Marco Cattaneo su Basta con l'eurocrisi
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Messaggi di Marzo 2014
I risultati delle elezioni amministrative di domenica in Francia sono l'ennesimo segnale che l'euro-zona è sulla rotta del Titanic e che l'iceberg non sono i mercati finanziari, ma i mercati rionali afflitti da sofferenza economica e sociale. La campana suona anche per noi in vista del Documento di Economia e Finanza (Def) per il 2014-16 e del Programma Nazionale di Riforme (Pnr). È un passaggio decisivo perché dai numerini lì scritti si evidenzia l'effettiva riconquista di autonomia culturale e dipende in misura significativa l'intensità della ripresa, ossia il fatturato delle imprese, l'occupazione, l'andamento della finanza pubblica e, non ultimo, lo svuotamento dei populismi. Affinché sia "la svolta buona", l'intervento sull'Irpef va fatto senza "copertura". Il Def presenti obiettivi di deficit innalzati, rispetto all'andamento tendenziale, di 10 miliardi all'anno, almeno per un triennio, così da dare efficacia all'intervento sull'Irpef. Così da migliorare il Pil potenziale, il saldo strutturale oltre che nominale e l'andamento del debito pubblico nel medio periodo. "Coprire" il taglio di tasse con un altrettanto ampio taglio di spesa determinerebbe un effetto recessivo sul Pil e provocherebbe effetti negativi sull'occupazione e sul debito pubblico. È un fatto documentatissimo: il moltiplicatore della spesa è molto più elevato del moltiplicatore delle tasse (il Fondo Monetario Internazionale ha avuto il coraggio di fare autocritica). È un fatto prevedibile e previsto. Purtroppo, ancora negato dagli ostinati difensori di un neo-liberismo oramai diventato "teo-liberismo". Sia nella conferenza stampa, sia nella discussione in Parlamento in vista del vertice di Bruxelles del 20 e 21 Marzo, il governo ha dato chiare indicazioni di discontinuità sulla politica di bilancio, fino a definire "anacronistico" il vincolo del 3% per il rapporto tra deficit e Pil. Finalmente. Finalmente, chi ha la massima responsabilità di governo prende atto che non funziona la linea mercantilista praticata nell'euro-zona. Austerità e svalutazione del lavoro, alla ricerca di competitività di costo per l'export, determinano ulteriore contrazione della domanda interna, sofferenza economica e sociale e impennata del debito pubblico. Non solo in Italia, ma ovunque. La ragione del circolo vizioso sempre più soffocante non è la carenza di riforme strutturali, come si continua a leggere nei documenti della Commissione, segnata da ideologia cieca e ubbidienza agli interessi nazionali, declinati in modo miope, della Germania e di poteri finanziari senza patria. La ragione è la carenza di domanda aggregata: le imprese non investono perché non vedono consumatori, non perché non possono licenziare persone oramai ovunque senza protezione efficace. Il Pil medio nell'euro-zona è 3 punti al di sotto del 2007. Sette milioni di disoccupati in più. Debito medio salito dal 65 al 95 %. Prospettive di ripresa anemica, elevata disoccupazione, deflazione e insostenibile debito pubblico. Di quali dati abbiamo ancora bisogno per ammettere che non possiamo crescere tutti attraverso le esportazioni? Il modello tedesco non è generalizzabile e, senza credito facile ai Piigs, incomincia a ingolfarsi anche in Germania. Non può funzionare per un'area economica così grande e così ricca in termini di reddito medio pro-capite. Chi può importare l'enorme flusso di beni e servizi necessari a una ripresa dell'euro-zona sufficiente a scalfire la disoccupazione? Le economie emergenti anche esse tenacemente concentrate sull'export? Oppure gli Stati Uniti, per due decenni consumatore di ultima istanza, ma ora bloccati da un enorme debito estero e con un dollaro arrivato a 1,40 sull'euro? Le mitiche riforme strutturali sono drammaticamente più difficili nella disperazione e stagnazione. E comunque hanno effetti negativi almeno nella fase iniziale. In tale contesto, è deprimente sul piano intellettuale e depressivo sul piano economico l'ennesimo intervento sulle regole del marcato del lavoro alla ricerca dell'occupazione perduta. È un'operazione di ulteriore svalutazione del lavoro, data l'impossibilità di svalutare la propria moneta, secondo la logica mercantilista. Aumenta la precarietà, quindi riduce ulteriormente la capacità negoziale e le retribuzione dei lavoratori e lavoratrici, quindi la domanda e l'attività produttiva. E, inevitabilmente, riduce l'occupazione. Va cambiato in Parlamento sia sulla portata dei contratti a tempo determinato senza causalità, sia sul contratto di apprendistato mutilato di formazione e una minima quota di stabilizzazioni. Va percorsa la strada opposta: innalzare la domanda aggregata. È l'obiettivo della riduzione dell'Irpef per i lavoratori e lavoratrici a reddito medio-basso. Il governo ha fatto bene. Meglio avrebbe fatto a eliminare i contributi sociali a carico di tutti i lavoratori e lavoratrici. Così, avrebbe aiutato anche "gli/le incapienti", i/le quali sono in condizioni ancora più difficili e hanno una propensione al consumo più elevata di chi, a 1.500 euro mensili, può beneficiare dell'innalzamento delle detrazione per reddito da lavoro dipendente e assimilato. E così avrebbe beneficiato anche la marea di giovani a partita Iva, i lavoratori autonomi, i professionisti. Affinché l'intervento del governo abbia efficacia sull'andamento dell'economia reale per arrestare l'emorragia di lavoro deve essere accompagnato da un allentamento del deficit. Ovviamente, la spesa pubblica italiana va riqualificata. Liberata da sprechi e ruberie. Ma è la più bassa dell'euro-zona e va riallocata: innanzitutto sulla boccheggiante scuola pubblica, per finanziare ammortizzatori sociali universali e aiutare le famiglie in povertà, sempre più diffusa, e pagare i debiti in conto capitale delle pubbliche amministrazioni. Il governo non si faccia intimidire da chi continua a recitare il mantra teo-liberista a Bruxelles e a Roma. Sono loro i colpevoli di scaricare sulle spalle dei nostri figli un debito sempre più elevato (30 punti percentuali di Pil in 5 anni di austerità cieca, 24 al netto dei trasferimenti al Fondo Salva Stati e dei pagamenti dei debiti arretrati verso le imprese), oltre che un vertiginoso vuoto di lavoro e dignità. I famosi mercati finanziari capiscono. Sanno bene che soltanto la rianimazione dell'economia può evitare la ristrutturazione del nostro debito pubblico, insostenibile in uno scenario di Pil reale anemico e inflazione vicina a zero. Sanno bene che, oltre al 3%, anche il fiscal compact è anacronistico, anzi radicalmente controproducente, come il secondo comma dell'articolo 81 della Costituzione: un capolavoro ideologico di autolesionismo. Abbiamo scritto che "Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali". Combattiamo a Bruxelles per la golden rule ma, grazie ai "responsabili" legislatori guidati dal Governo Berlusconi e dal Governo Monti e alla subalternità culturale di larga parte del Pd, gli investimenti in deficit sono, per la nostra Costituzione, un principio eversivo. Così come inammissibile è anche la spesa in conto capitale per co-finanziare i fondi strutturali. Il conformismo imposto dagli interessi forti e il pensiero unico dei sacerdoti di Bruxelles portano l'euro, non soltanto l'Italia, al naufragio. Il governo vada avanti nell'inversione di rotta per una politica di bilancio anti-ciclica: non soltanto le grandi banche sono "too big to fail". Anche l'Italia. Stefano Fassina su Huffingthon Post
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pronto rimbalzo per i principali indici mondiali , ma la situazione rimane incerta e densa di pericoli in prospettiva, oggettivamente non si vedono grossi margini per il riazo mentre lo spazio per un eventuale ribasso abbonda e poi la Federal Reserve, pare pronta a eliminare tutti gli stimoli monetari all’economia entro quest’anno e ad alzare i tassi di interesse già nella primavera del 2015, quindi diversi mesi prima rispetto alle indicazioni precedenti. Quindi prudenza e occhio alla rottura dei minimi sullo SP_500 di febbraio(1745) preludio ad un violento sell_off generale sull'azionario. Vediamo alcuni indicatori in ottica MACROTECNICA:
Vediamo alcuni Trading System cosa ci dicono :
Vediamo alcuni indicatori anticipatori dei punti di svolta del mercato cosa ci dicono :
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Facciamo qualche conto al provvedimento fiore all'occhiello della politica economica del Governo Renzi, cioè la detassazione dei redditi di 10 milioni di lavoratori dipendenti. Partiamo da una delle poche cose certe che si conosce, che desumiamo dal comunicato stampa ufficiale, pubblicato sul sito del Governo: Si legge: ...Tra le misure previste, la relazione approvata ha individuato in 10 miliardi di euro le risorse per consentire l’aumento della detrazione Irpef in busta paga ai lavoratori dipendenti sotto i 25 mila euro di reddito lordi, circa 10 milioni di persone, dal 1° maggio prossimo, per un ammontare di circa 1000 euro netti annui a persona. Gli atti tecnici e legislativi verranno approvati nelle prossime settimane Da queste poche righe possiamo desumere 4 cose: 1) il governo intende stanziare 10 miliardi di euro per ridurre le tasse; 2) verranno ridotte a circa 10 milioni di contribuenti; 3) i contribuenti interessati sono solo ed esclusivamente lavoratori dipendenti con un reddito lordo di 25000 euro annui; 4) percepiranno circa 1000 euro annui aggiuntivi, a prescindere dal livello di reddito. Quindi, da quanto scritto, sembrerebbe che l'azione del Governo intenda concentrarsi solo ed esclusivamente sui lavoratori dipendenti con determinate caratteristiche, escludendo, ad esempio, qualche milione di pensionati che vivono con un assegno che non supera i 500 euro mensili. Ma lasciamo stare. Da quanto annunciato dal governo appare subito evidente che i conti non tornano. E non tornano per il semplice motivo che i contribuenti che hanno caratteristiche conformi a quelle individuate dal Governo (reddito da lavoro dipendente, sotto ai 25 mila euro annui lordi) sono circa 15 milioni di persone. I dati della tabella [ in allegato] sono desunti dal sito del Dipartimento delle Finanze e si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del periodo di imposta 2011. Quindi, le risorse che Governo vorrebbe stanziare per finanziare la manovra non sono sufficienti per garantire 1000 euro a tutti i lavoratori dipendenti che hanno un reddito lordo annuo inferiore a 25000 euro. E questo è un primo dato. Andiamo avanti nel ragionamento. Il governo, per ridurre le tasse alla platea di contribuenti considerati e assegnare loro i 1000 euro promessi, attribuirà (lo dice il comunicato stampa) delle detrazioni aggiuntive rispetto a quelle in essere. L'attuale impianto normativo prevede la totale detrazione d'imposta per i redditi da lavoro dipendente che non superano gli 8.000 euro annui circa. Quindi, costoro, che nel caso in esame sono quasi 4 milioni di contribuenti, non pagano l'Irpef per effetto delle detrazioni da lavoro dipendente spettanti. Da ciò se ne deduce che, non pagando l'imposta, non sarebbero avvantaggiati dalla proposta di Renzi, che, a questo punto, sarebbe destinata solo ai redditi compresi tra gli 8000 e i 25000 euro, oltre 11 milioni di contribuenti. Ma anche per i redditi immediatamente successivi agli 8000 euro e fino a poco più di 11000 euro, considerate le detrazioni ora vigenti e la detrazione aggiuntiva di 1000 euro che il governo vorrebbe assegnare, l'imposta risulterebbe parzialmente capiente al fine di poter essere abbattuta dalla detrazione aggiuntiva proposta dal Governo. Ecco quindi che la platea dei contribuenti si ristringe ulteriormente di oltre un milione di contribuenti, avvicinandosi a circa dieci milioni di contribuenti che, stando al tenore letterale del comunicato del governo e al ragionamento sopra osservato, sarebbero interessati al beneficio dei mille euro annui. Da quanto appena affermato se ne deduce che il governo vorrebbe lasciare fuori da questa misura redistributiva proprio quei redditi più bassi, cioè la parte più debole della catena. Che poi sarebbero quei percettori di reddito con una propensione al consumo più alta, quindi di maggior impatto sul ciclo economico (seppur marginale, vista l'esiguità delle somme trattate). Proprio ieri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Delrio, in un'intervista rilasciata al Corriere delle Sera, ha affermato che il Governo potrebbe finanziare il taglio del cuneo fiscale per la parte relativa al 2014 con una spending review, nell'ordine di 4-5 miliardi di euro, ma anche con entrate straordinarie come l'Iva sui pagamenti della pubblica amministrazione o il rientro dei capitali. E se questo non bastasse si prenderebbe in considerazione un lieve rialzo del deficit/Pil dal 2,6%. Al netto del fatto che, per il 2014, le risorse necessarie per finanziarie il taglio delle tasse sono ridotte in ragione del periodo temporale inferiore all'anno (la riduzione partirebbe da maggio), vi è, innanzitutto, il problema che la manovra di politica economica di carattere strutturale annunciata dal Governo, verrebbe finanziata con entrate una tantum, peraltro assai aleatorie (rientro capitali, Iva sui pagamenti della Pa). La stessa spending review non è detto che porti nell'anno in corso a risparmi dell'ordine di quelli enunciati da Delrio. E questo anche per ammissione dello stesso Cottarelli. Vi è poi la questione relativa alla possibilità di utilizzare del deficit aggiuntivo oltre al 2,6% evocata da Delrio, pur rimanendo entro al 3%. In questa ipotesi andrebbe considerato che il livello del 2,6% è calcolato ipotizzando una crescita del Pil dell'1%. Ma stando alle previsioni di crescita elaborate da più o meno tutte le istituzioni internazionali, il PIl, nel 2014 crescerà molto meno dell'1% ipotizzato dal Governo nella Nota di Aggiornamento dal DEF dello scorso ottobre. Ed è verosimile pensare che questo sia già oltre il 3%. Arrivati a questo punto possiamo concludere che il sospetto sia proprio quello che il Governo, nell'annunciare l'iniziativa -magari per fini propagandistici, anche in vista delle prossime elezioni europee- non abbia tenuto conto della realtà dei numeri, assai differenti rispetto a quelli "immaginati dal Governo.
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Sarebbe il caso che qualcuno, tra i suoi più stretti collaboratori, spiegasse a Renzi che insistere sul recupero di qualche decimale tra il 2,6% ed il 3% del rapporto tra deficit e Pil non ha alcun senso, stante la pendenza sul capo del nostro paese dei nuovi vincoli di bilancio imposti dal "Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria", meglio conosciuto come Fiscal compact. Senza entrare nel dettaglio del meccanismo - piuttosto complesso - di riduzione fiscale previsto dal nuovo patto di bilancio, è bene ricordare che il nostro paese, entro il 2016, dovrà convergere verso il "pareggio di bilancio strutturale", ovvero verso un equilibro delle entrate e delle uscite dello stato al netto dei fattori congiunturali. Tale regola si considera rispettata se il deficit dello stato non eccede lo 0,5% del Pil. Non solo: stando al dettato del regolamento UE n. 1175/2011 (Six Pack), integrato poi nel Fiscal compact, che prevede per il saldo strutturale una forcella tra il -1% del Pil e il pareggio o l'attivo, il nostro paese dovrebbe addirittura conseguire un "avanzo strutturale" dello 0,2%! Posto che il conseguimento di tale obiettivo, insieme alla riduzione delle eccedenze del debito, richiederebbe un massacro sociale di proporzioni inaudite, più terribile di quello perpetrato ai danni del popolo greco, è lecito chiedersi se Renzi faccia finta di non conoscerne i contenuti - il che sarebbe già grave di per sé - oppure se non li conosca affatto. In entrambi i casi stiamo parlando di una situazione davvero surreale, al limite della tragicommedia. Si discute di rastrellare qualche miliardo per dare una mancia in busta paga a qualche milione di lavoratori dipendenti (Meglio di niente, per carità), di svincolare i fondi europei dal patto di stabilità, e di altre misure di ristoro dell'economia, quando già a partire dai prossimi mesi si dovrà pensare a manovre draconiane per rispettare gli impegni assunti con la ratifica del nuovo patto di bilancio, i cui effetti non potranno che essere recessivi. E' stato stimato che un'applicazione pedissequa del meccanismo di riduzione fiscale ci costerebbe, già a partire da quest'anno, una manovra da 75-80 miliardi di euro. Possiamo permettercela? Ma soprattutto: sarebbe compatibile con le misure annunciate da Renzi in tema di Irpef, Irap e debiti della pubblica amministrazione? Forse che Renzi intende non rispettare i vincoli del Fiscal compact? Vuole rinegoziarli? Lo dica. Sarebbe una cosa diversa del dire "i compiti a casa li facciamo per i nostri figli". E' evidente che il rinnovamento, al punto in cui siamo, passi innanzitutto dall'essere seri. Luigi Pandolfi su huffingtonpost |
Settimana di correzione per i principali indici mondiali , durante la quale si è rafforzata l'impressione che i principali indici occidentali abbiano toccato il loro massimi.Qundi prudenza e occhio alla rottura dei minimi sullo SP_500 di febbraio(1745) preludio ad un violento selloff generale sull'azionario. Vediamo alcuni indicatori in ottica MACROTECNICA:
Vediamo alcuni Trading System cosa ci dicono :
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Inviato da: cassetta2
il 19/04/2023 alle 17:44
Inviato da: cassetta2
il 29/03/2020 alle 14:46
Inviato da: cassetta2
il 22/10/2019 alle 10:50
Inviato da: Lucky340
il 11/10/2019 alle 21:32
Inviato da: Lucky340
il 01/06/2018 alle 10:05