SoletoIl sole culturale del Salento |
UN VOLTO DA CONOSCERE ED AMARE
Soleto è il centro più antico del Salento, simile ad una donna mediorientale con abiti traforati dai fili del mito e della storia, ingioiellata di perle artistiche, illuminata dai raggi del sole, adornata di fiori selvatici. Questo blog nasce con la volontà di restaurare, divulgare e far conoscere il suo incantevole ritratto.
Per informazioni, suggerimenti, notizie, itinerari e visite guidate, collaborazioni e contatti su Soleto ed il Salento, potete scrivere a: magiasoletana@libero.it
Gli scritti sono frutto dei miei studi, ricerche e riflessioni. Se si desidera prendere spunto e riferimenti dai post, sarei grata che si citasse la fonte, su mia conoscenza ed autorizzazione.
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AGLI OCCHI DEGLI ANTICHI VIAGGIATORI
"... Soleto invero è una meta di puro godimento spirituale, un'oasi appartata di bellezze, le quali si disvelano interessanti più di ogni aspettativa al viaggiatore, sia esso un innamorato dell'architettura, della scultura, della pittura od un archeologo, sia esso un ricercatore di curiosità etnografiche o un folklorista..." Le cento città d'Italia illustrate, 1929
* "...il villaggio ha l'aspetto così orientale con le sue case bianche, e i suoi tetti spiani, che mi aspettavo sentire gli abitanti parlare l'arabo..." Janet Ross, viaggiatrice inglese, XIX sec.
* "... Soleto trovasi in uno dei siti più belli della provincia, ... un anello di perenne vegetazione arborea, di orti e di giardini lo circonda tutto intorno..." Cosimo De Giorgi, geografo salentino, XIX sec.
* "... oggi la comparativa picciolezza del borgo, i di cui abitanti serbano tuttavia qualche cosa del greco idioma, mostra la perpetua vicenda delle cose umane..." Attilio Zuccagni Orlandini, Corografia fisica, storica e statistica dell'Italia e delle sue Isole, 1845
* "... un mucchio di piccole case bianche dai piccoli tetti bassi intorno al grande e magnifico campanile ..." Martin Shaw Briggs, viaggiatore inglese , "Nel tallone d'Italia", 1908
* "... Ab Hydrunte Soletum desertum (dopo Otranto v'è Soleto abbandonato) ..." Plinio il Vecchio, storico, 77-78 d.C.
* "... Haec amplam urbem (questa era una grande città) ..." Il Galateo Antonio De Ferraris, storico salentino, De Situ Iapygiae, 1511
* "... Vuolsi che un villaggio di mille e ottocento anime dodici miglia circa lontano da Lecce, chiamato Soleto, sia l'antico Salento ..." Giuseppe Ceva Grimaldi, Itinerario da Napoli a Lecce e nella provincia di Terra d'Otranto, 1818
AGLI OCCHI DEI NUOVI VIAGGIATORI
* "C'è il campanile costruito dal Brutto Fatto (che dicono sia Il Diavolo), in una notte soltanto, con tutti i suoi decori. Ci sono, fatti di patate e prezzemolo, i crocchè più lunghi del Salento e un fascino di viuzze che sembra una casbah, un intrigo. Un lungo racconto, antico remoto, che si spinge indietro nel tempo in un epoca in cui il mediterraneo poteva essere accolto su di un vaso di ceramica in un frammento poco più grande di un francobollo..." dal web, frisella
* "... il campanile svelto e allegro verso il cielo; un tempio in miniatura, che, se tendi le mani da un lato della strada, forse lo raggiungi; o forse, puoi tenerlo stretto se gli allarghi le braccia intorno ..." Giuliana Coppola, da quisalento
* "... questo SOLE, te lo vedrai scorrere, giorno per giorno, dal solstizio d’inverno(Giuggianello), verso l’equinozio di Muro, sino al solstizio d’estate(Soleto) ..." Rodolfo de Michele, dal suo web
* "... Mentre mi allontano comincia a piovere, e quando arrivo a Soleto, piove decisamente, così do solo un’occhiata frettolosa alla “Guglia degli Orsini”, che è un campanile senza campane, perché aveva puro scopo decorativo. " dal web
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Post n°38 pubblicato il 08 Aprile 2008 da magiasoletana
Matteo Tafuri fu mago ed ancor di più. Mago non dell’incantesimo, come narra la leggenda, del demoniaco, delle formule superstiziose speculative e del malefico. Tafuri amò e s’interessò della magia naturale, fondata sullo studio dei fenomeni della natura e dei suoi elementi, dell’anima che muove ogni cosa, delle "cose visibili ed invisibili", dei Miracoli che ruotano intorno e dentro la vita. Osservò le meraviglie del Creato, con meditazione, studio e filosofia. Indagò sull’Uomo e sul non caso causale del suo essere e ne studiò l’unicità e la personalità individuale che risiede anche nel dna astrale, con l’analisi e l’interpretazione della mappa delle stelle e delle costellazioni al momento di ogni nascita, e nella fisiognomica, tramite l’osservazione delle caratteristiche e dei tratti fisici. Gli astri sotto i quali si nasce ed i lineamenti esteriori sono stati sempre specchio dell’interiorità, predisposizioni, stati d’animo e caratteristiche dell’anima. Ancora oggi la psicologia, la psicoterapia e l’antropologia si avvale anche di questi strumenti di analisi e conoscenza per indagare e ricercare nell’interiorità umana. Il trattato "De Phisonomia" di Matteo Tafuri, come numerosissimi altri suoi testi, è andato smarrito. Il napoletano GianBattista Della Porta studioso ed autore dei medesimi temi, studi ed interessi del Tafuri, nn esita a riconoscerlo come: "... è eccelso fra i contemporanei solamente il Tafuri con la sua portentosa capacità di divinare, in base all'esame dell'aspetto somatico, tutti gli avvenimenti dell'esistenza umana, non escluso il momento della morte". Matteo Tafuri, nacque a Soleto nel 1452 e deve essere ritenuto un personaggio degno di nota almeno per l’intera Italia Meridionale del Rinascimento. Il "Socrate di Soleto" fu una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina e scienza in senso lato. Portò il suo contributo intellettuale, umano e culturale in Germania, Spagna, Francia (si laureò alla Sorbona), Asia Minore, Africa settentrionale, ecc…, dopo essersi formato nella vicina Zollino da Sergio Stiso ed a Napoli, dove giunse all’età di 20 anni. Dopo aver viaggiato tanto e sostato nei centri culturali più vivi del tempo, ossia Padova, Parigi e Salamanca, ritornò a Soleto. A causa dell’ignoranza, dell’invidia, del luogo comune, della superficialità e della malignità finì sotto l’Inquisizione con l’accusa di stregoneria. Interrogato più volte per le sue capacità ed arti divinatorie, fu sempre rilasciato come innocente. Soleto fu fin dall’antichità luogo della magia, non solo quella naturale e scientifica a cui si avvicinò Tafuri, ma soprattutto legata alla superstizione, al malocchio ed ai riti delle "macare", al concetto di fortuna (in un’epigrafe incisa ubicata sulla finestra di una corte si legge: "FORTUNA QUOD VULT"), ai codici magico-religiosi (nelle iscrizioni greche affrescate nella Chiesa di S. Stefano vi è il quello magico per la benedizione delle acque del Nilo), all’esistenza del malefico (esistono tantissime maschere apotropaiche per allontanare le negatività) ed alla presenza del diavolo (nel giudizio universale della Chiesa di S. Stefano vi è l’altorilievo del demonio). Tafuri insegnò nel suo paese natio dove aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico, e qui morì nel 1584. L’artista galatinese Lavinio Zoppo lo ritrasse nel 1580 con il copricapo rosso, emblema dell’Università di Sorbona, all’interno del dipinto della Madonna del Rosario in cui sono presenti i personaggi e le personalità più importanti dell’epoca. Matteo Tafuri sull’architrave della sua casa, come consuetudine dei dotti del paese, fece incidere il suo motto: "HUMILE SO ET HUMILTA’ ME BASTA. DRAGON DIVENTER0’ SE ALCUN ME TASTA" per esprimere la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze solo per le quali poteva trasformarsi, come alchimia e magia, in un dragone. Più che per i suoi meriti professionali, intellettuali e culturali, Matteo Tafuri viene ricordato per essere, secondo la leggenda, il creatore della Guglia di Soleto, la quale venne edificata in una notte per magia, aiutato da demoni e streghe. |
Post n°36 pubblicato il 07 Aprile 2008 da magiasoletana
" Il Signore, per dar forma all'anima salentina, scelse la pietra. Dalla roccia veniamo e vi torniamo " (Luigi Corvaglia, da FinibusTerrae) La storia di Soleto nasce con la sua pietra. Secondo alcuni studiosi il toponimo del villaggio proviene da basoleto, in greco syllithos, che indica un luogo dove affiora la roccia, ossia luogo pavimentato, terrazzato, lastricato. Infatti il sottosuolo di Soleto è caratterizzato da una pietra molto caratteristica, compatta, dura, resistente ed ideale per il basolato. Quasi tutti i centri storici salentini sono stati pavimentati con la pietra soletana, la quale coniuga gli elementi di piacevolezza e bellezza. Anche le grandi macine dei secolari frantoi erano realizzate con questo materiale lapideo, moltissimi trulli locali ubicati nelle campagne ed i muretti delle "chiusure". E’ nota come "pietra viva", viene estratta dalle cave a cielo aperto ed oggi è anche usata anche per la realizzazione di muri a secco, recinzione di ville e giardini e rivestimenti di prospetti od elementi architettonici più significativi come zoccolature e balaustre. E’ un calcare grigio ed omogeneo, scientificamente denominato "dolomia di Galatina", sebbene sia concentrato soprattutto nelle cave soletane. La sua lavorazione prevede l’utilizzo di antichi strumenti come la "busciarda" (piccoli martelli) e la "maiòcca" (martellone in legno di fico utilizzato per assettare il basolo). Soleto fin dall’antichità ha incentrato la sua attività economica-artigianale proprio intorno a questa straordinaria risorsa geologica. "Cavamonti", scalpellini e selciatori soletani hanno per secoli interi lavorato magistralmente la loro grigia pietra realizzando opere in tutta Terra d’Otranto. Non è un caso che Santo Stefano, titolare della chiesetta trecentesca del centro storico di Soleto, sia dedicata proprio al primo martire cristiano, protettore dei muratori, scalpellini, selciatori e tagliapietre, in quanto la pietra è uno dei suoi simboli, essendo stato lapidato. " Pietra siamo, pietra viva che resiste all'acciaio, ma, quando I' hai segnata, conserva eterna l'impronta della tua passione. Se la percuoti, sprizza scintille, si scheggia, taglia; arsa, si la calce candida, impasta, lega. E' cote che ti logora, e t'affina. Limitare sacro della tua casa, macina il tuo pane quotidiano ... E' tavola d'altare. Il rovaio la fende, perché sua matrice è il sole! " (Luigi Corvaglia, da FinibusTerrae) |
Post n°34 pubblicato il 04 Aprile 2008 da magiasoletana
"...Ma era anche giusto che in una casa di soletani (mia madre e mio padre erano di Soleto) la Madonna delle Grazie, titolare del santuario di Soleto, fosse - mi si scusi il bisticcio di casa: la Madonna, col grumo di sangue tra il naso e la bocca dell'immagine, sgorgato meravigliosamente e miracolosamente quando, nel 1568, un tal Giacomo Lisandri, "pieno di rabbia per aver tutto perduto nel giuoco - come leggo in un fascicoletto di Lacaita, editore manduriano, pubblicato nel 1928 -... vibrò furibondo due colpi con la scure sul volto della benedetta effigie, dicendo: lo non credo che tu sei la Madre di Dio, se non mi farai ammazzare stasera". Sanguinò allora il divino volto; e l' "empio oltraggiatore della Vergine", venuto a furioso diverbio con un certo Luigi Rullo, cadde con un coltello da lui piantatogli nel cuore.Questa storia mi fu narrata alla buona la prima volta quand'ero piccolo; e non l'ho più dimenticata anche perchè i miei genitori, rientrati in seguito da Lecce a Soleto, si erano poi costruite due stanze proprio nei pressi del convento della Madonna delle Grazie; due stanze nelle quali giacciono i miei giovanili anni di liceo. Quando ero in paese, le mie visite al santuario erano frequenti anche per sentirvi messa (più spesso andavo alla cattedrale per suonarvi l'harmonium); e così ho avuto modo di vedere tante volte il viso, allora in una teca e coperto da un panno, un po' atono e distante dell'immagine sacra, un po' astratto e metafisico, che può far pensare veramente più, a una severità di esemplare giustizia (come avvenne all'"empio oltraggiatore" Giacomo Lisandri), che a una maternità fatta d'indulgenza e di perdono. ..." ( da "Donne e madonne salentine fra memoria e democultura", 1982) |
Post n°33 pubblicato il 03 Aprile 2008 da magiasoletana
Nicola e Demetrio da Soleto, nel 1314, durante il regno di Roberto d’Angiò, affrescarono la cripta basiliana di S. Michele Arcangelo, posta nelle vicinanze della contrada e masseria "Monaci", in un una meravigliosa campagna di vigneti, oggi sulla strada provinciale Copertino-Galatina, nel Casale di Mollone che apparteneva all’area ellenofona salentina. Questi pittori soletani, probabilmente di origine o cultura greca in virtù dei loro stessi nomi, scrissero all’interno dell’ipogeo sacro che questo luogo di culto era una “Venerabilissima Chiesa”. La cripta fu realizzata, come si deduce dall’iscrizione dedicatoria, per conto e devozione del cavaliere Surè, di sua moglie e dei suoi figli. Fu non solo luogo di preghiera, ma anche di difesa per i monaci ed i fedeli; infatti al suo interno presenta una botola studiata per rifugiarsi in caso di incursioni nemiche. Nella roccia sono scavati due altari, uno dei quali è il Pastophorion che serviva per la preparazione e consacrazione del pane. Gli affreschi raffigurano le scene della Crocifissione, dell’Annunciazione, di S. Michele Arcangelo, di San Giovanni Evangelista e dell’Arcangelo Gabriele. Il soffitto della cripta è un cielo stellato con stelle ad otto punte. Le scene presentano dei tratti iconografici ed iconologici volumetrici con una disposizione scenografica non ieratica e puramente bizantina, ma più vicina al gusto tridimensionale dell’epoca in cui furono realizzati. Possono considerarsi delle opere di transito e cerniera tra il pensiero d’Oriente e quello occidentale. Gli affreschi di Nicola e Demetrio da Soleto sono i primi ad essere “bizantineggianti” e non bizantini, in quanto gli artisti riescono a trasmettere il sentimento, il movimento, la drammaticità, l’umanità di alcune figure, allontanandosi dal rigore stereotipato dello stile della scuola di Bisanzio che prevedeva l’impersonalità e staticità delle immagini e dei personaggi religiosi. Ai pittori di Soleto va il merito di aver coniugato gli aspetti arcaici della cultura d’Oriente con gli elementi innovativi del secolo in cui vissero. Copertino, Casale Mollone |
Post n°32 pubblicato il 02 Aprile 2008 da magiasoletana
Soleto è Sciacùddhia, terra dei folletti che, secondo alcune tradizioni, giungono soprattutto dal giorno del Natale fino all’Epifania. Questa terra magica non poteva non credere all’esistenza di uno dei personaggi del mondo dell’occulto. Nell’Italia Meridionale è noto come Moniceddhu e Carcaluru. Nel Salento è molto conosciuto con il termine di Scazzamurrieddhu. A Lecce il nome dei griki e soletani Sciacuddhi o Sciacuddri è Laurieddhi, in altri luoghi Lauri ed anche Uri e Urri; quest' etimologia potrebbe derivare dall’etrusco “lar” che significa re, signore, eroe, oppure dai “lari domestici” dei romani, od anche dalle “laure” sotterranee destinate ai luogo di culto dei monaci basiliani, oppure dall’albero di lauro, cioè alloro, dove qualcuno riteneva che abitassero. Mentre Uru potrebbe provenire dal verbo latino uro che significa bruciare, tormentare e martoriare, proprio come si comportava il burlone folletto che non lasciava in pace nessuno. Lo storico De Simone documentava che venivano considerati “ le anime dei buoni antenati della famiglia, legate strettamente alla casa che si curano di proteggere; come questi, accompagnano sempre e dovunque della casa avita, giri o emigri dovunque la famiglia”. Secondo alcuni leccesi, i Laurieddhi sono gli spiriti dei bambini morti prematuramente e non battezzati. I Lauri se buoni potevano essere generosi e d’aiuto alla famiglia ed ai contadini, tenendo, ad esempio, gli animali selvatici lontano dai campi, vegliando ai frantoi ipogei, riempiendo di caramelle le culle dei bambini. I Lauri maligni, invece, si divertivano ad intrecciare le criniere dei cavalli ed a togliere il respiro dormendo sul petto delle persone. Il termine Carcaluru proviene proprio da quest’abitudine del folletto di calcare e premere al di sopra, provocando malessere, oppressione e pesantezza. Pare che alle fanciulle, similmente alla tarantola, potesse pizzicare il mal d’amore. Gli Sciacuddhi sono piccoli e di bassissima statura (non più di 40 cm), pelosi, scalzi, con i capelli scuri e riccioloni, bruttini, dispettosi anche nell’aspetto, impertinenti, bizzarri, imprevedibili, con le orecchie a punta, gli occhi rossi e la lingua a penzoloni, mezzi animali e mezzi uomini, con il cappuccio grande e rosso che era la fonte dei loro poteri magici e vestiti di panno color tabacco. La loro origine e natura ricorda la famiglia degli Elfi, dei Troll, dei Nani, dei Lari e di Peter Pan. Secondo alcune credenze popolari dell’area mediterranea, quando gli spiritelli erano sotto la terra cercavano di tagliare l’albero dell’universo, sacro all’umanità, che regge la vita e dà conoscenza ed amore e, quando uscivano dal sottosuolo entravano dentro le case e le masserie con fare scherzoso. Carlo Levi così li descriveva: ““fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono le sedie di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare, cavalli che amano intrecciare inestricabilmente”. Gli Sciacuddhi, o anche Asciacuddhi, uscivano solo di notte perché non riescono a guardare la luce del fuoco e del giorno; per questo motivo le donne cercavano di far durare le fiamme del caminetto il più possibile. Il 6 Gennaio il popolo portava dalla Messa l’acqua santa benedetta così da collocarla in un piatto con una croce ed un mazzetto di basilico, con il quale si cospargeranno tutti gli angoli della casa e delle stalle. Lo Scazzamurrieddhu (dal verbo salentino scazzicare, cioè smuovere) è anche custode dei preziosi scrigni e tesori nascosti, acchiatura, al di sotto di pietre campestri o nei palazzi gentilizi. La tradizione e le cronache orali del popolo narrano che i folletti salentini sono stati avvistati nelle case, nei boschi, nelle vicinanze dei dolmen, dei menhir, delle specchie e delle chiese. Lo studioso Castromediano ci ha lasciato una descrizione minuziosa e preziosa del magico personaggio: " è un essere che preoccupa la mente degli sciocchi. Irritante ed irritabile, danneggia e benefica, secondo capriccio, è il Dio Lare di quei tuguri che sceglie a dimora. E già lo Uru suole impossessarsi d'un abitacolo scendendo dai tubi fumaioli d'un camino. Infatti le cento volte ho sentito dipingerlo basso, anzi piccin piccino, gobetto, con gambe un po' marcate in fuori, peloso di tutta la persona, ma d'un pelo morbido e raso. Copregli il capo un piccolo cappelletto a larghe tese e indossa una corta tunica affibbiata alla cintola. I piedi poi... non so nulla dei suoi piedi per non averli mai visti. Vi è, inoltre, un'antica poesia dedicata proprio a lui: " Cu la còppula scattusa (Col berretto sgargiante / salta sulla pancia per accusarti //. Uru, uru maledetto, / dove hai nascosto lo scaldaletto / con gli ori della strega? / Non c'è nessuno che ti eguagli? / Ma se ti rubo il berretto / devi darmelo lo scaldaletto!). --- Un sito d'approfondimento è: La_leggenda_dei_lauri --- |
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PERSONAGGI ILLUSTRI
* Nicola e Demetrio da Soleto
- pittori, XIV sec.-
* Raimondello Orsini del Balzo
- conte di Soleto, XIV sec. -
* Giorgio di Soleto, Nicola Antonio Pinella e Giacomo Rizzo
- amanuensi, XV sec. -
* Matteo Tafuri
- filosofo e mago, XVI sec. -
* Francesco Scarpa
- filosofo, XVI sec. -
* Niceta Attanasio
- uomo d'armi, XVI sec. -
* Antonio e Francesco Arcudi
-protopapi e grecisti, XVI e XVII sec. -
* Donato Perrino
- erudito ecclesistico, XVI sec. -
* fra Giuseppe da Soleto
- intagliatore di tabernacoli, XVII sec.-
NOTE
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SOPRANNOMI
Le "ingurie", espressioni ed invenzioni della cultura popolare, sono dei nomignoli, quasi sempre pungenti, offensivi e caricaturali, con i quali venivano chiamati i villaggi salentini ed i suoi abitanti. La derivazione dei soprannomi ai Paesi trae origine da antiche caratteristiche, consuetudini e tipicità socio-comportamentali-culturali del territorio. Oltre agli epiteti sul borgo e sui suoi residenti, vi erano anche quelli personalizzati, coniati per ogni singolo cittadino. Soleto è stato denominato con diversi appellativi e modi di dire.
* C'es Sulito, magari, a te' nnafseri
C'è Soleto, negramanti, se lo vuoi sapere
(da Morosi, Studi sui dialetti greci di Terra d'Otranto, Lecce, 1870, p. 68)
* A Sulitu su' stuscia-cessi
A Soleto svuota-cessi
(filastrocca salentina)
* Gente te Sulitu, nè pe' parente, nè per amicu
Gente di Soleto, nè pèr parente, nè per amico
(detto popolare)
Inviato da: sexydamilleeunanotte
il 26/08/2016 alle 12:18
Inviato da: MANUGIA95
il 24/12/2008 alle 22:57
Inviato da: MANUGIA95
il 08/12/2008 alle 10:46
Inviato da: magiasoletana
il 14/03/2008 alle 13:23
Inviato da: MANUGIA95
il 13/03/2008 alle 19:54