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Messaggi del 17/10/2013

La manovra di Letta è un’aspirina contro il cancro

Post n°1621 pubblicato il 17 Ottobre 2013 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Dopo tanti sacrifici molti attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all’economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Riuscirà la manovra nell’impresa, portando il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede?

Il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l’OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell’insieme dei paesi OCSE). Nessuno discute che la riduzione del cuneo fiscale sia di per sé è cosa buona e giusta.
Infatti, nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, essa determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell’industria nazionale.
In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall’altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l’occupazione. Insomma, l’abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo.

L’intervento dunque è teoricamente buono, ma vediamo come viene attuato, cioè su che scala e a quale costo.

Sotto il primo aspetto va chiarito che l’intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l’intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014.

E qual è il costo di questa manovra? In altre parole, come viene finanziata? Ebbene, le risorse complessive della Legge di Stabilità del governo – che per il 2014 vale 11,6 miliardi – provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego. Va de sé, ed è questo il punto che qui più è rilevante sottolineare, che i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell’aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l’economia riparta.

Le osservazioni appena fatte ci portano alla filosofia di fondo della manovra del governo. Si tratta di una manovra nella quale complessivamente alcune piccole riduzioni della pressione fiscale vengono finanziate con altrettante riduzioni della spesa pubblica. A ben vedere, lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. Ed è qui che casca l’asino. È infatti ormai acclarato – e a questo riguardo rinvio al “monito degli economisti“ pubblicato dal Financial Times – che in Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. 
Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l’Italia e gli altri Piggs). Ebbene, qualunque manovra anche piena di buone intenzioni ma che si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d’Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell’euro salterà.

Insomma, se è pur vero che il taglio del cuneo fiscale va nella direzione giusta, la sua collocazione dentro la “filosofia vincolista” della finanza pubblica ne sterilizza i magri effetti positivi, e la rende una medicina del tutto inadeguata al male devastante che viviamo, un po’ come l’aspirina contro il cancro.


di Riccardo Realfonzo da ilfattoquotidiano.it

 
 
 

Wall Street: accordo in extremis (come previsto)

Post n°1620 pubblicato il 17 Ottobre 2013 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Nasdaq sul massimo degli ultimi 13 anni.Grande seduta per il comparto bancario, bene anche Visa, in calo Cisco Systems. Sul Nasdaq volano ancora Gilead Sciences e Facebook.

Come nella più classica delle commedie cinematografiche tutto alla fine si conclude per il meglio, ed anche Wall Street non ha voluto andare contro la tradizione che vuole un accordo proprio in extremis.

I democratici soddisfatti, i repubblicani soddisfatti, ed anche la Casa Bianca esulta. Beh, non esageriamo, l’accordo raggiunto è nella realtà un compromesso temporaneo (fino al 15 gennaio per la riapertura dello Stato Federale, e fino al 7 febbraio per quanto riguarda l’innalzamento del debito), quindi più che altro è un … tiriamo a campà.

Ma di questi tempi basta e avanza per far salire Wall Street e far tornare lo S&P500 di nuovo sopra quota 1.700 punti e soprattutto il Nasdaq al nuovo massimo dell’anno (e degli ultimi 13 anni).

Il mercato, peraltro, non ha mai avuto dubbi sull’esito delle trattative, il risultato raggiunto, però, possiamo definirlo “il minimo sindacale”, del tipo, non abbiamo raggiunto un accordo ma non vogliamo passare per coloro che hanno fatto andare in default gli Stati Uniti d’America, quindi? Rimandiamo a dopo le festività natalizie.

La “regia” di Obama è stata pessima, più che i contenuti ha badato “all’immagine”, non volendo passare per “lo sconfitto”, ma così non si governa ed in effetti da quando è alla Casa Bianca non ha mai governato se si eccettua per un pastrocchio denominato Obamacare.

Certo occorre anche essere obiettivi e riconoscere che non ha avuto anni facili per fare il Presidente degli Stati Uniti, ma è riuscito anche in una impresa non certo agevole: far rimpiangere George W. Bush .

Se in politica interna ha avuto grandi difficoltà in quella estera è stato un disastro, ed il culmine si è raggiunto con la catastrofica gestione dell’affare Siria che stava per concludersi con la candidatura di Putin a Premio Nobel per la Pace (poi i norvegesi hanno trovato l’escamotage di premiare la sconosciuta Opac).

Oggi però abbiamo conosciuto anche il Beige Book che, però, non ha riservato sorprese, l’economia statunitense continua a crescere fra il modesto ed il moderato (scontato), l’aumento (modesto) dei consumi è stata guidato principalmente dal comparto automobilistico, leggermente migliorato anche il settore immobiliare, mentre stabili sono risultati sia il manifatturiero che il finanziario.

Insomma nessuna sorpresa.

Dow Jones (+1,36%) molto positivo il comparto bancario dopo i dati migliori del consenso comunicati da BofA, abbiamo così in vetta ai rialzi JP Morgan (+3,23%) seguita da Goldman Sachs (+2,93%), terza piazza per Visa (+2,23%) di nuovo in prossimità dei propri massimi storici.

Tre soli i ribassi e precisamente Cisco Systems (-0,78%), Home Depot (-0,32%) e Walt Disney (-0,14%).

S&P500 (+1,38%) exploit di Abbott Laboratories (+6,50%) a seguire Citigroup (+4,05%) e Bristol-Myers Squibb (+2,98%).

Ennesimo ribasso per Exelon (-2,61%), in calo anche eBay (-0,83%) e Bank of New York Mellon (-0,29%).

Nasdaq (+1,20%) le performances miglior sono state messe a segno da titoli che da tempo stanno ottenendo guadagni straordinari, come Regeneron Pharma (+5,93%) che da inizio anno ha incrementato il proprio valore dell’80%, Staples (+3,45%), Facebook (+3,30%) che negli ultimi 4 mesi ha guadagnato oltre il 120% e Gilead Sciences (+3,22%) la cui performance a 15 anni è dell’8.316%!!!

Ancora una volta maglia nera Randgold Resources (-3,59%), in calo oggi Activision Blizzard (-2,48%) e Nuance Comm. (-1,53%).

Giancarlo Marcotti su  Finanza In Chiaro

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 04/05/2010
 

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