Creato da luloca il 10/03/2006

Liberi come l'aria.

In questo blog sono graditi tutti gli interventi, se in tema con l'argomento del post. Potete dire qualunque boiata, purché non lo facciate in maiuscolo o in grassetto. La prima regola del vivere civile é quella di non prevaricare gli altri, e chi lo fa,oltre a non meritare la mia stima, si rivela solo un gran cafone.

 

 

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INGIUSTIZIA A TUTTA BIRRA.

Post n°64 pubblicato il 12 Gennaio 2007 da luloca

La "Birra Messina", fino ad alcuni anni fa, era la bevanda storica della mia città. Una storia che risale al 1923 e ha come perno la famiglia Lo Presti Faranda: una nota famiglia di mastri birrai, che a dispetto del fatto che la birra non rientrasse nelle abitudini siciliane, con impegno e caparbietà, finirono per imporla con grande successo. Fino ad alcuni anni fa era impensabile non vederla in ogni bar e in ogni locale pubblico della mia città.

Quando a Messina si parlava di birra, ci si riferiva esclusivamente alla Birra Messina. Se ti dicevano: ti offro una birra, ci giochiamo una birra, mi sono fatto una birra, e via discorrendo, era implicito che si trattasse di una Birra Messina.
Un prodotto veramente ottimo: leggera, ma dal sapore molto piacevole, esaltato dal fatto che spesso veniva bevuta freschissima, appena fatta. Nella calura estiva delle nostre parti, bere una Birra Messina era rigenerante e forniva l'apporto energetico per ogni attività, sia intellettuale che manuale.
Questo prodotto così semplice, dal prezzo popolare, era sulla tavola di tutti, dal professionista allo scaricatore di porto, e accomunava la città in una sorta di campanilismo bevereccio dal sapore familiare. Penso che neanche la Coca-Cola possa vantare una penetrazione tale nelle abitudini di consumo.

Per la famiglia Faranda, proprietaria dell'azienda, grazie anche ad una conduzione scrupolosa e ad un'intelligenza imprenditoriale poco comune, gli affari andavano a gonfie vele, tanto che nei primi anni '80 acquistarono il marchio multinazionale "Henniger", con licenza per tutta l'italia. La Birra Messina intanto, sia in Sicilia che in Calabria, conquistava quote sempre maggiori di mercato, ma anche all'estero, soprattutto negli Stati Uniti.

Tanto successo non poteva certo passare inosservato alle multinazionali. Che l'azienda detenesse delle quote di mercato così importanti, tanto da non consentire la penetrazione dei loro prodotti, di certo alle multinazionali della birra doveva rodere non poco.
Penso che le offerte a "togliersi di torno" siano arrivate a dozzine. Da parte dei titolari si profilava l'eventualità di poter ricavare un buon profitto dalla vendita dell'azienda, o in alternativa di dover affrontare una vera e propria guerra contro le multinazionali.

Fu nei primi anni '90 che i fratelli Faranda, vendendo cara la pelle, si decisero a cedere. La decisione fu così sofferta che ad uno dei due fratelli, a causa di problemi di cuore, risultò fatale. Il marchio e lo stabilimento vennero quindi ceduti al gruppo Heineken Italia. Da quel giorno, inutile dirlo, la gloria di questo prodotto ebbe una rapido declino. La multinazionale della birra aveva già molti stabilimenti e non era certo interessata a portarne avanti la produzione giù in Sicilia. Quello a cui erano maggiormente interessati era la quota di mercato, soprattutto li stimolava il fatto di poter assestare un grosso colpo alla concorrenza.

La storia di questa gloriosa azienda, che tanto aveva dato al territorio in termini di occupazione ed indotto, seguendo la sorte comune a molte altre, si involse verso una progressiva smobilitazione.
Pensionamenti e prepensionamenti ad oggi hanno portato i dipendenti a solo 64 addetti. La Birra Messina, pur conservando un marchio riferibile alla città, da oltre 10 anni viene fabbricata in Valle D'Aosta, ed il grande stabilimento al momento serve solo da deposito.

Notizia di ieri, la multinazionale Heineken ha deciso di chiudere tutto e mandare a casa 64 persone.

Quella che vi ho raccontato è una storia di ordinaria follia imprenditoriale, comune a chissà quante altre realtà. La crisi economica di cui tanto si parla, a volte sembra più determinata che incidentale.
In risposta a queste vicende, a mio avviso, l'unico atteggiamento costruttivo possibile è il boicottaggio.
L'imprenditoria non può basarsi solo sul mercato, ma deve costruire i presupposti perchè il mercato sia possibile. Un dare e ricevere che è alla base di ogni processo economico. Senza questa prerogativa è solo un saccheggio.

 
Rispondi al commento:
luloca
luloca il 15/01/07 alle 10:21 via WEB
Spesso non parlo di utili "sudati", ma di utili estorti con metodi da criminalità organizzata. Il commercio da vicinato non è certo morto con le ipercoop, ma si era avviato all'estinzione grazie all'espandersi della grande distribuzione nel suo insieme. Le coop credo abbiano solo il 7% dell'intero mercato... un fenomeno italiano che grazie al cielo sta crescendo e che forse è l'unico in grado di contrastare lo strapotere delle multinazionali belgo/francesi. Circa la libertà degli investimenti avrei molto da dire... il liberismo di libero ha solo il nome, ma poi obbedisce a delle leggi che sono imposte solo dai più forti. Tra l'altro, dalle mie parti, il fenomeno coop quasi non esiste, il piccolo commercio quasi non esiste più ed è tutto in mano alle multinazionali che spesso qui si alleano con la criminalità organizzata per il riciclaggio del danaro sporco.
 
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UNA PROFEZIA DI PIER PAOLO PASOLINI.

Alì dagli Occhi Azzurri uno dei tanti figli di figli, scenderà da Algeri, su navi a vela e a remi. Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali. Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camice americane. Subito i Calabresi diranno, come malandrini a malandrini: «Ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e formaggio!»
 

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