe aiutato anche "gli/le incapienti", i/le quali sono in condizioni ancora più difficili e hanno una propensione al consumo più elevata di chi, a 1.500 euro mensili, può beneficiare dell'innalzamento delle detrazione per reddito da lavoro dipendente e assimilato. E così avrebbe beneficiato anche la marea di giovani a partita Iva, i lavoratori autonomi, i professionisti.

Affinché l'intervento del governo abbia efficacia sull'andamento dell'economia reale per arrestare l'emorragia di lavoro deve essere accompagnato da un allentamento del deficit. Ovviamente, la spesa pubblica italiana va riqualificata. Liberata da sprechi e ruberie. Ma è la più bassa dell'euro-zona e va riallocata: innanzitutto sulla boccheggiante scuola pubblica, per finanziare ammortizzatori sociali universali e aiutare le famiglie in povertà, sempre più diffusa, e pagare i debiti in conto capitale delle pubbliche amministrazioni.

Il governo non si faccia intimidire da chi continua a recitare il mantra teo-liberista a Bruxelles e a Roma. Sono loro i colpevoli di scaricare sulle spalle dei nostri figli un debito sempre più elevato (30 punti percentuali di Pil in 5 anni di austerità cieca, 24 al netto dei trasferimenti al Fondo Salva Stati e dei pagamenti dei debiti arretrati verso le imprese), oltre che un vertiginoso vuoto di lavoro e dignità. I famosi mercati finanziari capiscono. Sanno bene che soltanto la rianimazione dell'economia può evitare la ristrutturazione del nostro debito pubblico, insostenibile in uno scenario di Pil reale anemico e inflazione vicina a zero. Sanno bene che, oltre al 3%, anche il fiscal compact è anacronistico, anzi radicalmente controproducente, come il secondo comma dell'articolo 81 della Costituzione: un capolavoro ideologico di autolesionismo. Abbiamo scritto che "Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali". Combattiamo a Bruxelles per la golden rule ma, grazie ai "responsabili" legislatori guidati dal Governo Berlusconi e dal Governo Monti e alla subalternità culturale di larga parte del Pd, gli investimenti in deficit sono, per la nostra Costituzione, un principio eversivo. Così come inammissibile è anche la spesa in conto capitale per co-finanziare i fondi strutturali.

Il conformismo imposto dagli interessi forti e il pensiero unico dei sacerdoti di Bruxelles portano l'euro, non soltanto l'Italia, al naufragio. Il governo vada avanti nell'inversione di rotta per una politica di bilancio anti-ciclica: non soltanto le grandi banche sono "too big to fail". Anche l'Italia.

Stefano Fassina su Huffingthon Post

 

 
 
 

Intervento di CLAUDIO BORGHI, il 15 marzo 2014, Al Basta Euro Tour di TORINO organizzato dalla Lega Nord !

Post n°1681 pubblicato il 24 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Borghi illustra Euro Truffa ai danni del popolo italiano  "Borghi merita di essere ascoltato , eccome se merita, non solo per le sue indubbie doti oratore, ma per la capacità, davvero rara, di smascherare il “frame” che permette all’establishment di perpetrare i luoghi comuni sulla moneta unica. Un “frame” fondato sul senso di colpa (“gli altri, a cominciare dai tedeschi!, sono più bravi, più capaci e più onesti di voi, dunque adeguatevi e non lamentatevi”) e soprattutto sulla paura.(Marcello  Foa)

 


 

Claudio Borghi Aquilini: milanese, economista ed editorialista è Professore incaricato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano - dove insegna Economia degli Intermediari Finanziari, Economia delle Aziende di Credito ed Economia e Mercato dell'Arte.

Vincitore dei premi "Associazione Studi di Banca e Borsa" e "Agostino Gemelli" insegna prevalentemente nel corso di laurea di Economia dei Beni Culturali, interfacoltà Economia e Commercio e Lettere e Filosofia.

 

 

 
 
 

Analisi Intermarket al 22/03/2014

Post n°1680 pubblicato il 23 Marzo 2014 da Lucky340
 
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pronto rimbalzo  per i principali indici mondiali ,  ma la situazione rimane incerta e densa di pericoli in prospettiva, oggettivamente non si vedono grossi margini per il riazo mentre lo spazio per un eventuale ribasso abbonda e poi la Federal Reserve, pare pronta a eliminare tutti gli stimoli monetari all’economia entro quest’anno e ad alzare i tassi di interesse già nella primavera del 2015, quindi diversi mesi prima rispetto alle indicazioni precedenti. Quindi prudenza e occhio alla rottura dei minimi sullo SP_500 di febbraio(1745) preludio ad un violento sell_off generale sull'azionario.

Vediamo alcuni indicatori in ottica MACROTECNICA:

  •  La curva dei rendimenti non è invertita. Nel caso in cui i tassi di interesse a breve termine sono più elevati rispetto ai tassi a lungo termine, fa presagire male per l'economia (intesa come azioni e obbligazioni).Uno dei modelli più potenti per predire la recessione  nel'anno successivo è lo scarto della  curva dei rendimenti tra il T-Note a 10 anni e il T-bond  a 3 mesi.  I risultati di uno studio della Federal Reserve (Estrella e Mishkin) per il periodo 1960-1995  ha collegato il valore dello spread in punti percentuali alla probabilità di recessione. Un margine positivo (con valori compresi tra 1,21-0,02)  è collegato con probabilità del 5% al 25%. Una volta che lo scarto gira negativo, le probabilità vanno dal 30% ad una lettura di -0,17, al 70% a -1,46, 80% a -1,85 e il 90% a -2,40. Ora siamo a 2,69.
  • Il Margin Debt, ovvero l'ammontare di denaro preso a prestito dagli operatori USA per l'acquisti di stock a gennaio sale  a 451.298 miliardi di dollari dai 444.931 di dicembre(Nuovo massimo). Questo è un indicatore leading (anticipatore) dei possibili punti di svolta del mercato azionario americano, il cui andamento va a rafforzare i cicli virtuosi rialzisti e ad amplificare quelli viziosi in caso di ribasso.I dati attuali, ritardati di un mese, al momento non preannunciano una inversione del ciclo.

Vediamo alcuni Trading System cosa ci dicono :

  • IL mio TS "Trend_Hunter"timeframe daily, ottimo per prendere posizione nel mercato con ottica di medio_lungo termine, sulle principali borse mondiali vede  una situazione   sempre  rialzista sulle borse occidentali  con i  BRIC e gli emergenti in contrazione netta,  nel settore commodities l'oro   da un segnale Long  che di riflesso getta una luce negativa sull'azionario...attenzione(grafico allegato).
  • Il TS su  timeframe orari sui futures  (Speed_Hunter) conferma  per ora il LONG sui principali indici occidentali (con il nikkey e Hang Seng  Short) con l'oro , argento  LONG  insieme al Bund mentre il  rame  da segnale Short .

Vediamo alcuni indicatori anticipatori dei punti di svolta del mercato  cosa ci dicono :

  • l’andamento dell’Up-Down Volume al NYSE a 25,08 in termini di media a 250 giorni conferma il LONG ($NYUD), il dato differenziale risulta positivo  dalla fine  di luglio 2012. Da allora, non è mai tornato sotto la linea dello zero,"ossia se i compratori prevalgono sui venditori, il mercato sale, punto.  Se vi è prevalenza di Up Volume, non ci sarà motivo di temere_Gaetano Evangelista".
  • il mio Risk_Index basato sul VIX riflette la situazione di incertezza infatti è ora vicino a  generare  un segnale short sull'azionario, comunque da febbraio 2012 continua a dare un segnale LONG.

 
 
 

Renzi ha promesso la riduzione delle TASSE per 10 milioni di italiani ma i conti non tornano!

Post n°1679 pubblicato il 21 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Facciamo qualche conto al provvedimento fiore all'occhiello della politica economica del Governo Renzi, cioè la detassazione dei redditi di 10 milioni di lavoratori dipendenti.

Partiamo da una delle poche cose certe che si conosce, che desumiamo dal comunicato stampa ufficiale, pubblicato sul sito del Governo:

Si legge:
...Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in 10 miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, dal 1° maggio prossimo, per un ammontare di circa 1000 euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane
Da queste poche righe possiamo desumere 4 cose:
1) il governo intende stanziare 10 miliardi di euro per ridurre le tasse;
2) verranno ridotte a circa 10 milioni di contribuenti;
3) i contribuenti interessati sono solo ed esclusivamente lavoratori dipendenti con un reddito lordo di 25000 euro annui;
4) percepiranno circa 1000 euro annui aggiuntivi, a prescindere dal livello di reddito.

Quindi, da quanto scritto, sembrerebbe  che l'azione del Governo intenda concentrarsi solo ed esclusivamente sui lavoratori dipendenti con determinate caratteristiche, escludendo, ad esempio, qualche milione di pensionati che vivono con un assegno che non supera i 500 euro mensili. Ma lasciamo stare.

Da quanto annunciato dal governo appare subito evidente che i conti non tornano. E non tornano per il semplice motivo che i contribuenti che hanno caratteristiche conformi a quelle individuate dal Governo (reddito da lavoro dipendente, sotto ai 25 mila euro annui lordi) sono circa 15 milioni di persone.
I dati della tabella [ in allegato] sono desunti dal sito del Dipartimento delle Finanze e si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del periodo di imposta 2011.

Quindi, le risorse che Governo vorrebbe stanziare per finanziare la manovra  non sono sufficienti per garantire 1000 euro a tutti i lavoratori dipendenti che hanno un reddito lordo annuo inferiore a 25000 euro. E questo è un primo dato.

Andiamo avanti nel ragionamento. Il governo, per ridurre le tasse alla platea di contribuenti considerati e assegnare loro i 1000 euro promessi, attribuirà (lo dice il comunicato stampa) delle detrazioni aggiuntive rispetto a quelle in essere. L'attuale impianto normativo prevede la totale detrazione d'imposta  per i redditi da lavoro dipendente che non superano gli 8.000 euro annui circa. Quindi, costoro, che nel caso in esame sono quasi 4 milioni di contribuenti, non pagano l'Irpef per effetto delle detrazioni da lavoro dipendente spettanti. Da ciò se ne deduce che,  non pagando l'imposta, non sarebbero avvantaggiati dalla proposta di Renzi, che, a questo punto, sarebbe destinata solo ai redditi compresi tra gli 8000 e i 25000 euro, oltre 11 milioni di contribuenti. Ma anche per i redditi immediatamente successivi agli 8000 euro e fino a poco più di  11000 euro, considerate le detrazioni ora vigenti e la detrazione aggiuntiva di 1000 euro che il governo vorrebbe assegnare, l'imposta risulterebbe parzialmente capiente al fine di poter essere abbattuta dalla detrazione aggiuntiva proposta dal Governo. Ecco quindi che la platea dei contribuenti si ristringe ulteriormente di  oltre un milione  di contribuenti, avvicinandosi a circa dieci milioni di contribuenti che, stando al tenore letterale del comunicato del governo e al ragionamento sopra osservato, sarebbero interessati al beneficio dei mille euro annui.

Da quanto appena affermato se ne deduce  che il governo vorrebbe lasciare fuori da questa misura redistributiva proprio quei redditi più bassi, cioè la parte più debole della catena. Che poi sarebbero quei percettori di reddito con una propensione al consumo più alta, quindi di maggior  impatto sul ciclo economico (seppur marginale, vista l'esiguità delle somme trattate).

Quindi, un numero considerevole di contribuenti esclusi. A meno che non si crei un meccanismo di imposta negativa che consenta di attribuire una sorta di sussidio monetario elargito dalla stato. Ma, in questo caso, non ci sarebbero abbastanza soldi per tutti (15 milioni di contribuenti), posto il fatto che la somma che il governo vorrebbe stanziare, nella migliore dell ipotesi e ammesso che si individuino le risorse necessarie per finanziarie la manovra, non supererà i 10 miliardi di euro.
Senza poi dimenticare che l'idea bizzarra di voler assegnare mille euro per ogni lavoratore dipendente con un reddito netto annuo inferiore ai 15000 euro, a prescindere dal livello del reddito percepito, oltre a creare un effetto distorsivo di  equità (perché i redditi più alti avrebbero lo stesso beneficio dei redditi più bassi), genererebbe anche il paradosso che chi dispone  di un reddito appena superiore ai 15000 euro, magari 15001 euro, verrebbe del tutto escluso escluso dal beneficio. Al tempo stesso sarebbe  incentivato a ridursi il proprio reddito appena sotto i 15000 euro, al fine di godere dei 1000 euro. Una situazione paradossale, direi.
Un ragionamento a parte lo merita l'individuazione delle risorse necessarie per finanziare il taglio.

Proprio ieri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Delrio,  in un'intervista rilasciata al Corriere delle Sera, ha affermato che il Governo potrebbe finanziare il taglio del cuneo fiscale per la parte relativa al 2014 con una spending review, nell'ordine di 4-5 miliardi di euro, ma anche con entrate straordinarie come l'Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione o il rientro dei capitali. E se questo non bastasse si prenderebbe in considerazione un lieve rialzo del deficit/Pil dal 2,6%. 

Alcune considerazioni sono d'obbligo. 

Al netto del fatto che, per il 2014, le risorse necessarie per finanziarie il  taglio delle tasse sono ridotte in ragione del periodo temporale inferiore all'anno (la riduzione partirebbe da maggio), vi è, innanzitutto, il problema che la manovra di politica economica di carattere strutturale annunciata dal Governo, verrebbe finanziata con entrate una tantum, peraltro assai aleatorie (rientro capitali, Iva sui pagamenti della Pa). La stessa spending review  non è detto che porti nell'anno in corso a risparmi dell'ordine di quelli enunciati da Delrio. E questo anche per ammissione dello stesso Cottarelli. Vi è poi la questione relativa alla possibilità di utilizzare del deficit aggiuntivo oltre al 2,6% evocata da Delrio, pur rimanendo entro al 3%. In questa ipotesi andrebbe considerato che il livello del 2,6% è calcolato ipotizzando una crescita del Pil dell'1%. Ma stando alle previsioni di crescita elaborate da più o meno tutte le istituzioni internazionali, il PIl, nel 2014 crescerà molto meno dell'1% ipotizzato dal Governo nella Nota di Aggiornamento dal DEF dello scorso ottobre. Ed è verosimile pensare che questo sia già oltre il 3%. Arrivati a questo punto possiamo concludere che il sospetto sia proprio quello che il Governo, nell'annunciare l'iniziativa -magari per fini propagandistici,  anche in vista delle prossime elezioni europee- non abbia tenuto conto della realtà dei numeri, assai differenti rispetto a quelli "immaginati dal Governo.

 

 
 
 

Qualcuno dica a Renzi che il vincolo del 3% è ormai superato dal Fiscal compact !

Post n°1678 pubblicato il 21 Marzo 2014 da Lucky340
 
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Sarebbe il caso che qualcuno, tra i suoi più stretti collaboratori, spiegasse a Renzi che insistere sul recupero di qualche decimale tra il 2,6% ed il 3% del rapporto tra deficit e Pil non ha alcun senso, stante la pendenza sul capo del nostro paese dei nuovi vincoli di bilancio imposti dal "Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria", meglio conosciuto come Fiscal compact.

Senza entrare nel dettaglio del meccanismo - piuttosto complesso - di riduzione fiscale previsto dal nuovo patto di bilancio, è bene ricordare che il nostro paese, entro il 2016, dovrà convergere verso il "pareggio di bilancio strutturale", ovvero verso un equilibro delle entrate e delle uscite dello stato al netto dei fattori congiunturali.

Tale regola si considera rispettata se il deficit dello stato non eccede lo 0,5% del Pil. Non solo: stando al dettato del regolamento UE n. 1175/2011 (Six Pack), integrato poi nel Fiscal compact, che prevede per il saldo strutturale una forcella tra il -1% del Pil e il pareggio o l'attivo, il nostro paese dovrebbe addirittura conseguire un "avanzo strutturale" dello 0,2%!

Posto che il conseguimento di tale obiettivo, insieme alla riduzione delle eccedenze del debito, richiederebbe un massacro sociale di proporzioni inaudite, più terribile di quello perpetrato ai danni del popolo greco, è lecito chiedersi se Renzi faccia finta di non conoscerne i contenuti - il che sarebbe già grave di per sé - oppure se non li conosca affatto.

In entrambi i casi stiamo parlando di una situazione davvero surreale, al limite della tragicommedia. Si discute di rastrellare qualche miliardo per dare una mancia in busta paga a qualche milione di lavoratori dipendenti (Meglio di niente, per carità), di svincolare i fondi europei dal patto di stabilità, e di altre misure di ristoro dell'economia, quando già a partire dai prossimi mesi si dovrà pensare a manovre draconiane per rispettare gli impegni assunti con la ratifica del nuovo patto di bilancio, i cui effetti non potranno che essere recessivi.

E' stato stimato che un'applicazione pedissequa del meccanismo di riduzione fiscale ci costerebbe, già a partire da quest'anno, una manovra da 75-80 miliardi di euro. Possiamo permettercela? Ma soprattutto: sarebbe compatibile con le misure annunciate da Renzi in tema di Irpef, Irap e debiti della pubblica amministrazione?

Forse che Renzi intende non rispettare i vincoli del Fiscal compact? Vuole rinegoziarli? Lo dica. Sarebbe una cosa diversa del dire "i compiti a casa li facciamo per i nostri figli". E' evidente che il rinnovamento, al punto in cui siamo, passi innanzitutto dall'essere seri.

Luigi Pandolfi su huffingtonpost

 
 
 

Wall Street: Fed riduce stimoli

Post n°1677 pubblicato il 20 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

NEW YORK (WSI) - La Federal reserve, in linea con le attese degli analisti, ridurra' di altri 10 miliardi di dollari il programma di stimoli all'economia statunitense che passera' cosi' a 55 miliardi di dollari al mese, mentre i tassi d'interesse rimarranno vicini allo zero. Lo si legge nel documento dell'ultimo Federal open market committee.
La Federal reserve ha quindi tagliato le sue stime di crescita dell'economia Usa per quest'anno e per il prossimo, ma ha ridotto le sue previsioni sul tasso di disoccupazione. La Fed si attende ora una crescita tra il 2,8-3% nel 2014 e del 3-3,2% nel 2015. Il tasso di disoccupazione dovrebbe invece scendere tra il 6,1% e il 6,3% quest'anno e sotto il 6% nel 2015.

Negativa la reazione del mercato dopo che, Janet Yellen, durante la conferenza stampa, ha fatto riferimento a un eventuale rialzo dei tassi "in sei mesi", cosa che evidentemente ha indispettito i mercati. Il Dow Jones ha perso lo 0,7% a 16.222 punti, il Nasdaq e' sceso dello 0,58% a 4.308 punti e lo S&P 500 e' calato dello 0,60% a 1.861 punti.

Il petrolio ha chiuso sopra quota 100 dollari al barile dopo il dato sulle scorte settimanali. Il contratto ad aprile ha aggiunto 67 centesimi, lo 0,7%, a 100,37 dollari il barile, la chiusura piu' alta dal 10 marzo. I rendimenti dei titoli di Stato americani sono balzati dopo il comunicato della Fed: il bond decennale ha chiuso al 2,77% e il trentennale al 3,65%. Sui mercati valutari, l'euro cala a 1,329 dollari e il biglietto verde avanza a 102,53 yen.

Notizie positive sul fronte macro con il deficit delle partite correnti americane che, nel quarto trimestre, è sceso a 81,12 miliardi di dollari, in forte ribasso rispetto al passivo di 96,37 miliardi registrato nel trimestre precedente. Il dato reso noto oggi dal dipartimento del Commercio è nettamente migliore delle attese degli analisti che si attendevano un disavanzo a quota 88 miliardi.

Tra i titoli, Oracle perde in borsa dopo che ieri sera ha annunciato un aumento dei profitti del 2% a 2,56 miliardi nel suo terzo trimestre fiscale terminato il 28 febbraio. Il giro d'affari e' a sua volta lievitato del 4% a 9,31 miliardi. I risultati hanno tuttavia deluso le previsioni degli analisti. Sul versante automobilistico, piatta General Motors, all'indomani delle parole dell'amministratore delegato Mary Barra, che si e' impegnata a migliorare gli standard di sicurezza dei veicoli, anche nominando un responsabile globale.

Sul fronte dell'analisi tecnica, secondo diversi trader di Wall Street lo S&P continuerà a gravitare attorno al livello a quota 1.880; nel caso di un superamento di tale resistenza, il prossimo target sarà a quota 2.000.

da Wallstreetitalia

 
 
 

Analisi Intermarket al 15/03/2014

Post n°1676 pubblicato il 16 Marzo 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Settimana di correzione per i principali indici mondiali , durante la quale si è rafforzata l'impressione che i principali indici occidentali abbiano toccato il loro massimi.Qundi prudenza e occhio alla rottura dei minimi sullo SP_500 di febbraio(1745) preludio ad un violento selloff generale sull'azionario.

Vediamo alcuni indicatori in ottica MACROTECNICA:

  •  La curva dei rendimenti non è invertita. Nel caso in cui i tassi di interesse a breve termine sono più elevati rispetto ai tassi a lungo termine, fa presagire male per l'economia (intesa come azioni e obbligazioni).Uno dei modelli più potenti per predire la recessione  nel'anno successivo è lo scarto della  curva dei rendimenti tra il T-Note a 10 anni e il T-bond  a 3 mesi.  I risultati di uno studio della Federal Reserve (Estrella e Mishkin) per il periodo 1960-1995  ha collegato il valore dello spread in punti percentuali alla probabilità di recessione. Un margine positivo (con valori compresi tra 1,21-0,02)  è collegato con probabilità del 5% al 25%. Una volta che lo scarto gira negativo, le probabilità vanno dal 30% ad una lettura di -0,17, al 70% a -1,46, 80% a -1,85 e il 90% a -2,40. Ora siamo a 2,60.

 

  • Il Margin Debt, ovvero l'ammontare di denaro preso a prestito dagli operatori USA per l'acquisti di stock a gennaio sale  a 451.298 miliardi di dollari dai 444.931 di dicembre(Nuovo massimo). Questo è un indicatore leading (anticipatore) dei possibili punti di svolta del mercato azionario americano, il cui andamento va a rafforzare i cicli virtuosi rialzisti e ad amplificare quelli viziosi in caso di ribasso.I dati attuali, ritardati di un mese, al momento non preannunciano una inversione del ciclo.

Vediamo alcuni Trading System cosa ci dicono :

  • IL mio TS "Trend_Hunter"timeframe daily, ottimo per prendere posizione nel mercato con ottica di medio_lungo termine, sulle principali borse mondiali vede  una situazione   sempre  rialzista sulle borse occidentali  con i  BRIC e gli emergenti in contrazione netta ,  risveglio nel settore commodities con l'oro  che da un segnale Long  che di riflesso getta una luce negativa sull'azionario...attenzione(grafico allegato).
  • Il TS su  timeframe orari sui futures  (Speed_Hunter) conferma  per ora il LONG sui principali indici occidentali (con il nikkey e Hang Seng  Short) con l'oro , argento  LONG  insieme al Bund mentre il   il rame  da segnale Short .
  • l’andamento dell’Up-Down Volume al NYSE a 21,59 in termini di media a 250 giorni conferma il LONG , il dato differenziale risulta positivo  dalla fine   di luglio 2012. Da allora, non è mai tornato sotto la linea dello zero,"ossia se i compratori prevalgono sui venditori, il mercato sale, punto.  Se vi è prevalenza di Up Volume, non ci sarà motivo di temere_Gaetano Evangelista".

 
 
 
 
 

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