Luoghi Perduti

otherness..togetherness


«“Nel fondo potremmo essere come in superficie, – pensò [Lucas], – però dovremmo vivere in un altro modo. E che significa vivere in un altro modo? Forse vivere assurdamente per stroncare l'assurdo, lanciarsi in sé con una tale violenza che il salto finisca fra le braccia di un altro. Sì, forse l'amore, però la otherness dura quanto dura una donna, ed inoltre solo per quanto riguarda quella donna. In fondo non esiste otherness, appena la piacevole togetherness. Certamente è già qualcosa...”. Amore, cerimonia ontologizzante, dispensatrice di essere. E per questo gli veniva in mente in quel momento ciò che avrebbe dovuto venirgli in mente fin dal principio: senza possedersi non esisteva possesso dell'alterità, e chi si possedeva davvero? Chi era di ritorno da se stesso, dalla solitudine assoluta che significa non fare assegnamento neppure sulla compagnia di se stesso, essere obbligato ad entrare in un cinematografo, in un postribolo o nella casa degli amici, in una professione assorbente o nel matrimonio per trovarsi almeno solo-fra-gli-altri? Così, paradossalmente, il colmo di solitudine portava al colmo di gregarismo, alla grande illusione della compagnia altrui, all'uomo solo nella sala degli specchi e delle eco. Ma persone come lui e tante altre, che accettavano se stessi (o che si rifiutavano, però a ragion veduta) entravano nel paradosso peggiore, quello di trovarsi forse alle soglie dell'alterità e di non poterle varcare. La vera alterità fatta di delicati contatti,di meravigliose compensazioni con il mondo,non poteva realizzarsi con un solo termine,alla mano tesa doveva corrispondere un'altra mano da fuori, dall'altro»Julio Cortázar, Il gioco del mondo, Einaudi, Torino 1969