Soleto

Sciacuddhi, magici folletti


Soleto è Sciacùddhia, terra dei folletti che, secondo alcune tradizioni, giungono soprattutto dal giorno del Natale fino all’Epifania. Questa terra magica non poteva non credere all’esistenza di uno dei personaggi del mondo dell’occulto. Nell’Italia Meridionale è noto come Moniceddhu e Carcaluru. Nel Salento è molto conosciuto con il termine di Scazzamurrieddhu. 
A Lecce il nome dei griki e soletani Sciacuddhi o Sciacuddri è Laurieddhi, in altri luoghi Lauri ed anche Uri e Urri; quest' etimologia potrebbe derivare  dall’etrusco “lar” che significa re, signore, eroe, oppure dai “lari domestici” dei romani, od anche dalle “laure” sotterranee destinate ai luogo di culto dei monaci basiliani, oppure dall’albero di lauro, cioè alloro, dove qualcuno riteneva che abitassero.  Mentre Uru potrebbe provenire dal verbo latino uro che significa bruciare, tormentare e martoriare, proprio come si comportava il burlone folletto che non lasciava in pace nessuno.  Lo storico De Simone documentava che venivano considerati “ le anime dei buoni antenati della famiglia, legate strettamente alla casa che si curano di proteggere; come questi, accompagnano sempre e dovunque della casa avita, giri o emigri dovunque la famiglia”. Secondo alcuni leccesi, i Laurieddhi sono gli spiriti dei bambini morti prematuramente  e non battezzati.  I Lauri  se buoni potevano essere generosi e d’aiuto alla famiglia ed ai contadini, tenendo, ad esempio, gli animali selvatici lontano dai campi, vegliando ai frantoi ipogei,   riempiendo di caramelle le culle dei bambini. I Lauri maligni, invece, si divertivano ad intrecciare le criniere dei cavalli ed a togliere il respiro dormendo sul petto delle persone. Il termine Carcaluru proviene proprio da quest’abitudine del folletto di calcare e premere al di sopra, provocando malessere, oppressione e pesantezza. Pare che alle fanciulle, similmente alla tarantola, potesse pizzicare il mal d’amore.
Gli Sciacuddhi sono piccoli e di bassissima statura (non più di 40 cm), pelosi, scalzi, con i capelli scuri e riccioloni, bruttini, dispettosi anche nell’aspetto, impertinenti, bizzarri, imprevedibili, con le orecchie a punta, gli occhi rossi e la lingua a penzoloni, mezzi animali e mezzi uomini, con il cappuccio grande e rosso che era la fonte dei loro poteri magici e vestiti di panno color tabacco.La loro origine e natura ricorda la famiglia degli Elfi, dei Troll, dei Nani, dei Lari e di Peter Pan. Secondo alcune credenze popolari dell’area mediterranea, quando gli spiritelli erano sotto la terra cercavano di tagliare l’albero dell’universo, sacro all’umanità, che regge la vita e dà conoscenza ed amore e, quando uscivano dal sottosuolo entravano dentro le case e le masserie con fare scherzoso. Carlo Levi così li descriveva: ““fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono le sedie di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare, cavalli che amano intrecciare inestricabilmente”.
Gli Sciacuddhi, o anche Asciacuddhi,  uscivano solo di notte perché non riescono a guardare la luce del fuoco e del giorno; per questo motivo le donne cercavano di far durare le fiamme del caminetto il più possibile. Il 6 Gennaio il popolo portava dalla Messa l’acqua santa benedetta così da collocarla in un piatto con una croce ed un mazzetto di basilico, con il quale si cospargeranno tutti gli angoli della casa e delle stalle. Lo Scazzamurrieddhu (dal verbo salentino scazzicare, cioè smuovere) è anche custode dei preziosi scrigni e tesori nascosti, acchiatura,  al di sotto di pietre campestri o nei palazzi gentilizi. La tradizione e le cronache orali del popolo narrano che i folletti salentini sono stati avvistati nelle case, nei boschi, nelle vicinanze dei dolmen, dei menhir, delle specchie e delle chiese. Lo studioso Castromediano ci ha lasciato una descrizione minuziosa e preziosa del magico personaggio: " è un essere che preoccupa la mente degli sciocchi. Irritante ed irritabile, danneggia e benefica, secondo capriccio, è il Dio Lare di quei tuguri che sceglie a dimora. E già lo Uru suole impossessarsi d'un abitacolo scendendo dai tubi fumaioli d'un camino. Infatti le cento volte ho sentito dipingerlo basso, anzi piccin piccino, gobetto, con gambe un po' marcate in fuori, peloso di tutta la persona, ma d'un pelo morbido e raso. Copregli il capo un piccolo cappelletto a larghe tese e indossa una corta tunica affibbiata alla cintola. I piedi poi... non so nulla dei suoi piedi per non averli mai visti.   In fin dei conti l'Uru altro non è se non uno di quei folletti tra il bizzarro e l'impertinente, tra lo stizzoso e lo scherzevole, cattivo con chi lo ostacola o sveli le sue furberie, condiscendente, anzi benefico, con chi gli usa tolleranza. Bazzica più volentieri nelle stalle, dove ospitatosi una volta difficilmente ne esce. Impadronitosi di una di esse tosto s'innamora della cavalla o dell'asina che meglio gli garba e l'assiste e la carezza di preferenza, nutrendo della biada sottratta alle compagne, o rubata ai presepi prossimi o lontani. È da notare che la bestia favorita gode l'alto onore di essere da lui stesso strigliata, lisciato il pelo ed intrecciati graziosamente i crini del collo e della testa.   Di giorno non appare giammai, esercita di notte le sue trappolerie. Se poi s'impossessa di un'abitazione, s'appiatta nei luoghi più reconditi, per lo più nel sacernale (trave maestra del tetto). Di là nella notte spicca il salto e cade giù producendo un tonfo sordo come pantofola scagliata contro un muro.   Talaltra volta, scapolato quatto quatto da buchi inosservati, o da catasta di vecchie quisquiglie eccolo a metter sossopra masserizie ed annessi, cambiandogli di luogo, a sparecchiar gomitoli e tele del telaio o a svegliar le persone, rompendo piatti, bottiglie, bicchieri.   Guai se è in collera col suo ospite. Se questi dorme i suoi sogni dorati, questi improvviso gli cavalca il petto e glielo calca fino a fargli perdere il respiro (incubo). È un brutto momento, uno di quelli in cui si crede di morire. Ma se l'oppresso riesce a vincere l'affanno e stende la mano sull'oppressore, ghermirlo per ciuffetto e tenerlo fermamente, fortunato lui! La sua sorte è fatta! L'Uru è geloso fino alla morte della propria libertà e ghermito così piange e prega e tutto promette a riaverla. Non gli si chiegga danaro allora, perché vi colmerebbe di cocci; meglio chiedergli cocci che vi subisserà di danaro.   Ad interpretare un tal nome dovremmo investigare nel latino, nel greco ed anche nell'ebraico. Più di rado lo chiamano moniceddhu (monacello) o scazzamurrieddhu".
Vi è, inoltre, un'antica poesia dedicata proprio a lui:" Cu la còppula scattusazzumpa ssu lla panza cu tte ncusa. Uru, uru malitettu, a ddhu hai scusu lu scarfaliettucu li ori te la sciara? Nu nc' è cceddhi cu te para...? Ma se te rrubbu lu scursettu me l'hai dare lu scarfaliettu!"(Col berretto sgargiante / salta sulla pancia per accusarti //. Uru, uru maledetto, / dove hai nascosto lo scaldaletto / con gli ori della strega? / Non c'è nessuno che ti eguagli? / Ma se ti rubo il berretto / devi darmelo lo scaldaletto!).--- Un sito d'approfondimento è: La_leggenda_dei_lauri ---