Nel tempo della dittatura dell'informazione, dove il peso specifico di ogni evento viene misurato in base al suo appeal mediatico, il mito non si sottrae alla stessa logica. Un mito è tanto più grande quanto più spazio occupa sulle prime pagine, cartacee, televisive e virtuali. Due anni fa, nel decimo anniversario della morte di Kurt Cobain, basterà dare un'occhiata in giro tra giornali, tv, librerie e internet per capire quanto la tragica parabola del musicista e della sua band, i Nirvana, abbia scavato un solco profondo nella "mitologia" della società contemporanea.Un coro vociante che si innalzerà da ogni angolo del mondo "globalizzato", anche il più remoto.
Un affollamento di immagini, testimonianze e celebrazioni a cui non si unirà lo spirito di Kurt, ovunque egli sia. A lui, della faccenda del mito, del portavoce generazionale, non importava nulla. L'altarino che gli fu costruito attorno quando era ancora in vita non fece altro che spingerlo sempre più lontano da tutto e da tutti. Lo dimostrano le cronache dei suoi ultimi giorni di vita e le strazianti pagine dei suoi diari, fitte di pensieri inimmaginabili per chi all'epoca guardava ai Nirvana con invidia e ammirazione. Pagine che ancora oggi riescono a smorzare il sorriso.
Ma, che lo spirito di Kurt lo voglia o no, i fatti, ovvero la sua musica ben più che la sua morte, giustificano l'uso del termine: mito. Più delle parole, sono le azioni e le opere dell'uomo a mantenerne viva la memoria quando di lui resta solo il ricordo. E a volte "basta" un riff, un giro di accordi indovinato, tra i milioni di tentativi in cui giornalmente musicisti noti e non si cimentano, a garantire l'immortalità.
Inviato da: nutellapunk
il 29/11/2006 alle 17:52
Inviato da: nutellapunk
il 08/11/2006 alle 16:57
Inviato da: Sinapsicida
il 29/05/2006 alle 19:12
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il 07/04/2006 alle 19:04
Inviato da: pierlivexmusic
il 07/04/2006 alle 18:36