MAIDEN

Defiance


Ci sono film che, assolvendo ad uno di tanti compiti ai quali anche il cinema è chiamato, hanno il merito di raccontare e divulgare momenti della storia poco conosciuti, che forse sembrano lontani e di poco attualità, mentre la storia e la cronaca ci insegnano che certi argomenti non sono mai del tutto superati e che la storia continua a ripetersi. Defiance racconta fatti storici poco pubblicizzati. Sopravvivere per vendetta; questo era lo scopo proclamato da Tuvia Bielski, uno dei tre fratelli ebrei polacchi che nel 1941 si rifugiarono nei boschi al confine tra Polonia e Unione Sovietica per sfuggire allo sterminio nazista. L'organizzazione dei campi di concentramento non era ancora a pieno regime e i tedeschi, nella loro avanzata verso est, ammazzavano gli ebrei direttamente sul posto, con la collaborazione degli abitanti del luogo (nell'attuale Bielorussia gli enormi cimiteri nei campi sono tutt'ora luogo di pellegrinaggio). Sopravvissuti ad un incursione di questo tipo, i tre fratelli pensavano di darsi alla macchia in attesa di tempi migliori, ma poco alla volta intorno a loro si coagularono centinaia di altri fuggiaschi, Mentre Tuvia (un misurato Daniel Craig) decide di assumere l'impegnativo ruolo di “sindaco” della comunità, il più bellicoso fratello Zus (Liev Schreiber) sceglie di unirsi ai partigiani russi, fra i quali comunque l'antisemitismo era fortemente presente. In due anni la comunità arrivò a contare 1200 persone. Furono più volte stanati e bombardati, fuggirono, ma ogni volta ricrearono un simulacro di paese, con ricoveri, mensa e servizi in comune, morirono di malattie non curate e di freddo, ma da uomini liberi non rinchiusi come animali in attesa del macello. Sui titoli di coda apprenderemo qual'è stato poi il futuro che ha atteso questi personaggi. Edward Zwick (“Blood diamone” e “L'ultimo samurai”), appassionato di eroi alle prese con storie avventurose e con rovelli morali, dirige con convinzione una storia romanzata, tratta dal libro di Nechama Tec, “Gli ebrei che sfidarono Hitler”, che risente di alcuni stereotipi nella caratterizzazione di certi personaggi e nella soluzione volutamente spettacolare, un po' “all'americana”, di alcune sequenze. Il film, come dicevamo, ha il pregio di divulgare una storia vera finora sconosciuta ed inoltre, al di là della beatificazione dei perseguitati, cerca di illustrare il microcosmo formatosi non come un idilliaco paradiso di solidarietà, ma come un luogo dove si riproducono inevitabilmente contrasti, invidie, rivalità e tutte le solite deviazioni che ha l'animo umano quando un certo numero di individui si aggrega, compreso il problema della “solitudine” del Capo, figura da tutti invocata per potervi fare riferimento, per poterla però subito dopo contestare e minare. Tuvia Bielski si troverà in questo ruolo, senza averne la statura o la preparazione, chiamato ad essere una specie di Mosè incapace però di far aprire le acque per sottrarre i suoi discepoli all'ira degli inseguitori.Fabio M.Pelella