MANDRIA ROSSA

Post N° 39


9 Ottobre 1963    -  STORIA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATAChi si ricorderebbe della tragedia del Vajont senza l’orazione civile di Marco Paolini?Quel giorno del ‘97 il teatro è entrato nelle case di milioni di italiani direttamente dal muro della diga, portando tutta la sua carica di impegno sociale e ricerca della verità. Ma cosa è successo quel nove ottobre? È successo quello che tutti temevano ma che nessuno tra le persone che “contano” voleva ammettere: dal monte Toc si è staccata una frana di proporzioni enormi, è caduta nel lago artificiale creato dalla diga lungo il torrente Vajont , questo ha generato un’onda alta decine di metri che ha scavalcato la diga( la diga ha resistito) e l’acqua ha spazzato via i paesi di Longarone Erto e Casso. In totale oltre duemila morti.Per una descrizione più approfondita dei fatti e dei misfatti consiglio vivamente di vedere l’opera di Paolini.Ma la cosa più importante di questa storia è che non è stata una tragedia naturale come purtroppo ne succedono tante (vedi tsunami) e che non si possono prevedere. È stata una tragedia annunciata da più parti, la giornalista Tina Merlin ad esempio, che ha seguito il caso da ben prima della frana non a caso ha intitolato un suo articolo “Vajont, storia di una tragedia annunciata”. È stata una tragedia figlia della speculazione e del solito gioco di interessi di pochi che si sconta sulla pelle dei più.Fin dall’inizio era chiara la delicata situazione geologica del monte Toc (che tra l’altro in dialetto locale vuol dire pezzo marcio...) ed era chiaro che la costruzione del lago artificiale ne avrebbe alterato inevitabilmente l’equilibrio. Nonostante le perizie e i segnali inequivocabili (terremoti nella valle e alberi che si piegano) nessuno ha fermato i lavori di costruzione della diga negando perfino ciò che ormai era evidente in nome del progresso a tutti i costi.Dopo la tragedia le autorità hanno cercato di cancellare ciò che il fango aveva risparmiato, hanno preso i sopravvissuti e con la scusa di aiutarli li hanno trasferiti in vari paesi di pianura rischiando di cancellare per sempre usi e tradizioni di quella gente di montagna. Ed è solo per la cocciutaggine di un gruppo di montanari che sono tornati ad ogni costo nelle loro case  che oggi quelle valli non sono disabitate. Per dare l’idea dell’enormità della tragedia per la popolazione locale basti pensare che in quelle zone il tempo si è diviso in prima o dopo la frana, proprio come noi misuriamo il nostro tempo in prima o dopo Cristo. Per maggiori informazioni sulle condizioni di vita degli abitanti della zona vi consiglio i libri dell’alpinista-scultore Mauro Corona.Questa brutta storia italiana mi fa riflettere su molte cose e credo valga la pena soffermarsi almeno su un paio di queste:-il rapporto tra ambiente, uomo e istituzioni-il ruolo dei media e dell’informazione nel creare una memoria collettiva nazionale.Sul primo punto ritengo che sia un obbligo delle istituzioni la salvaguardia dell’ambiente, non solo come ecosistema e biodiversità, ma nella sua accezione più semplice di habitat della specie umana, ovvero le istituzioni dovrebbero impegnarsi nel difendere la vita di ogni cittadino da inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche ecc. Perché se il singolo può essere abbagliato dai facili guadagni delle più sfacciate speculazioni, l’autorità deve essere inflessibile nel combattere l’abusivismo, nel non concedere autorizzazioni-farsa e nell’essere rigorosa nei controlli per non diventare complice di altre tragedie annunciate (vedi Sarno o San Giuliano di Puglia).Questo va al di là di ideali più o meno ambientalisti, ricordatevelo bene, si sta parlando di sopravvivenza. Il secondo punto è più complesso, anzitutto un po’ di storia, dopo il diastro e la conseguente ondata(mai termine fu più appropriato..) emotiva, vi è stata una tendenza a coprire il tutto per evitare di dover dare troppe spiegazioni e ammettere di aver sbagliato a più livelli. La tragedia è quindi rimasta qualche cosa di intimo e privato per le persone colpite e quelle in qualche modo coinvolte, parlane era quasi un tabù.Poi grazie alla curiosità e alla voglia di scoprire fino in fondo la verità(consiglio anche il suo lavoro su Ustica) Marco Paolini ha riportato in vita dei morti dimenticati. Ha scatenato un’ondata di commozione e di indignazione a distanza di quarant’anni, ciò che ormai era diventato un solo fatto privato è tornato prepotentemente a far parte della storia d’Italia. Questo dimostra come il controllo delle informazioni possa non solo influenzare quello che saremo ma addirittura ciò che siamo stati, controllare e manipolare la memoria collettiva di una nazione significa minarne uno dei suoi elementi costitutivi.