Liberi come l'aria.

INGIUSTIZIA A TUTTA BIRRA.


La "Birra Messina", fino ad alcuni anni fa, era la bevanda storica della mia città. Una storia che risale al 1923 e ha come perno la famiglia Lo Presti Faranda: una nota famiglia di mastri birrai, che a dispetto del fatto che la birra non rientrasse nelle abitudini siciliane, con impegno e caparbietà, finirono per imporla con grande successo. Fino ad alcuni anni fa era impensabile non vederla in ogni bar e in ogni locale pubblico della mia città. Quando a Messina si parlava di birra, ci si riferiva esclusivamente alla Birra Messina. Se ti dicevano: ti offro una birra, ci giochiamo una birra, mi sono fatto una birra, e via discorrendo, era implicito che si trattasse di una Birra Messina. Un prodotto veramente ottimo: leggera, ma dal sapore molto piacevole, esaltato dal fatto che spesso veniva bevuta freschissima, appena fatta. Nella calura estiva delle nostre parti, bere una Birra Messina era rigenerante e forniva l'apporto energetico per ogni attività, sia intellettuale che manuale. Questo prodotto così semplice, dal prezzo popolare, era sulla tavola di tutti, dal professionista allo scaricatore di porto, e accomunava la città in una sorta di campanilismo bevereccio dal sapore familiare. Penso che neanche la Coca-Cola possa vantare una penetrazione tale nelle abitudini di consumo. Per la famiglia Faranda, proprietaria dell'azienda, grazie anche ad una conduzione scrupolosa e ad un'intelligenza imprenditoriale poco comune, gli affari andavano a gonfie vele, tanto che nei primi anni '80 acquistarono il marchio multinazionale "Henniger", con licenza per tutta l'italia. La Birra Messina intanto, sia in Sicilia che in Calabria, conquistava quote sempre maggiori di mercato, ma anche all'estero, soprattutto negli Stati Uniti. Tanto successo non poteva certo passare inosservato alle multinazionali. Che l'azienda detenesse delle quote di mercato così importanti, tanto da non consentire la penetrazione dei loro prodotti, di certo alle multinazionali della birra doveva rodere non poco. Penso che le offerte a "togliersi di torno" siano arrivate a dozzine. Da parte dei titolari si profilava l'eventualità di poter ricavare un buon profitto dalla vendita dell'azienda, o in alternativa di dover affrontare una vera e propria guerra contro le multinazionali. Fu nei primi anni '90 che i fratelli Faranda, vendendo cara la pelle, si decisero a cedere. La decisione fu così sofferta che ad uno dei due fratelli, a causa di problemi di cuore, risultò fatale. Il marchio e lo stabilimento vennero quindi ceduti al gruppo Heineken Italia. Da quel giorno, inutile dirlo, la gloria di questo prodotto ebbe una rapido declino. La multinazionale della birra aveva già molti stabilimenti e non era certo interessata a portarne avanti la produzione giù in Sicilia. Quello a cui erano maggiormente interessati era la quota di mercato, soprattutto li stimolava il fatto di poter assestare un grosso colpo alla concorrenza. La storia di questa gloriosa azienda, che tanto aveva dato al territorio in termini di occupazione ed indotto, seguendo la sorte comune a molte altre, si involse verso una progressiva smobilitazione. Pensionamenti e prepensionamenti ad oggi hanno portato i dipendenti a solo 64 addetti. La Birra Messina, pur conservando un marchio riferibile alla città, da oltre 10 anni viene fabbricata in Valle D'Aosta, ed il grande stabilimento al momento serve solo da deposito. Notizia di ieri, la multinazionale Heineken ha deciso di chiudere tutto e mandare a casa 64 persone. Quella che vi ho raccontato è una storia di ordinaria follia imprenditoriale, comune a chissà quante altre realtà. La crisi economica di cui tanto si parla, a volte sembra più determinata che incidentale. In risposta a queste vicende, a mio avviso, l'unico atteggiamento costruttivo possibile è il boicottaggio. L'imprenditoria non può basarsi solo sul mercato, ma deve costruire i presupposti perchè il mercato sia possibile. Un dare e ricevere che è alla base di ogni processo economico. Senza questa prerogativa è solo un saccheggio.