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Non intendo sollecitare investimenti.
Chiunque utilizzi spunti derivanti dalla mia analisi  agisce a proprio rischio e pericolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Messaggi di Settembre 2016

Via dall’euro, con l’austerità non c’è futuro. Lo ammette anche Zingales

Post n°1963 pubblicato il 26 Settembre 2016 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

E’ un’intervista destinata a far scalpore, sebbene il quotidiano che la pubblica “Repubblica” abbia cercato di annacquarla. Il vero titolo era “Via dall’euro, con l’austerità non c’è futuro” hanno preferito un più neutrale “Quella contro l’austerity e’ una battaglia persa”. Resta però la sostanza.

Luigi Zingales, economista della University of Chicago, stronca i tentativi di Renzi di strappare qualche decimale di flessibilità per la semplice ragione che il vero nodo è strutturale. Le schermaglie non servono a nulla.

«Il problema non è qualche punto decimale di flessibilità, ma la vera struttura dell’ unione monetaria. Senza una politica fiscale comune l’ euro non è sostenibile: o si accetta questo principio o tanto vale sedersi intorno a un tavolo e dire: bene, cominciamo le pratiche di divorzio. Consensuale, per carità, perché unilaterale costerebbe troppo, soprattutto a noi».

Parola di Zingales, che alla domanda su cosa dovrebbe fare l’Italia per sbloccare l’austerità di marca tadesca, la risposta è netta:

«Di certo smetterla di elemosinare decimali da spendere a scopi elettorali rendendosi poco credibile. Dovrebbe invece iniziare una battaglia politica a livello europeo. Dire chiaramente che alle condizioni attuali l’ euro è insostenibile. O introduciamo una politica fiscale comune che aiuti i paesi in difficoltà o dobbiamo recuperare la nostra flessibilità di cambio. Tertium non datur.

Il rischio per gli italiani è quello di finire come la rana in pentola: se la temperatura aumenta lentamente non ha la forza per saltare fuori e finisce bollita. Il nostro Paese non cresce da vent’ anni. Quanto ancora possiamo andare avanti?

Certo, Zingales continua a credere che una politica fiscale europea potrebbe risolvere i problemi di molti Paesi europei ma realisticamente sa che la Germania non si scosterà dall’attuale linea.

Alla Germania conviene che questa situazione continui all’ infinito. È difficile che qualcuno cambi idea se non gli conviene, a meno che non sia costretto a farlo. I tedeschi temono di pagare il conto delle spese altrui e su questo non hanno tutti i torti.

Dunque nulla cambierà. E l’Italia deve scegliere: se non vuole morire dissanguata lentamente deve trovare altre soluzioni. Ne resta una sola: uscire dall’euro, come sostengono da tempo Alberto Bagnai e gli economisti che gravitano attorno ad Asimmetrie.

E se Renzi fosse davvero il premier di rottura che pretende di essere, coglierebbe l’occasione per avanzare con forza la questione, anzi per porla al primo posto nell’agenda del Paese. Altro che Olimpiadi, altro che riforma costituzionale. Tutto è inutile senza crescita economica.

Ma questo coraggio,Renzi non ce l’ha. Preferisce, al solito, la propaganda e le schermaglie verbali, come se bastasse parlare bene per salvare un Paese.

 

Marcello FOA su http://blog.ilgiornale.it/

 

 

 
 
 

Usa: la Federal Reserve conferma il costo del denaro, appuntamento a dicembre

Post n°1962 pubblicato il 21 Settembre 2016 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

MILANO (Finanza.com)

Come da attese, la Federal Reserve ha confermato il costo del denaro allo 0,25-0,5%. La decisione è stata presa con una maggioranza di sette membri contro tre (il presidente di Boston, Eric Rosengren, quello di Kansas City, Esther George, e il n.1 di Cleveland, Loretta Mester). L’istituto guidato da Janet Yellen ha però evidenziato che una nuova stretta, la seconda dal 2006, è sempre più vicina. 

“Il Comitato (Federal Open Market Committee, ndr) ritiene che le probabilità di un aumento dei tassi sui federal funds siano cresciute ma, per ora, ha deciso di attendere ulteriori prove della continuazione dei progressi verso i suoi obiettivi”, riporta il comunicato dell’istituto con sede a Washington. 

Le indicazioni macroeconomiche contrastanti delle ultime settimane avevano creato qualche apprensione tra gli operatori. La crescita dell’inflazione, passata dallo 0,8% all’1,1% ad agosto, ha incrementato le argomentazioni a favore di una stretta, mentre il primo calo in cinque mesi registrato il mese scorso dalle vendite al dettaglio (-0,3%) ha giocato a favore delle “colombe”. 

Poco dopo la chiusura degli scambi in Europa la probabilità di una stretta erano al 24%. Poco più in alto il dato relativo il meeting del 2 novembre (32,1%) e di poco sotto il 60% l’ipotesi di un intervento a metà dicembre (14/12). 

Tassi fermi anche nel prossimo meeting, vista la vicinanza delle elezioni presidenziali (Trump accusa la Fed di aver creato “una falsa economia” per aiutare Obama) e la mancanza di una conferenza stampa per illustrare al meglio un provvedimento così importante, e nuova stretta nell’ultima riunione del 2016. 

A conferma di questa view ci sono i cosiddetti "dot plot”, le proiezioni sull'evoluzione dei tassi secondo ogni membro del Comitato di politica monetaria. A giugno, l'ultima volta che i dot plot sono stati diffusi, la stima mediana era di due strette nel 2016, contro le quattro del dicembre 2015. Ora, su 17 votanti, 14 si attendono  un nuovo incremento prima della fine dell’anno. Nel 2017 ci dovrebbero essere due nuovi ritocchi al rialzo, contro i tre di giugno. Indicazioni “dovish”, da colomba, anche dalla stima sulla crescita economica, passata dal 2 all’1,8%. 

Sostanzialmente piatto prima dell’annuncio, lo S&P500 al momento guadagna lo 0,45% mentre l’indice del dollaro, in rosso di mezzo punto percentuale, sta incrementando le perdite. Festeggia anche l’oro, in aumento di un punto e mezzo percentuale a 1.338 dollari l’oncia.

da http://www.finanza.com/

 
 
 

Bce: politica monetaria invariata(commenti).

Post n°1961 pubblicato il 09 Settembre 2016 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

La Banca centrale europea ha lasciato invariata la politica monetaria nella riunione tenutasi oggi a Francoforte. I mercati hanno reagito negativamente ma si è trattato solo di un movimento temporaneo come temporanea appare essere la resistenza della Bce a nuovi interventi.

Il mercato si attendeva un nulla di fatto ma forse, sotto sotto, sperava almeno in un prolungamento del Programma di acquisto asset. Mario Draghi e i banchieri centrali della Bce non lo hanno concesso, anzi, non ne hanno proprio parlato. Da qui la delusione, manifestatasi sui mercati azionari europei e sull'euro. Movimenti di breve durata che sono presto rientrati. Draghi sarà costretto a muovere a dicembre, dopo la revisione al ribasso delle stime macroeconomiche elaborate dallo staff della Bce. 

"Crediamo che Francoforte - commenta Vincenzo Longo, strategist di Ig - procederà entro dicembre a prolungare il Qe causa deterioramento dell'attività economica e anche il mercato lo sa. La reazione negativa, tra l'altro del tutto modesta, è riconducibile per lo più al fatto che la Bce sembra non essere così disponibile a concessioni gratuite verso il mercato". 
E tantomeno a concessioni gratuite verso i responsabili politici: "Mario Draghi - nota Marco Vailati, responsabile Ricerca e investimenti di Cassa Lombarda - ha ribadito la necessità di riforme strutturali e sostegno fiscale, pur nel rispetto delle regole del Patto di crescita e stabilità. Un approccio logico e disciplinato, senza sprecare cartucce sostanzialmente non necessarie oggi e tenendosi spazi aperti per i prossimi meeting". In effetti il governatore della Bce si è potuto concedere un briciolo di ottimismo, nonostante dati macroeconomici non esaltanti "comunicando - ricorda Matteo Paganini, chief analyt di Fxcm Italia - che le manovre straordinarie di sostegno all'economia hanno cominciato a mostrare una reale trasmissione del denaro iniettato nel sistema europeo all'economia reale. Ciò depone a favore di una rinnovata politica attendista, sempre che i dati macro da qui a dicembre non sprofondino",
Eppure un po' più di proattività sarebbe stata positiva secondo Patrick O'Donnel, fixed income investment manager di Aberdeen AM: "La mancanza di urgenza lascerà sotto pressione, probabilmente, gli asset finanziari e la valuta, rendendo il lavoro della Bce ancora più difficile. La prossima mossa, a dicembre, sarà un'estensione del Programma di acquisto asset (Pspp)" in pratica quanto i mercati si attendevano già oggi. 
"Al fine di sostenere l'economia dell'area euro la Bce sarà forzata ad adottare una posizione di politica monetaria ancora più morbida" sottolinea Anthony Doyle, investment director retail fixed interest di M&G Investments che prosegue: "Fortunatamente ci sono una serie di azioni a disposizione della Banca centrale europea, tra cui l'estensione e l'ampliamento della durata degli acquisti di asset cambiando i termini del programma di acquisto asset al fine di prevenire qualsiasi problema di scarsità di asset acquistabili, e anche il taglio dei tassi in territorio negativo. Dal nostro punto di vista, il tema di ulteriori stimoli monetari è solo questione di tempo". 

 
 
 

Stati Uniti: ISM servizi ai minimi dal 2010 e rialzo tassi in dubbio

Post n°1960 pubblicato il 07 Settembre 2016 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Chiusura in rosso per le borse europee che perdono terreno dopo i dati deludenti arrivati dagli Stati Uniti. Dopo una mattina trascorsa in frazionale rialzo, le vendite sono affiorate nell’ultima ora di contrattazione in scia alla pubblicazione delle figure del settore dei servizi relative al mese di agosto del paese a stelle e strisce.

Sia l’indice PMI che l’ISM hanno mancato le attese, attestandosi rispettivamente a 50,9 punti (da 51,4) e a 51,4 punti (da 55,5). Mentre il primo è stato il più basso da febbraio 2016, ben peggiore è stata la performance dell’indice ISM che è crollato ai minimi da 6 anni e mezzo.

Sebbene entrambi i dati siano rimasti sopra la soglia dell’espansione, il violento peggioramento potrebbe aprire a una prosecuzione del calo anche nei prossimi mesi. I sotto indici non hanno fatto meglio, con i nuovi ordini che sono crollati di quasi 9 punti.

Così, dopo il report deludente dell’ISM manifatturiero pubblicato la scorsa settimana, anche il comparto dei servizi non lascia presagire nulla di incoraggiante per il futuro. Queste figure, infatti, vengono indicate come gli indicatori anticipatori più affidabili dell’economia e aprono a una maggiore incertezza sulla crescita durante l’autunno.

Le brutte indicazioni hanno contribuito a ridurre ulteriormente anche le probabilità di un rialzo tassi Fed a settembre, scese ora a un modesto 15%. La risonanza dei dati macro è stata tanto importante a tal punto di ridurre considerevolmente le probabilità per un rialzo anche a dicembre, ridottesi al 50% dal 65% prima del dato.

Sui mercati i movimenti non si sono fatti attendere. Il biglietto verde è stato colpito dalle vendite. Complice di ciò, il cambio Eur/Usd è salito ai massimi da quasi due settimane arrivando a 1,1256. Più violento il deprezzamento verso lo yen, sceso di una figura e mezzo, e verso la sterlina, con il cambio Gbp/Usd salito ai massimi da 7 settimane.

Proprio il dollaro debole potrebbe aver fornito un supporto alle commodity, oro in primis, che è tornato a riposizionarsi sopra quota 1.340 dollari/oncia. Tra i mercati azionari, l’Europa ha chiuso con cali intorno al mezzo punto percentuale, mentre Wall Street rimane sostanzialmente piatta. Probabilmente il dollaro debole potrebbe aver aiutato l’equity statunitense a svantaggio di quello europeo.

da  Finanza.com

VINCENZO LONGO Market Strategist IG

 

 
 
 

Stati Uniti: payrolls sotto le stime ad agosto, appuntamento a fine anno per la stretta della Fed?

Post n°1959 pubblicato il 03 Settembre 2016 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Indicazioni sotto le stime quelle arrivate dal mercato del lavoro della prima economia. Ad agosto il saldo delle buste paga nei settori non agricoli (non-farm payrolls) ha evidenziato un incremento di 151 mila unità, circa 30 mila in meno rispetto alle stime. Con le revisioni del mese di luglio (da 255 a 275 mila) e giugno (da 292 a 271 mila), la media degli ultimi tre mesi si conferma sopra la soglia delle 200 mila unità attestandosi a 232 mila. 

Indicazioni deludenti, ma in questo caso la portata del dato è decisamente inferiore, anche dal tasso di disoccupazione, confermatosi al 4,9% (consenso 4,8%).  L’aggregato U-6, che al tasso di disoccupazione "classico” aggiunge i lavori scoraggiati, marginali e chi lavora a tempo parziale ma vorrebbe essere impiegato full-time, il mese scorso si è attestato al 9,7%, in linea con la precedente rilevazione e lo 0,6%  in meno nel confronto annuo. 

Nonostante la Federal Reserve abbia più volte rimarcato che un singolo dato non cambia la valutazione sull’andamento della prima economia, il saldo delle payrolls è uno degli indicatori maggiormente tenuti in considerazione dalla Banca centrale.  Il dato di agosto lascia il mercato nell’incertezza poiché, alla luce delle recenti esternazioni di importanti membri della Fed, un risultato decisamente migliore delle stime avrebbe potuto spingere il board a rompere gli indugi e a varare un nuovo incremento dei tassi nel meeting in calendario il 20-21 settembre. 

Al 34 e al 39,7 per cento prima della pubblicazione dei dati, le probabilità di una stretta nelle riunioni in calendario a settembre e novembre attualmente si attesta al 26 e al 33,9%. La data più probabile resta quella di dicembre, quando un innalzamento del tasso sui Fed Funds è visto al 57,2% (dal 59,8%). 

"Crediamo che il dato odierno contribuisca a scacciare gli ultimi dubbi (per chi ne avesse) sul rialzo nella prossima riunione Fed del 20-21 settembre, ma non scalfisce le attese di un rialzo a fine anno”, ha commentato Vincenzo Longo, Market Strategist di IG. 

"Il report non sostiene l’ipotesi di un incremento dei tassi a settembre e probabilmente è in linea con la nostra view di una stretta nel primo trimestre 2017”, rileva James Knightley, economista senior di ING. Ma, allo stesso tempo, continua l’esperto, "un numero crescente di membri della Fed si è detto disponibile ad innalzare il costo del denaro […] e questo ci dice che un intervento a dicembre non può essere escluso”. 

Particolarmente importante per la Banca centrale, perché direttamente correlato con la dinamica dei prezzi al consumo, l’andamento delle retribuzioni, salite il mese scorso  dello 0,1% mensile, la metà del consenso (2,4% per l’indice annuo). "Alla luce dei miglioramenti del mercato del lavoro –continua Knightley - avevamo sperato in un’accelerazione. Nonostante questo, ci sono elementi che suggeriscono che chi cambia lavoro riesce ad ottenere retribuzioni maggiori e questo nel tempo dovrebbe tradursi in un incremento dei salari per quelle aziende interessate a trattenere la forza lavoro”. .....

da http://www.finanza.com/

 
 
 
 
 

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Un blog di: Lucky340
Data di creazione: 04/05/2010
 

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