Soleto

I pomodori nella cultura soletana


Come in tutti i paesi del Salento e, soprattutto nell'area grika, i pomodori costituiscono un emblema importante per la tradizione agro-alimentare, familiari, economica e tradizionale di Soleto. Nei mesi estivi si lavorava intorno alla raccolta, conservazione e trasformazione di questo saporitissimo e fondamentale prodotto, denominato in idioma salentino con i termini prummitori, pummitori, pimbidori, pimmitori.
Notissime sono le ghirlande di pomodoro, realizzate per l'inverno, con i pimmitori te pendula o te corda, rossi e gialli, la quale veniva agganciata ad un filo di ferro e spago; le corone venivano appese ad un gancio in una zona fresca e ventilata e consentivano ad avere disponibile il prodotto fresco tutto l'anno. Questi pomodorini erano quelli più frequenti per la ricetta dei pummitori schiattarisciati o scattati, cioè fritti  e saltati in padella, che condivano la pasta, soprattutto gli spaghetti.
La varietà dei pomodori rossi e maturi venivano, invece, essicati, dopo esser stati spaccati, scolati ed esposti al sole cuocente sui cannizzi, stuoie di canna. Le donne per accellerare la disatrazione li sploveravano con abbondante sale, li esponevano sulle terrazze o sui pagghiari di giorno e la sera li ritiravano per preservarli dall'umidità della notte. Il procedimento di essicazione durava tre-quarto giorni e, successivamente, i pomodori secchi venivano conservati sott'olio.
I pomodori venivano soprattutto trasformati nella sarsa te pimmiori, soprattutto con il metodo bagnomaria. Venivano usati quelli maturi, i quali venivano messi in un calderone pieno a metà di acqua con sale e basilico per farli bolliri. Grondati dell'acqua di cottura, si passavano e la salsa veniva collocata nelle bottiglie di vetro. Queste, quindi, tappate ermeticamente, arrotolate in stracci venivano ordinate in grandi recipienti d'acqua per la sterilizzazione a bagnomaria. 
Esisteva anche la conserva che prevedeva rituali fasi di procedimento. I pomodori andavano sbollentati e passati al setaccio con l'uso della strattiera o mattheddha costituita da un fondo d'acciaio bucherellato con i bordi di legno. Eliminati così semi e bucce, si procedeva a bollire e salare, si versava la salsa in grandi piatti di terracotta, la li esponeva al sole per venti giorni e, dopo aver raggiunto una consistenza quasi solida, la si sistemava nei boccacci con poco olio. Un cucchiao di questa salsa, sciolta in acqua calda, consentiva di ottenere un condimento predilbato.
"Ci manci pane e pummitoru nu vai allu duttore""Se mangi pane e pomodoro non vai dal dottore"(proverbio salentino)