L'anima più leggera

Post N° 2


    Oggi ti ho guardato a lungo mentre dormivi, non lo facevo più da un po’ ormai. Mi sembrava per un attimo di non averti mai osservato così attentamente, tutto mi sembrava così nuovo, così lontano dai miei ricordi. Eri così perfetto, contavo i tuoi respiri, i tuoi movimenti involontari. Ho passato le mie ore, lì, distesa accanto a te, senza che tu potessi minimamente accorgerti e senza il rischio che mi domandassi “ perché mi guardi in quel modo?”.  Era qualcosa di nostro, ma che apparteneva solo a me, che solo io potevo vivere e questo mi faceva star bene in qualche modo. Poi è suonata la sveglia, quella magia in un attimo si è nascosta dietro alle finestre e ti sei alzato, mi hai guardato e hai detto “ lo sai quanto ti amo?”, io ti rispondevo sempre “perché, mi ami?” e tu “ da non poterne più”. Quel ti amo, detto ogni mattina, sarebbe potuto sfociare nella monotonia, ma lo rendevi speciale, perché proprio in quel momento, al risveglio, come risultato di una lunga considerazione avessi realizzato che ero qualcosa di unico. Ho saputo che ti sei sposato, è successo così per caso, ho incontrato un tuo amico e me lo ha detto. A queste cose non si pensa molto, si dicono e basta, si deve dire qualcosa di nuovo ed è giusto sia così. Ho passato tutto il pomeriggio ad immaginarti mentre sceglievi il tuo abito, ho immaginato che ci avessi impiegato molto. Non ti accontentavi mai, in ogni cosa riuscivi abilmente a trovare un difetto, anche minimo, ma lo trovavi e alla fine io stremata ti dicevo che stavi bene, ma con quella dose di convinzione in più che ti spingeva a comprare. Se lo avessi saputo prima che stavi per compiere il grande passo, probabilmente avrei fatto come le scene di film , in cui lei corre da lui e gli dice di amarlo ancora. No, non avrei mai potuto, ormai mi avrai dimenticata, non posso essere certo così presuntuosa da pensare che tu possa amarmi ancora. Lo fanno e lo dicono tutti, dopo un po’ si dimentica. Io non ti ho mai dimenticato, mai. Anche se sono passati tutti questi anni. Giulia dice che ti amo ancora, e che ti ho sempre amato. Mi stupisce come lei sia così abile e serena nel dare consigli, proprio lei che non ha mai avuto uno stralcio di relazione. Io la lascio parlare, le lascio fare tranquillamente la sua parte. Lei si sente importante così e non voglio toglierle questo privilegio. O forse dovrei dirle che di tutte le cose che mi dice ne farei benissimo a meno, che preferirei innaffiare i miei fiori o attaccare quel quadro dietro la porta, ma ormai è tanto tempo che fa così, anche troppo, che non ho proprio il coraggio di farla smettere. Sì, lo so anch’io di averti sempre amato, sempre, e ogni giorno ancora più intensamente. Ma non lo avrei mai ammesso, non potevo darle soddisfazione. Aveva ragione, ma per caso, non certo perché avesse intuito qualcosa. Ormai però il mio tempo era finito, eh già, perché il tempo finisce prima o poi, come quando arriva il momento di sposarsi, il momento di mangiare, il momento di lavarsi i denti, così arriva pure il momento di farla finita. Io però fino a quel giorno, fino alle parole di Giulia non c’avevo mai pensato prima. Era qualcosa su cui avrei dovuto riflettere, ma non l’ho mai fatto. Però in pochi secondi, realizzai che ormai non potevo far più niente, ormai era stato deciso altro ed io non potevo far altro che fermarmi a guardare. Rimasi immobile per ore, distesa su quel vecchio divano, ferma, le parole di Giulia mi ronzavano ancora nella testa come un disco. Sì, ti eri sposato, avevi finalmente trovato qualcuna che potesse sostituirmi in qualche modo. Egoisticamente ho sempre pensato che solo io avrei saputo come renderti felice, perché solo io avevo imparato a conoscerti, come tu volevi, ma probabilmente anche qualcun altro lo aveva saputo fare e lo avevo fatto bene se avevi deciso quello che avevi deciso. Ho immaginato che tu fossi felice in quel momento, e pensarlo mi corrodeva l’anima, non ero speciale come pensavo di essere. Non ero più l’unica per te. Poi non so cos’altro ho pensato, sono salita in camera e ho aperto una vecchia scatola, proprio come si fa nei film, si arriva nella soffitta, si spolvera quella scatola con la mano e la si apre. Bè, io non ho avuto il coraggio di aprirla, l’ho presa, sono uscita e l’ho gettata nel secchio della spazzatura. Ormai non aveva più senso tenerla, mi dicevo. Ma perché? Fino ad allora aveva forse senso? Prima di quel momento era come se vedessi ancora qualche sfumatura, una qualche piccola possibilità; no, ormai era troppo tardi. Non c’era più nessuna sfumatura, tutto era così chiaro e delineato per la prima volta. Io non ho avuto il coraggio di sposarmi, l’ho lasciato ancora prima che si parlasse di matrimonio. Mi amava molto, mi faceva anche star bene, ma non è riuscito a farmi innamorare di lui. Non mi è mai piaciuto star sola, ho sempre avuto bisogno di qualcuno che mi stesse accanto. Sapevo ogni volta che non era la persona giusta per me. Lo sapevo e come, ma ero troppo fragile per vivere. Almeno questo è quello che mi raccontavo. Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Era una mattina di dicembre, la temperatura quel giorno aveva raggiunto meno quattro gradi, tu eri alla fermata dell’autobus che cercavi di muoverti avanti e indietro per trovare un po’ di tepore. All’inizio non ti avevo nemmeno visto, ero così intenta a coprirmi per non far passare neanche un filo di freddo. Salita sull’autobus, trovai posto accanto a te. Tu eri dalla parte del finestrino e guardavi fuori. Io guardavo te. Non mi importava di essere scoperta, la mia curiosità era troppo forte, troppo per poter pensare ai convenevoli. Credo tu ti fossi accorto di come ti osservavo. Così per rompere l’imbarazzo dissi “che freddo”, una frase scontata? Sì, era veramente la frase più banale che potessi dirti, ma si sa, quando non mi sento a mio agio utlizzo quelle tre o quattro frasi già pronte per l’uso che di intelligente dicono ben poco. Tu a quel punto hai sorriso, non so se per compiacermi o per farmi sentire ancora più idiota. Non ci siamo mai parlati, questa routine per oltre un anno, ci guardavamo, e probabilmente ci piacevamo, ma rimanevamo sempre fermi sullo stesso punto. Per me era bello anche così, non sapevo chi fossi, non sapevo il tuo nome, non sapevo cosa facessi nella tua vita, tutto quello che sapevo è che prendevi il mio stesso autobus. Potevo immaginare qualsiasi cosa.Qualsiasi nome che potesse appartenerti,  qualsiasi lavoro, qualsiasi città. Quando tutto è delineato, è tutto troppo semplice, troppo scontato mi dicevo, ma immaginare la tua vita è stato quello che ho fatto per oltre un anno. E quando giulia mi diceva di parlarti, di attaccare bottone insomma, io le ripetevo che non volevo altro e che quello che avevo mi bastava e mi rendeva serena in qualche modo. Lei non poteva capirmi, come avrebbe potuto, viveva nella sua pragmaticità, ad ogni evento doveva necessariamente seguire una conseguenza, ma la vita non è un insieme di eventi e conseguenze, non è una teoria, purtroppo o forse per fortuna non è così, tutto si gioca nei pochi secondi che hai, e schemi e supposizioni poco aiutano. ….