Mappe riflesse

Si fotta


Ieri sera mi è capitato di litigare con una persona (una ragazza, fortunatamente non la mia ragazza, anche perché non ce l'ho). Oddio, «litigare» è una parola grossa: diciamo che abbiamo discusso. Il motivo è futile e non è importante, mi interessava piuttosto fare una riflessione molto piccola sulla dinamica che ho visto.Il fatto è che io non litigo praticamente mai con nessuno, e quindi ogni volta che succede sono sempre un po' turbato e dispiaciuto.Tu hai di fronte questa persona ed evidentemente la pensate in maniera diversa su un argomento che sta a cuore a entrambi. Ma «diversa» non vuol dire necessariamente «incompatibile»: capire dove e in cosa sta questa differenza secondo me è lo scopo di ogni litigio piccolo o grande che si rispetti. Inizialmente trovi la sua idea insensata, o sbagliata, o stupida, o offensiva, o qualunque altro aggettivo volete. Ne discutete, i toni si accendono e tu (contrariamente a quanto potrebbero fare altri) ascolti il pensiero dell'altro. Ribadisci il tuo, ma ascolti anche il suo.E man mano scopri che il suo pensiero ha un suo senso. Cioè, capisci il senso che quella persona dà a quel pensiero e che, dato che quella persona è fatta come è fatta, ha i suoi più o meno validi motivi per pensarla così. Tu ovviamente non sei d'accordo – altimenti non stareste litigando –, ma il suo ragionamento ha pure il suo motivo d'essere e tu l'hai afferrato.Inzi allora a sentirti un po' in colpa perché prima ti sei schierato senza avere prima compreso davvero. Fai un passo indietro, diventi più diplomatico. Smetti di attaccare e cominci a negoziare dicendo: «Ok, ho capito quello che dici e perché lo dici; quello che ti sto dicendo io è che la tua idea cozza con la mia per questo e quest'altro motivo su cui si può discutere; ora ti spiego meglio la mia, così capisci anche tu qual è il punto che mi preme».Cominci a vedere la luce in fondo al tunnel, ma scopri che di là invece non c'è nessun impegno a fare lo stesso sforzo di comprensione che hai appena fatto tu. Anzi: mentre tu hai spostato il tuo piano dialettico da «quello che dici è sbagliato» a «quello che dico io è questo, parliamone», il tuo cessate-il-fuoco viene preso dall'altra parte come un'offerta del fianco. E sparare a un uomo che ha posato la pistola – mi hanno insegnato i film americani – è piuttosto scorretto.Tu ti sei perfino sentito un po' in colpa. Hai anche ritrattato parte delle tue idee, predisponendole a incastrarsi con un altro modo di vedere la questione. L'hai fatto per uscire dal litigio rinforzati, naturalmente. Ma a volte lo scopo dell'altro non è uscire dal litigio rinforzati: è uscirne vincitori.Sapete che vi dico? Che quel piccolo sentirsi in colpa è una cosa bella. È una cosa bella perché implica aver capito l'idea dell'altro, averla fatta propria pur mantenendo il proprio diritto ad avere un'opinione differente. A me fa male quando un'altra persona non mi capisce, penso sia la cosa al mondo che mi fa più male; ma quando dai all'altro gli elementi e la possibilità per capirti e lui/lei non lo fa, tu sei a un ben altro livello. Spiace dirlo, ma è così.Così esci dalla discussione con un senso di amaro in bocca e un niente di fatto. Ci stai un po' male, rimugini un po' sul perché stai male. Ti dici: «Sto male perché non mi sono sentito capito». E allora ti rispondi: «Checcazzo, io a lei l'ho capita, se lei non capisce me è un problema suo, non mio. Io il mio l'ho fatto. Si fotta e vaffanculo». Così ti versi un bicchierino di limoncello che ti hanno portato da Napoli, te lo gusti in santa pace e vai a letto sereno.Il potere del «si fotta», ragazzi, talvolta è davvero taumaturgico.