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Nell'ordinamento tributario italiano, la tassa, si differenzia dall'imposta, in quanto applicata secondo il principio della controprestazione, cioè la sua richiesta è legata ad una determinata prestazione di un servizio da parte di un organismo pubblico. Questo strumento tende a perdere importanza, nei moderni sistemi tributari, a favore di altri strumenti, quali la tariffa o l'imposta. La separazione netta tra tassa e imposta è ereditata dal codice di diritto romano ed è tipica dei Paesi latini. Nel diritto anglosassone, al contrario, non si distinguono tasse e imposte, perché in base ai loro principi le imposte sono considerate illegittime. Secondo gli anglosassoni infatti, lo stato, può richiedere le tasse solo a fronte di un servizio che concede alla collettività, non come uno strumento per fare cassa. In oltre, la gestione amministrativa pubblica non può essere considerata un'impresa, poichè non può avere nè profitto nè perdite. Se le uscite sono maggiori delle entrate l'ente pubblico è indebitato, ma non può fallire. Da ciò ne deriva che, circa il 70% delle entrate fiscali italiane, non sono spese per erogare un servizio, ma per ripianare i passivi degli enti pubblici. In ambito europeo, le marcate differenze di tassazione consentono a società multinazionali di trasferire voci contabili nei bilanci delle collegate internazionali che hanno per quelle voci la tassazione più bassa. La Polonia ha adottato negli ultimi anni una aliquota fiscale unica, molto simile alla decima dell'Impero Romano. Uno schema di aliquota unica si scontra però con la motivazione di progressività della tassazione, per il ruolo sociale di redistribuzione della ricchezza svolto dalle tasse. Secondo questo principio di solidarietà, è giusto che chi ha redditi maggiori paghi di più i servizi che vengono erogati: oppure è lecito tassare i più abbienti senza controprestazione, come nel caso dei sussidi erogati ai meno abbienti. L'evasione fiscale, ai giorni d'oggi, riguarda quasi esclusivamente le tasse piuttosto che le imposte, per le quali è sufficiente un rilievo anagrafico delle persone fisiche e giuridiche per un prelievo del dovuto. Nel 2006, 2/3 dei contribuenti italiani hanno dichiarato unreddito fino a 15.000 Euro all'anno. Solo in 50.000 dichiarano più di 200.000 euro l'anno e 150.000 persone tra 100.000 e i 200.000 euro. La quasi totalità del gettito fiscale raccolto deriva dalla trattenuta alla fonte dei lavoratori dipendenti, imposta per legge. L'evasione fiscale è quindi un fenomeno che interessa esclusivamente gli autonomi, i professionisti e le società private. Altro caso sono i doppiolavoristi in nero o coloro che a vario titolo forniscono prestazioni senza un'attività dichiarata. Negli Stati Uniti l'evasione fiscale è un reato punibile penalmente. I controlli sono gestiti da un'agenzia privata di novantamila addetti che devono vigilare su 200 milioni di contribuenti. L'agenzia privata ha il potere di indagare sui conti correnti. In Italia invece, persino la finanza, deve inoltrare una richiesta a ognuna delle banche oggetto di indagine. In altri termini, per gli organi inquirenti, non è possibile visionare l'estratto conto presso la banca titolare del rapporto, ma deve essere ricostruito chiedendo a tutte le banche interessate su quel conto in dare ed avere. In Italia, contro questi poteri di controllo previsti dalla recente normativa, è stato sollevato il diritto alla privacy, sebbene da sempre a dati simili abbiano accesso anche le più piccole società di credito. Chissà come mai?