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IL DIO NILO
"O CUORP e NAPULE"
(Tag.Leggenda - post N°68)
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CARMELA - SERGIO BRUNI
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L'Evangelista Luca, secondo la tradizione, era un pittore e la leggenda racconta che le due immagini, quella della Madonna del Carmine,giunta a Napoli proveniente dal monte Carmelo in Palestina e condotta dai monaci Carmelitani, e quella della Madonna di Piedigrotta, ritrovata in epoca antica nello stesso sito dell'attuale chiesa di Piedigrotta, furono effigiate dall'Evangelista Luca. Tale espressione, la si diceva quando, una donna era tanto bella che sembrava dipinta da S.Luca. |
Secondo una leggenda, la pianta di pino nascose il figlio della Madonna sottraendoLo alla strage degli innocenti, e per ringraziamento fece sì che l'interno dei pinoli avessero la forma della mano di Cristo. Questo privilegio non fu concesso alla pianta dei lupini che aveva negato l'aiuto. Per cui Cristo non si può trovare fra i lupini .Questa espressione è quindi rivolta a coloro che sono eccessivamente pignoli e che cercano le cose impossibili. |
Storicamente bisogna risalire ai primi del 900, l'epoca dell'emigrazione. Partivano i bastimenti di emigranti per cercare fortuna (molti criticano l'accoglienza agli extracomunitari, ignorando che proprio noi Italiani siamo stati i pionieri di questa triste realtà). Il misero pasto era la zuppa di fave, cibo facilmente digeribile, non soggetto ad avariarsi. Queste,durante il lungo viaggio,avendo bisogno di molta cottura, veniva utilizzato il vapore delle caldaie alimentate dal fuoco del carbone. Così la zuppa di fave si cuoceva con la stessa fonte energetica che faceva camminare la nave. Quindi questa espressione è rivolta a coloro che riescono ad ottenere grossi risultati con poca fatica o con l'altrui fatica. |
Alla fine del XIV° secolo, napoli subì il dominio dei francesi regnando Ladislao di Durazzo il quale sposò in prime nozze la ricca Costanza di Chiaromonte. Dopo pochi anni il Re ottenne l'annullamento del matrimonio dal Papa perchè si diceva che la suocera dava scandalo dopo essere rimasta vedova. Dopo 10 anni Ladislao sposa in seconde nozze Maria di Brenna sorella del Re di Cipro. Maria fu una donna molto sfortunata che morì in circostanze misteriose, forse avvelenata con la complicità di Giovanna II sorella del Re Ladislao e futura regina di Napoli, o forse per un autoavvelenamento perché beveva delle misture per combattere la sterilità. Fu ridotta in miseria dalla stessa Giovanna II. Accadeva quindi che nei confronti di una persona molto sfortunata si dicesse:"Tiene a ciorta e Maria Vrenna" |
Via Forcella è il prolungamento di S.Biagio dei Librai e quindi la zona orientale dell'antico decumano inferiore che termina con la Porta Nolana. All'altezza presumibilmente del largo di Pietro Colletta nei pressi del teatro Trianon,all'epoca della rivoluzione di Masaniello, ci furono diverse decapitazioni che secondo l'uso dell'epoca avvenivano con una mannaia ed un ceppo. Con l'espressione "S'arricorda o cippoa furcella" si indica un avvenimento di un'epoca remota. |
Nella chiesa di "S.Maria del Parto",sita in uno sperone roccioso che domina il porticciolo di Mergellina, oltre alla stupenda tomba di Iacopo Sannazzaro, nella prima cappella è affisso un quadro cinquecentesco di Leonardo da Pistoia. Esso rappresenta l'Arcangelo S. Michele che trafigge con una lancia un drago.Il volto del drago raffigura quello di una bellissima fanciulla della famiglia dei D'Avalos, il volto dell'Arcangelo, quello del vescovo di Ariano Diomede Carafa, entrambi vissuti nel XVI° secolo. La storia narra che la fanciulla, follemente innamorata del vescovo, insidiava la sua pace interiore. Il vescovo superò la tentazione per cui l'opera pittorica vuole rappresentare la vittoria della chiesa sui valori terreni. Questa storia alimentava la fantasia del napoletano che attribuiva ad una fanciulla di facili costumi l'espressione "O riavul e Margellin" |
Eligio era invocato dal popolo per la guarigione dei cavalli, era infatti il protettore dei maniscalchi. I cavalli malati venivano portati davanti alla chiesa di S.Eligio per la benedizione ed una probabile guarigione. Se il cavallo guariva, i ferri del cavallo guarito, venivano affissi al portale come oggetto votivo. Per analogia e nel ricordo di questa usanza, quando una persona era di salute cagionevole, era frequente l'espressione "Ai purtà e fierr a S.Aloia" (Aloia era la forma dialettale di Eligio). |
L'attuale area di S.Aniello a Capo di Napoli presso l'ospedale degli Incurabili, in origine era la parte alta della città grco-romana (acropoli), sulla quale sorse un tempio dedicato alla sirena Partenope. In epoca medioevale vi era una chiesetta dedicata alla Vergine Maria, nella quale una donna La invocava affinché intercedesse per la nascita di un proprio figlio. La grazia fu concessa, e nacque colui che divenne S.Agnello considerato sempre il Santo difensore della città dalle aggressioni nemiche. Il Santo, alla sua morte apparve sull'alto della chiesa sopra un iride a sette archi e la chiesa si disse di "S.Maria dei sette cieli" fino al XVII° Secolo, quando fu costruita nello stesso luogo la chiesa di S.Agnello Maggiore. Poiché la località era ritenuta da molti eccellente perché si assaporava una pace mistica e si respirava un'aria salubre, era ambita dai Napoletani che volevano affermare con il detto "Coppole p'e cappielle 'e case a S.Aniello: cioè, di accettare volentieri un disagio economico pur di vivere in questo luogo speciale e benedetto. |
In un palazzo prospiciente la Riviera di Chiaia ed all'interno della ricca dimora di un noto cantante, vi era un altare che custodiva la Reliquia di S. Giuseppe, consistente in una piccolissima parte del proprio bastone. Questa Reliquia veniva esposta alla devozione dei fedeli nella ricorrenza del Santo il giorno 19 marzo di ogni anno. Il noto cantante, per evitare che alcuni fedeli colti da delirio religioso, tentassero di sottrarre qualche scheggia della Reliquia, ne affidava la custodia ad una persona di sua fiducia, che controllava i devoti, citando ripetutamente il detto:"Nun sfruculià a mazzarella e S. Giuseppe". |
La leggenda fa riferimentoalla chiesa di S. Maria delle Catene. Tre infelici, condannati alla forca, forse innocenti, furono tradotti al patibolo quando una tempesta impedì fino alla sera l'esecuzione della condanna che fu rinviata al giorno dopo. I condannati, incatenati, furono custoditi nella chiesa di S. Maria del Parto (presso Mergellina). Essi pregavano la Santa Vergine e per miracolo, le catene si spezzarono e si aprirono le porte della chiesa, consentendo ai condannati di fuggire e mettersi in salvo.Segui, a questo avvenimento prodigioso, un ringraziamento alla Madonna, così fu edificata una nuova chiesa denominata, aricordo dell'avvenimento, "S.Maria delle Catene" che è prospiciente alla via Santa Lucia. Tutti i commenti sono di MARIO TOTO e le Foto di SALVATORE e FABIO (Fab.99) COSTIGLIOLA |
Abbiamo piu volte evidenziato il particolare modus vivendi dei luciani i quali per secoli furono legati a certe tradizioni. Particolarmente strani erano i riti nuziali. Se ad esempio un fidanzamento andava a monte creando la rissa tra le famiglie, scattava un cerimoniale che per fatalismo o superstizione serviva a scacciare la disgrazia. Bisognava assolvere a tre regole che se si risolvevano a buon fine , la serenità ritornava tra le famiglie. Esse consistevano nel bagnare le vesti di un prete di provincia, far ruzzolare lungo i gradini del vicolo un ragazzino, colpire alla testa un vecchietto. Se le regole venivano rispettate, dopo le scuse al prete, un ristoro economico al ragazzino e le cure al vecchietto, la pace tra le famiglie era assicurata. Cosi la coppia poteva ritenersi libera da ogni vincolo e ciascuno poteva ricercare un nuovo partner. Un'altra usanza vigeva nel pallonetto; Quando una donna moriva i parenti donavano alla chiesa di S.Maria delle Catene il suo corredo. Durante il periodo borbonico, si svolgeva la festa della "Nzegna", una tradizionale manifestazione folcloristica. Dalla chiesa di S.Maria Delle Catene, il 10 agosto di ogni anno partiva un corteo di luciani in costume raffiguranti il RE, la Regina e la corte reale al completo. Assiepati lungo i marciapiedi, i napoletani applaudivano inneggiando ai finti sovrani. I componenti del singolare corteo solevano spingere in mare i passanti che apparivano piu timidi. Se il malcapitato si dibatteva tra le onde, i luciani lo soccorrevano, e nel contempo raggiungevano lo scopo dell'insegnamento al nuoto, da cui il termine"Nzegna". Il rispetto di un'altra interessante tradizione avveniva in occasione della festività di S. Antonio Abate. Il 17 gennaio di ogni anno, la festività di S. Antonio rappresentava l'inizio del periodo carnevalesco che secondo il calendario liturgico cessa il Mercoledi delle Ceneri. Era consuetudine dal dell'Epifania e per l'intero periodo carnevalesco, estrarre dalla cappella del tesoro del Duomo, il busto del Santo e portarlo in processione nelle ore diurne e custodirlo la sera nelle varie chiese rionali fino al 17 di S. Antonio con vari festeggiamenti. La sera del 17 gennaio, ancora oggi, in alcuni quartieri popolari, si perpetua la tradizione con feste e fuochi. |
Ubicato nella circoscrizione di S. Lorenzo dalla piazza S. Anna a Capuana, alla piazza Carlo III. Il Borgo S. Antonio è cosi denominato per l'omonima chiesa di S. Antonio Abate. Anticamente i monaci antoniani, curavano con il lardo porcino, un'affezione virale di origine cutanea che procurava forti bruciori. I questuanti donavano ai fedeli del lardo avvolto nelle figurine del Santo per una guarigione miracolosa. Poiché la guarigione spesso non avveniva, nacque il detto "restare col lardo dint'a figurella" vale a dire non attendere allo scopo. |
Ubicato nel quartiere Mercato in prossimità della stazione ferroviaria della Vesuviana, assume tale denominazione per la chiesa di S.Maria di Loreto. Questa area fu scelta per la collocazione del Reale Albergo dei Poveri, e solo per grosse difficoltà legate alla bonifica del suolo, il grande edificio fu realizzato nel Borgo di S.Antonio Abate. |
La grande arteria che realizò il viceré spagnolo don Pedro de Toledo, confinava a Nord con i nuovi edifici nobiliari ed i vecchi edifici a ridosso del promontorio del monte Echia, nonchè con le rampe del pallonetto e le due chiese di Santa Lucia e Santa Maria delle Catene, mentre a Sud con la spiaggia degradante a mare. Essa era priva di bettole e negozi commerciali, tuttavia i tanti venditori ambulanti di (mitili e pesce fresco,di taralli ed acqua sulfurea) e i tanti artigiani di vari mestieri,con il loro stridente vociare, distribuiti disordinatamente tra giardini e fontane, unitamente al profumo del mare ed all'incantevole scenario offerto dal golfo di Napoli, è stata sempre una grande attrazione per il turista.Quel turista che ha sempre guardato con simpatia il cittadino del borgo di Santa Lucia il quale non a caso per il suo originale comportamento che si distingue in parte dal comportamento dello stesso napoletano, viene denominato "Luciano". I luciani infatti sempre coerenti per circa 3000 anni non hanno mai modificato il proprio modus vivendi. Nel IX secolo A.C. i greci di Rodi trovarono nell'area del borgo (sull'isolotto di Megaride e nelle grotte della Platamonia, un popolo semplice che viveva di pesca, e la pesca nel borgo, dopo 3000 anni è ancora imperante. I luciani tradizionalmente legati al loro territorio,quando la città subi il flagello dell'epidemia colerica, si videro costretti ad abbandonare le proprie abitazioni perchè demolite per motivi di salute pubblica. In alternativa furono edificate sei palazzine al borgo marinaro per offrire loro una decente collocazione. Ma per una"consolidata consuetudine", le nuove abitazioni furono occupate dai più abbienti, ed i luciani preferirono insediarsi nelle già superaffollate abitazioni del pallonetto accusando il notevole disagio pur di non abbandonare il loro quartiere e le loro tradizioni. I luciani erano molto legati ai borboni ed in modo particolare a Ferdinando IV il quale oltre alla caccia amava anche la pesca e spesso si recava tra le genti di Santa Lucia per esternare la propria simpatia, che era contraccambiata con dimostrazioni di fedeltà alla corona. Coerenza e fedeltà ai borboni durata fino all'estinzione del regno, tanto che nel 1860 con l'approssimarsi dell'arrivo di Giuseppe Garibaldi , il ministro degli interni, Liborio Romano escluse dalla guardia cittadina i luciani ritenuti fedeli alla dinastia borbonica. Ricerche e commento di MARIO TOTO. |
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La RIVIERA di CHIAIA |
Particolare Storico - All'esterno della cinta muraria della città, esistevano isolate abitazioni denominate "Casali"e grossi insediamenti in villaggi denominati "Borghi". I borghi erano ricchi di zone rurali e fornivano prodotti agricoli alla città pur non mancando all'interno dell'area urbana ed in alcune private abitazioni, l'autonomo sostentamento,con l'utilizzo dei prodotti agricoli per la presenza di orti e giardini. Nonostante il divieto dei regnanti di edificare al di fuori della cinta muraria, l'eccessivo incremento demografico, dette origine a numerosi borghi: Chiaia, Loreto, S.Antinio, Santa Lucia e Vergini. Il BORGO di CHIAIA Comprendeva un canalone (attuale via Chiaia) che raccoglieva e convogliava le acque meteore provenienti dalla collina, ed un'area sabbiosa degradante a mare compresa dall'attuale piazza Vittoria fino a Piedigrotta. In |
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NAPOLI 'E MILLE CULURE
Inviato da: myway17
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