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Messaggi del 14/06/2018

Bce, la svolta di Draghi su Qe

Post n°2011 pubblicato il 14 Giugno 2018 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Tutto come previsto o quasi: la Bce non tocca i tassi, che dunque restano pari a zero (il tasso di riferimento), a -0,40% (quello sui depositi presso la Bce) e a +0,25% (quello applicato sulle operazioni di rifinanziamento marginale), ma annuncia che il programma di quantitative easing (QE), in scadenza a fine settembre, verrà sì nuovamente prorogato, ma solo per altri 3 mesi, fino a fine anno, e ad un ritmo ulteriormente rallentato dagli attuali 30 a 15 miliardi di euro di acquisti di bond sul mercato al mese.

Cosa cambia operativamente per investitori e per chi ha contratto o vuole contrarre un prestito dopo l’annuncio di Eurotower? Per ora poco o nulla: dal primo gennaio dell’anno prossimo, infatti, gli acquisti di bond si interromperanno, ma seguendo l’esempio della Federal Reserve la Bce per un “esteso periodo di tempo” continuerà a reinvestire i titoli in portafoglio in scadenza, tra cui circa 356 miliardi di bond italiani che secondo un’analisi di Intesa Sanpaolo a quel punto l’istituto guidato da Mario Draghi dovrebbe avere in cassa, così da “mantenere favorevoli condizioni di liquidità e un elevato livello di accomodamento monetario”.

Lo stesso Draghi ha anche precisato che i tassi sull’euro resteranno fermi almeno per i prossimi 12 mesi, dunque fino a tutta l’estate 2019, un dettaglio che ha avuto un’immediata ripercussione sul mercato dei cambi con l’euro che è scivolato da 1,18 a 1,17 contro dollaro, quest’ultimo del resto sostenuto sia dal rialzo di un quarto di punto (il secondo da inizio anno) dei tassi sui Fed Funds annunciato ieri sera dalla Federal Reserve, sia dalla previsione della stessa di altri 2 rialzi dei tassi entro fine anno più altri quattro nel 2019. L’atteggiamento della Fed è dunque più restrittivo a questo punto del ciclo di quello della Bce tanto da venir giudicato persino troppo “aggressivo, nonostante il tocco apparentemente leggero” da Ronald Temple, Head of Us Equities presso Lazard Asset Management.

Per questo è probabile che l’euro possa tornare a perdere terreno contro dollaro anche nei mesi a venire, contribuendo a sostenere le esportazioni europee ed italiane e, indirettamente, le borse del vecchio continente (anche se Wall Street non dovrebbe soffrire eccessivamente neppure in termini relativi, visto la riaccelerazione in corso dell’economia a stelle e strisce), che infatti dopo l’annuncio della Bce si sono riportate in territorio positivo dopo una mattinata prudente.

Più tormentato appare il percorso di chi investe in obbligazioni e titoli di Stato: il mercato ormai si sta orientando a scontare una sia pure molto graduale “normalizzazione” che in Europa giungerà molto dopo che negli Stati Uniti, ma la reazione alla conferma che i tassi ufficiali non si muoveranno per almeno altri 12 mesi porta oggi gli investitori a riacquistare i titoli di tutta l’area europea, favorendo un calo pressochè lungo tutta la curva e su tutti i mercati.

Così il rendimento a 12 mesi sui titoli italiani, che lo scorso 29 maggio era arrivato a toccare l’1%, scivola sotto lo 0,31% contro lo 0,34% di ieri, mentre il tasso a 2 anni oscilla poco sopra quota 0,89% (da più di 0,96% di ieri), a 5 anni cala sotto l’1,87% (dall’1,917%) e a 10 anni rompe al ribasso la soglia del 2,8% (da 2,815%). Nonostante ciò lo spread rimane poco sopra i livelli di ieri appena sotto la soglia del 2,36% dopo una fugace “fiammata” attorno al 2,50%, perdendo leggermente terreno contro la Francia (che lo vede calare sullo 0,78%) ma recuperandone contro la Spagna (che lo vede in rialzo sull’1,42%). Il consiglio per chi volesse investire a reddito fisso è dunque di mantenersi su titoli di buona qualità e con una duration non eccessiamente lunga.

Per quanto riguarda infine mutui e prestiti, l’Euribor è sostanzialmente invariato sui valori della vigilia, coi tassi a 3 e a 6 mesi (i più utilizzati per i mutui a tasso variabile) ancora negativi e rispettivamente pari a -0,321% e -0,268%. L’Irs, utilizzato solitamente per i mutui a tasso fisso, resta a sua volta assolutamente immobile, con una curva fortemente schiacciata, e per il momento e pari allo 0,38% sulla scadenza dei 5 anni, allo 0,99% a 10 anni, all’1,34% a 15 anni, all’1,49% a 20 anni e all’1,54% a 30 anni.

In buona sostanza se avete ancora molti anni da pagare sul vostro mutuo potrebbe essere quasi arrivato il momento di passare al tasso fisso, se già non l’avete fatto, mentre se avete solo più pochi anni vi conviene rimanere ancorati al tasso variabile, se già l’avete. Difficilmente, infatti, l’inflazione subirà un’accelerazione così rapida e duratura da indurre la Bce ad imitare la Fed e accelerare il passo della sua “normalizzazione” con una serie di rialzi dei tassi ufficiali a ritmo serrato.

Luca Spositi su http://www.affaritaliani.it/

 
 
 

Via dalla Costituzione il pareggio di bilancio

Post n°2010 pubblicato il 14 Giugno 2018 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Articolo di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA su Libero di oggi, 14 giugno 2018:

Il governo ha cominciato a mostrare come la musica stia cambiando sul tema “migranti”, ma cambierà qualcosa anche nell’ambito della politica economica? Certo, non ha senso avanzare critiche a pochi giorni dalla formazione del governo, ma dei “minibot” quasi più non si parla, nonostante siano nel programma di governo, e neppure dell’obbligo del pareggio di bilancio. Per non parlare dell’euro, che anzi non passa giorno senza che esponenti del governo, per «calmare i mercati», sottolineino la sua «indispensabilità». Oggi vogliamo soffermarci sull’obbligo del pareggio di bilancio.

Quando nel 2012 l’obbligo del pareggio di bilancio fu inserito in Costituzione su dettatura di Mario Monti, e per ordine della Bce, al popolo fu iniettata una consistente dose di menzogne basata sul fatto che lo Stato è come una famiglia e quindi non può accumulare debiti. Falso. Il pareggio di bilancio consiste infatti nell’impegno dello Stato a non poter spendere a deficit, quindi a lasciare zero ricchezza a cittadini e imprese. Se lo Stato spende 100 e incassa 97, ha speso a deficit nella misura del 3 per cento, soldi che restano nell’economia e che costituiscono ricchezza per la collettività. Se invece lo Stato si impone, addirittura per Costituzione, di fare pareggio di bilancio, vuol dire che quei 100 che spende deve vederseli tornare indietro in egual misura, lasciando zero ricchezza nell’economia reale.

LA SVENDITA

In un clima di totale svendita del Paese all’Ue, il Parlamento italiano inserì nel 2012 in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio con una revisione costituzionale votata dai 2/3 dei componenti di entrambe le Camere. A favore votarono Pd e Pdl, contro – ma solo in seconda votazione – Lega Nord e Italia dei Valori. In questo modo la modifica non fu sottoposta a referendum popolare confermativo, con la conseguenza che non vi fu alcun dibattito nel Paese lasciando che i cittadini restassero ignari di quello che era successo. Oggi la situazione politica è molto diversa ed esistono le condizioni per rimediare.

Ma per farlo serve una nuova revisione della Costituzione che abroghi la Legge costituzionale n. 1/2012 ripristinando l’originaria formulazione degli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione. I numeri in Parlamento ci sono. L’art. 138 della Costituzione prevede, per i procedimenti di revisione costituzionale, due diverse votazioni di Camera e Senato distanziate l’una dall’altra da un intervallo di almeno tre mesi, e nella seconda votazione occorre quantomeno la maggioranza dei componenti di entrambe le Camere. M5S e Lega dispongono di questa maggioranza. Dopo di che occorrerà un referendum confermativo.

IL CONTRATTO

Il “contratto di governo” – sul punto – non è per la verità cristallino, ma c’è un capitolo in cui se ne parla che è proprio quello delle riforme istituzionali. La penultima versione del contratto prevedeva espressamente il “superamento” del pareggio di bilancio, formulazione lessicale ammorbidita dalla versione definitiva. Una correzione introdotta forse per non spaventare né Mattarella né i mercati, ma il significato non cambia di molto. Se non si interviene con una revisione costituzionale in tal senso il Paese resterà schiavo di uno dei vincoli esterni tra i più pericolosi di sempre. Qualora non si procedesse con l’abrogazione del vincolo, i nostri figli finiranno per non avere né un lavoro né una pensione dignitosa. Quando lo Stato incassa in misura equivalente a quello che spende, è inevitabile che alla collettività non resti nulla. Al netto degli interessi passivi che paghiamo sul debito pubblico, è da ventisette anni che l’Italia fa addirittura avanzo primario. Se rispettassimo anche il vincolo del pareggio di bilancio, l’avanzo primario sarebbe addirittura superiore a quello degli ultimi decenni, infatti quel poco di deficit che facciamo attualmente è dato soltanto dagli interessi sul debito, e non perché siamo spendaccioni. Una situazione insostenibile che impedisce ogni forma di sviluppo economico.

In Parlamento è già stato depositato, in questa Legislatura, un Ddl di revisione costituzionale a firma della deputata Cipriani del M5S che prevede proprio l’abrogazione del vincolo del pareggio di bilancio. Speriamo che si proceda con celerità in questa direzione.

ripreso da https://scenarieconomici.it/

 
 
 

Perché i mini-bot sono meno efficaci dei Tsf

Post n°2009 pubblicato il 14 Giugno 2018 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

L’enorme debito dello Stato italiano – pari a circa 2mila 300 miliardi, ovvero al 132% del Prodotto interno lordo – è un macigno sulla strada di qualsiasi governo. Il peso del debito impedisce all’economia di svilupparsi. Come risolvere il problema? Ci sono due maniere di ridurre il rapporto debito pubblico/Pil: la prima è di diminuire il debito; la seconda è di far crescere il Pil. La prima maniera comporta l’aumento delle tasse e/o il taglio della spesa pubblica e/o la cessione del patrimonio pubblico. La seconda maniera – ovvero la crescita del Pil – è certamente più felice perché ci porta fuori dall’austerità.

Ambedue le proposte di moneta fiscale che qui consideriamo – quello dei mini-bot lanciata dalla Lega di Matteo Salvini e quella dei Titoli di sconto fiscale (Tsf) che propongo insieme a un gruppo di studiosi – tendono proprio a fare crescere il Pil aumentando la domanda aggregata. Confrontando le due proposte cercherò però di dimostrare che i Tsf sono più efficaci dei mini-bot perché i Tsf non producono debito pubblico, e anzi, possono generare surplus.

Fare crescere il Pil è in teoria semplice: in una situazione di forte sottoutilizzo delle risorse produttive, di disoccupazione, di scarsa liquidità e di carenza di potere d’acquisto, per riaccendere l’economia occorre rilanciare gli investimenti pubblici e il potere d’acquisto delle famiglie, quindi la domanda aggregata. Il problema vero è però aumentare la domanda senza fare crescere deficit pubblico. Altrimenti aumenta anche il famigerato spread (cioè gli interessi che lo Stato italiano deve pagare sul suo debito).

Come uscire dalla crisi? La Commissione europea, la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionalepropongono e impongono l’austerità, ovvero manovre basate su tagli alla spesa pubblica e al costo del lavoro, sulla privatizzazione dei servizi pubblici e in pratica sulla (s)vendita delle risorse nazionali. Ma l’austerità tende a ridurre il Pil e a segare l’albero in cui si è seduti. Infatti in situazione di forte sottoutilizzo delle risorse produttive il moltiplicatore è superiore a uno. Questo vuole dire che se diminuisci la spesa di un euro, o se aumenti le tasse di un euro, il Pil si riduce più di un euro. Quindi il rapporto debito/Pil aumenta. Dunque,l’austerità non funziona. Occorrono altri strumenti per fare ripartire l’economia.

In Italia il principale progetto espansivo di moneta fiscale è quello dei mini-bot ideato da Claudio Borghi Aquilini, responsabile economico della Lega. Il progetto è stato inserito nel contratto di governo giallo-verde ed è mirato a rilanciare l’economia, mettendo in circolazione alcune decine di miliardi (circa 60- 70) derivanti dai crediti delle aziende e dei cittadini nei confronti dello Stato.

I mini-bot, sono titoli di Stato denominati in euro che assumerebbero una forma cartacea in piccoli tagli (50-100 euro), in modo da facilitarne l’uso. Non fruttano interesse ma lo Stato si impegna ad accettarli per il pagamento delle tasse, garantendone il valore. Questo implica che potrebbero essere accettati da vasti settori di pubblico e di aziende. Il progetto, secondo i proponenti, aumenterebbe il potere d’acquisto degli assegnatari e quindi spingerebbe la domanda interna. Questa misura costituirebbe inoltre una prima forma di recupero sostanziale di sovranità monetariadello Stato, pur nel rispetto del monopolio formale della Bce sulla moneta unica.

I mini-bot hanno però un grave difetto: infatti possono essere subito utilizzati per pagare le tasse e quindi produrrebbero immediatamente deficit pubblico. La manovra verrebbe subito impugnata dalle istituzioni europee perché potrebbe sforare da subito i limiti (stupidi) del deficit pubblico – il famoso 3% sul Pil. E soprattutto i mercati reagirebbero male di fronte all’aumento del deficit.

Quali sono invece i vantaggi dell’altra forma di moneta fiscale basata sui Titoli di sconto fiscale? Il principale vantaggio è che i Tsf non producono deficit pubblico. I Tsf sono infatti dei titoli di Stato che danno diritto ai loro possessori di ridurre i pagamenti fiscali ma solo a partire da tre anni dall’emissione, cioè nel quarto anno. I Tsf tuttavia – proprio come tutti gli altri titoli di Stato, come i Bot e i Cct – potranno essere immediatamente ceduti sul mercato finanziario in cambio di euro. Così possono subito incrementare la capacità di spesa dell’economia.

Essendo titoli a breve-media scadenza pienamente garantiti dallo Stato per “pagare” le tasse, i Tsf saranno prevedibilmente scambiati quasi alla pari – cioè con poco sconto – sul mercato finanziario. Il governo italiano dovrebbe emettere Tsf in maniera massiccia: nel giro di tre anni potrebbe emettere Tsf per un importo pari al 3-4% del Pil, ovvero per qualche decina di miliardi di euro.

Il governo assegnerà i Tsf gratuitamente – ripeto: gratuitamente – a cittadini e aziende e li utilizzerà anche per i pagamenti della Pubblica amministrazione. Questa è una prima differenza rispetto al progetto di Borghi. I Tsf costituiscono reddito aggiuntivo diffusoe quindi avrebbero un effetto espansivo assai più elevato dei mini-bot. Soprattutto i Tsf non generano debito né al momento dell’emissione né in quello dell’utilizzo, ovvero dopo tre anni dall’emissione. Questa è il principale vantaggio dei Tsf sui mini-bot di Borghi. Infatti nel momento della creazione di Tsf lo Stato non sborsa soldi, e quindi non registra alcun deficit fiscale. E, dopo tre anni dall’emissione dei Tsf , la crescita del Pil indotta dal moltiplicatore e soprattutto dall’inflazione – provocata dall’incremento della domanda – darà luogo a un aumento del gettito fiscale che compenserà il costo dell’emissione dei Tsf. Quindi alla fine della manovra non ci sarà alcun buco fiscale, ma anzi un prevedibile surplus.

Gli investitori potrebbero reagire positivamente alla manovra perché saranno rassicurati dal fatto che il Pil cresce senza aumento di deficit e che i loro crediti saranno tutti ripagati. Anche la Bce potrebbe approvare, o addirittura promuovere, i Tsf perché salvano i bilancipubblici. Ovviamente il principale obiettivo della Bceè quello di mantenere l’irreversibilità dell’euro e i Titoli di sconto fiscale danno un contributo decisivo in questo senso. Il progetto dei Tsf offre l’enorme vantaggio di potere essere essere attuato in Italia e negli altri Paesi periferici mantenendo la moneta unica europea di fronte alle altre valute internazionali, come il dollaroyenyuanpound. Le monete fiscali nazionali potrebbero essere considerate dalla Bce come l’ancora di salvezza di una eurozona sempre sull’orlo del precipizio.

 

Enrico Grazzini  su https://www.ilfattoquotidiano.it

 
 
 
 
 

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Un blog di: Lucky340
Data di creazione: 04/05/2010
 

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