i ricordi del cuore

PAVEL NEDVED la mia vita Normale ........eppure eccezionale " GLMDJ"


        GLI ARTICOLI DI GLMDJ 
Attualità di G. FIORITO del 21/01/2011 21.03.22 ...Eppure eccezionaleVi è mai capitato di guardarvi negli occhi? Non allo specchio, intendo. Riuscire a guardarvi negli occhi, come se non appartenessero a voi. E' il 31 maggio 2009. A Torino si gioca una Juventus Lazio apparentemente senza storia. Invece è l'ultima partita di Nedved. Da giocatore. Pavel alza lo sguardo e vede i suoi occhi proiettati su tutti i tabelloni dello stadio. Gioca con entusiasmo, di più, con leggerezza, con euforia, perché tutti i momenti più belli e significativi della sua vita e della sua carriera li ha vissuti così. Con una semplicità che ha dello straordinario.A partire dai primi calci tirati a Skalnà, il piccolo villaggio che gli ha dato i natali nei pressi di Cheb, nella ex Cecoslovacchia. Pavel rivede se stesso come un bambino felice e vivace. Libero, nonostante le restrizioni del regime. Al suo fianco il padre e il nonno. Due rocce. Intorno la campagna e tutto un mondo in trasformazione. Che quel ragazzino biondo abbia qualcosa di più è una cosa che salta subito agli occhi e Pavel comincia il suo cammino, attraverso tappe che lo porteranno sempre più lontano da casa, a trovare altre case. In luoghi diversi e tempi diversi. Con persone diverse. Eccetto Ivana, la ragazza di Cheb conosciuta a Skalnà che gli resterà vicina per sempre.Subito via, a 14 anni. TJ Skoda Plzen, la prima squadra vera, i primi allenatori veri, Josef Zaloudek e Jiri Lopata. Luoghi e persone che lasceranno un segno profondo nella sua vita. Quando ho iniziato a leggere questo libro, credevo di trovarci dentro semplicità e schiettezza. L'immagine che avevo di Pavel Nedved era quella di un ragazzo semplice. Da quello che avevo letto di lui conoscevo un poco la sua biografia e sapevo della sua dedizione totale al calcio. Agli allenamenti soprattutto. Ai quali da sempre e anche adesso, come confessa nel libro, si sottopone con ritmi serrati e che non abbandona nemmeno nei periodi di vacanza. Eppure la semplicità e la schiettezza che ho trovato in queste pagine mi hanno sorpreso lo stesso. Perché non così trasparenti da isolarlo dal mondo, da mettere a tacere i rumori della storia. Pavel si descrive come un uomo timido e riservato. Dedito al lavoro e alla famiglia. Ma i suoi occhi si sono posati dovunque ha compiuto le sue esperienze di uomo e di calciatore, in una crescita costante che nelle ultime pagine del libro gli fa dire senza presunzione che ciò che oggi ha da dare è il frutto della sua esperienza. Tra le pagine fitte di ricordi e avvenimenti avvertiamo un respiro vivace, curioso di vivere e interpretare la realtà che intorno a lui va mutando. Qualità che a dire il vero oggi la critica rimprovera persino a molti sceneggiatori italiani, fermi in una fissità emozionale che relega il contesto storico nell'ambientazione e nei costumi. Pavel vive il cambiamento che porterà la sua nazione alla Rivoluzione di Velluto, il passaggio a una fase democratica, in prima persona. Sa dei fatti di Praga. Vede scindersi il suo paese in una divisione che considera malinconicamente tra cechi e slovacchi. Consapevole delle opportunità che accendono un futuro nuovo e diverso per lui e per il suo paese. In un equilibrio perfetto tra la stasi apparente degli affetti familiari e della campagna e il coraggio di affrontare tutte le possibilità di un divenire che lo porterà lontano. Credo sia questa la sintesi affascinante e il segreto di Pavel. Alimentare il coraggio con la determinazione e la voglia di lavorare e mettersi in gioco con una costanza meticolosa. Perché il talento non basta.Chiamato a Praga per il servizio di leva, Nedved entra nel Dukla Praga, non prima di aver militato nella formazione giovanile di serie C del Tabor, dove venivano spediti i giovani per fare esperienza. Ricompaiono le dure trasferte nel freddo, ma ben presto l'allenatore Jelinek lo chiama in prima squadra e Zdenek Lehoda lo dirotta allo Sparta Praga. Ogni volta una sfida. Contro il parere del padre che lo avrebbe voluto ancora un anno in una formazione minore per crescere anche fisicamente, Nedved decide di provarci. Ma mentre l'euforia della città e le sue distrazioni rendono difficile l'inserimento di molti coetanei, Pavel preferisce i ritmi bassi, come ci racconta, il silenzio della natura e iniziare una vita insieme con Ivana, la compagna di sempre. Alla quale riserva queste parole: a Praga è diventata una donna molto prima che io diventassi un uomo. L'esperienza dello Sparta Praga sarà il trampolino di lancio vero e proprio per Pavel. Giocherà con Jiri Nemec, Josef Chovanec, Mikal Bilek, vincerà lo scudetto e approderà alla nazionale, come afferma orgogliosamente, senza la trafila delle giovanili. Una nazionale particolare, la neonata ceca.Con la nazionale Nedved disputa gli europei d'Inghilterra del 1996. E' un’esperienza felice. Vissuta in stato di grazia. Uno di quei momenti della vita nei quali tutto collabora a realizzare i sogni. Questo mi ha colpito di questo libro. Che la vita di Nedved sia stata condotta sui binari della semplicità, del raziocinio, dell'impegno, del sacrificio e che a un certo punto ogni cosa abbia assunto i contorni sfumati del sogno che diventa realtà.Raccontando gli europei dalla parte della sua nazionale, Nedved confessa che a ogni partita i magazzinieri facevano le valigie e preparavano tutto per il ritorno in patria, per scaramanzia. Sconfitta l'Italia per 2 a 1 (con una rete di Pavel), i cechi perdono per 2 a 0 con la Germania. Nedved salta la partita dei quarti, vinta per 1 a 0 con il Portogallo di Figo, a causa di quella che definisce senza mezzi termini la sua maledizione: la somma di ammonizioni che determina un turno di squalifica. Ma ricorda il pallonetto di Poborsky, l'azzardo, il momento magico e irrazionale, segno proprio di quello stato di grazia che viveva insieme ai suoi compagni durante quei giorni, nei quali il tempo sembra svincolarsi dalla logica, gli istanti possono dilatarsi nell'eternità e i minuti ridursi all'attimo di un sospiro. Difficile invece il ricordo dell'infortunio causato a Figo, nel novembre 2007, che qualcuno definì addirittura volontario.In semifinale la nazionale di Nedved elimina ai calci di rigore la Francia di Zidane, con il quale, pur incrociandosi spesso le vite e i talenti, non giocherà mai. L'ultimo atto rivede i cechi contro la Germania, protagonista dell'eliminazione sofferta degli inglesi, i rivali storici, i quali avevano coniato uno slogan suggestivo per l'europeo casalingo: Footbal si coming home. La finale andrà ai tedeschi, grazie a Bierhoff, giocatore capace di entrare a partita iniziata e ribaltare il risultato, fino a segnare nei primi minuti dei supplementari il golden gol.Stupisce la vena poetica di Pavel, che rievoca i versi dell'inno della sua terra e il suo sottile senso dell'ironia, quando per chiarirci le idee su quello che pensa dei rapporti dei calciatori con il sesso, ci spiega che da quell'europeo si portò via non solo la medaglia d'argento, ma sua figlia Ivana, della quale la moglie era rimasta incinta. Un'altro avvenimento importante è figlio di quegli europei. La Lazio vuole Nedved, che si trasferisce a Roma, grazie a Zeman e a Cragnotti.L'esperienza romana è rimasta nel cuore di Pavel e confesso che come juventina provo un certo disagio, ma fa parte della sua vita ed è giusto così. La mia è una storia di calcio e amore per le maglie che ho indossato. Forse per questo a pagina 83 ci racconta un bell'episodio vissuto con Andrea Agnelli e alcuni tifosi juventini che li avevano inseguiti sull'autostrada fino a un autogrill per poterli incontrare. Con la Lazio Pavel vince una Coppa delle Coppe, segnando uno dei suoi gol più belli, una Supercoppa Europea, una Coppa Italia e uno Scudetto. Quello che non mi piace ricordare, quello perso dalla Juventus nell'acquitrino di Perugia. Vedendo alternarsi sulla panchina Zeman, Zoff e Eriksson. Del primo descrive la cura maniacale della preparazione atletica e dei dettagli. Di Zoff parla come di un uomo di campo, concreto e intelligente. Di Eriksson sottolinea la profonda calma con la quale sa gestire lo spogliatoio. Intanto nasce il coro”Nedved cuore d’acciaio” e anche il figlio Pavelino. Anche il derby romano merita le attenzioni di Pavel, che ne ricorda il calore particolare, mentre ha parole dure contro chi si rende autore di violenze gratuite e insensate. Toccante il ricordo di Giovanni Polo II, che riuscì a incontrare. Della Coppa Uefa persa con l’Inter, suggestivo il ricordo di Ronaldo e del vento mosso dalla sua corsa potente.Tuttavia all’orizzonte si annuncia l’ultima tappa della vita agonistica di Pavel: la Juventus. Ammetto di aver letto l’autobiografia di Pavel d’un fiato, ma non per lo stile essenziale che volta le pagine, soprattutto perché ero ansiosa di leggervi la natura di un rapporto che per noi tifosi bianconeri è sempre stato speciale. Pavel esce dal libro come abbiamo imparato a conoscerlo. Caparbio, grintoso, un personaggio che ha fatto della disciplina e dell’umiltà le sue armi per conquistarci dentro e fuori dal campo. Ma la nostra storia è speciale non meno di Pavel. Ancora di più nel segmento del quale Nedved è stato uno dei più illustri protagonisti.Inizia a parlare della Juve in un capitolo dal titolo “Sassolini”, partendo dal doping, che è proprio tutto il contrario di quello che la sua vita d’atleta ha rappresentato per lo sport. Il riferimento è facile da cogliere, alle accuse che a quella Juve vennero mosse anche nei tribunali. Pavel arriva a Torino desideroso di inserirsi nella squadra che può portarlo al vertice della carriera di un calciatore. La moglie all’inizio è scettica e stenta ad ambientarsi, ma si vedono venire incontro l’amicizia di una persona veramente straordinaria. Presa casa nel Parco della Mandria, si ritrovano in cucina, entrato dall’ingresso secondario, nientemeno che Umberto Agnelli, che insieme alla moglie Allegra e al figlio Andrea saranno sempre presenti nella vita dei Nedved. Specialmente adesso, che per la prima volta Pavel subisce i segni di una crisi di gioco, di un appannamento che lo fa assomigliare a un fantomatico fratello meno bravo. Lippi però riesce a risolvere tutto, con una nuova sfida che Pavel accetterà, con tutti i rischi. Il cambio di ruolo, da esterno sinistro a vertice superiore di un rombo che ha alle spalle Davids e Conte e al vertice basso Tacchinardi. Il confronto con Zidane, in un avvicinamento pericoloso al suo gioco. Che esalta le caratteristiche di velocità di Nedved, la sua capacità di superare l’avversario, le possibilità di tiro in porta. Ben sapendo che gli esigentissimi tifosi bianconeri pretendono qualcosa di più: capacità di leadership e classe. Carisma, forse. Come era stato per Zidane e per tutti i grandi giocatori che hanno vestito la maglia della Juventus. Merito di Lippi, definito un duro che sa quello che vuole, poco diplomatico anche con la stampa, per difendere la squadra e tracciare i confini. Tutto quello che dice Pavel nelle ultime pagine di questo libro fa vibrare d’emozione. Fa rivivere momenti esaltanti e di sconforto che saranno per sempre suoi e anche nostri. Ma fa anche molto pensare alle condizioni attuali della Juventus. Nella quale non c’è più quel clima di serena calma, di sicurezza composta che ti faceva sentire al sicuro. La Juventus era insieme una famiglia, un’azienda e una squadra. I calciatori rappresentavano una sintesi perfetta di forza e classe. Un armonia difficile da realizzare un’altra volta. Arriva lo scudetto del 5 maggio 2002 ed è bello leggerlo raccontato da Pavel, questa volta. Ancora più bello il racconto della Champions League del 2006, della quale la finale persa rappresenta l’incubo di Pavel. Quella finale negata a causa di un’altra somma di cartellini gialli. E però dentro quei giorni ci sono tante partite vissute con il cuore in gola. Il Manchester, il Barcellona, il Real Madrid. Lo scontro più bello della Juve di tutti i tempi, probabilmente. Milionari contro operai. Ma, ci dice Pavel, quella Juve era operaia per scelta, non perché non avesse nei ranghi campioni assoluti dalla classe cristallina.A parziale ricompensa c’è per Nedved il Pallone d’Oro, che ancora oggi scambierebbe volentieri con la vittoria finale.Arriva Capello. Uno che chiede tutto perché capace di dare tutto. Eravamo forti e sapevamo di esserlo. Parlo delle due stagioni di Capello come se fossero una sola perché fatico a trattenere la mia amarezza per quello che è successo e la rabbia per quello che a mio giudizio ci è stato tolto. Pavel è molto chiaro riguardo alla fretta con la quale sono andate le cose in quella estate del 2006, mentre tanti bianconeri si rendevano autori di una vittoria mondiale. Come lo è anche nel tracciare le motivazioni di chi ha accompagnato la Juventus nel momento più buio della sua storia e di chi invece ha messo al primo posto le esigenze della carriera. Dovevo rimettere le cose al loro posto, dovevo riportare la Juventus dove è giusto che stesse. In seria A, a giocarsi scudetti e trofei. Poi due stagioni di assestamento e una lenta regressione.Rieccoci al 31 maggio 2009. Avrebbe potuto giocare un altro anno almeno. Ha un bel dire Pavel che ha voluto smettere perché ha capito di non poter dare più tutto come era sempre stato. Mourinho gli promette la Champions. Con l’Inter. Pavel dice di no. … c’era un ottimo motivo per rinunciare… Il rispetto. Amo troppo la Juventus e i suoi tifosi e non sarebbe stato bello andare a giocare nella squadra antagonista per eccellenza, in quella che della nostra rovina sportiva aveva fatto la sua fortuna. Non è un discorso da tifoso, è un ideale sportivo vero, come credo di essere… Loro(l’inter) hanno vinto la champions… io mi sono tenuto la dignità e l’amore degli juventini. Oggi Pavel è nel cda della Juventus, dove lo ha voluto Andrea. Credo che sia il posto migliore per lui, ma soprattutto per la Juventus e per gli juventini.