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Scritti o raccolti da Marco Cesare Pedroni

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libertarismo

Post n°58 pubblicato il 13 Settembre 2011 da eurolanguage

LIBERTARISMO

 
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Confronto delle imposizioni fiscali tra i paesi Europei

Post n°51 pubblicato il 19 Luglio 2011 da eurolanguage

Fornito dalla società http://www.pwc.com/it/it/index​.jhtml

 
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E' facile inquadrare il mio credo politico. di marcopedroni

Post n°50 pubblicato il 22 Giugno 2011 da eurolanguage

L'obbiettivo di ogni buon politico è quello di tendere all'accrescimento del livello di civiltà con l'ottimizzazione dei servizi alla persona attraverso uno slancio all'ammodernamento tecnologico e all'accrescimento del senso di resposabilità civica.

In seguito all'analisi dei modelli proposti nel passato mi sento di escludere il modello comunista e più in generale ogni sistema collettivistico che nega lo sfruttamento della proprietà. La negazione della proprietà privata toglie stimoli all'uomo e genera il rapido deterioramento dei beni.

Il controllo dello stato è condizione necessaria perchè uno stato possa definirsi tale. Al diminuire di sostegno alla collettività aumenta il rischio che la 'legge della giungla' possa prendere il sopravvento. Il maggior rischio è nei settori delle categorie deboli. Ciononostante, la gestione dei sevizi al cittadino da parte dello stato si traduce molto più spesso in un'esperienza costosa e inefficiente. La mia, si rivela, una visione mista che mi fa oscillare tra una posizione 'socialista' che confida in maggiori garanzie dallo stato che dal privato, e una posizione 'liberal' che riconosce i grandi limiti della gestione pubblica. In una parola, un libertario cioè colui che cerca garanzie in un 'sistema responsabilmente libero'. La questione si risolve nell'auspicare la tendenza al diminuire della presenza dello stato nelle faccende dei cittadini, confidando nell'acccrescimento del livello della loro coscienza civica. 

Il 'capitale' gioca un ruolo importante nelle società più civilizzate. Senza il risparmio, quindi senza il capitale, in vista di progetti imponenti, si fa ben poca strada.

Il capitale per l'avviamento dei progetti potrà essere preferibilmente privato ma anche pubblico purchè una gestione privata garantisca il perseguimento della propria esistenza esclusivamente attraverso i profitti derivanti dal proprio venduto.

Escludo qualsiasi forma di assistenza statale (cioè con capitale a perdere) per i soggetti con scopo di lucro, poichè significherebbe l'aggravio delle imposte sui cittadini e sulle aziende virtuose, il collasso dell'indice di competitività prima e il collasso del paese poi.

Ritengo la nostra Costituzione, oggi, troppo restrittiva nelle regole necessarie per essere, essa stessa, modificata in senso adeguato ai nostri giorni.

iter riforma Costituzione

Ritengo insufficiente l'onestà intellettuale della classe politica. Tutti insieme gli schieramenti parlamentari non si impegnano nell'imporre il ridimensionamento del personale e l'ammodernamento di uno stato inefficiente e troppo costoso.

Il raggiungimento di questo obbiettivo si ottiene modificando la Costituzione a favore di un dimezzamento, in cascata di tutti gli organi dello stato partendo da parlamento e magistratura,scuola, enti,province, comuni,liberalizzando gestioni statali inefficenti, anche strategiche. Per i settori strategici bisognerà prevedere solo organi di monitoraggio e controllo. Tra questi sicurezza,acqua,energia,informazione e scuola.

La liberalizzazione della scuola, oggi a maggioranza pubblica, si ottiene favorendo la competizione tra scuola pubblica e scuola privata indirizzando una sovvenzione pubblica decrescente in modo da raggiungere la fusione dei sistemi.

Lo stato deve canalizzare la spesa pubblica a favore delle persone deboli. In particolare deve sostenere gli investimenti il monitoraraggio il controllo degli ospedali e della cassa pensionistica. Deve monitorare e sostenere parzialmente organizzazioni benefiche con lo scopo della reintegrazione di persone in condizioni di debolezza e disabilità.

Dobbiamo abolire l'edilizia pubblica popolare gratuita o semigratuita e avantaggiare,
solo con sconti sugli oneri di urbanizzazione o vendita dei terreni, una edilizia popolare, razionalista e soprattutto privata.

 
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Appunti sull'energia

Post n°49 pubblicato il 16 Febbraio 2011 da eurolanguage

La ricchezza del nostro paese dipenderà soprattutto dalla politica energetica dei prossimi decenni. E' in corso un rapido cambiamento di tendenza nella scelta delle fonti di energia alternative, agli ormai ambitissimi petrolio e gas.

Da Energia

 

Tutti i tetti degli edifici devono diventare, per sempre, a recupero energetico con pannelli solari o pannelli fotovoltaici.

Tutte le automobili devono diventare, per sempre, a tecnologia ibrida per il recupero energetico.

Tutti i tetti delle automobili devono diventare, per sempre, a recupero energetico. Pannelli fotovoltaici per ricaricare le batterie di automobili ibride ed elettriche.

 


Affermazioni raccolte

- Una famiglia di 4 persone consuma in un anno in media 3000 kWh

- Una centrale da 280 Mwatt anno soddisfa il bisogno di 70.000 case 

- Una centrale termica da 280 Mwatt  anno produce 400.000 tonnellate di gas serra

- I consumi degli elettrodomestici più potenti sono: lavatrice 2,100 kW, forno elettrico 1,900 kW, fon 1,900 kW, ferro da stiro 1,000 kW  

- Il fluido utilizzato per traslare e immagazzinare il calore del sole nelle ultime centrali termoelettriche a concentrazione è una miscela di sali fusi di nitrato di potassio e sodio. Raggiunge temperature fino a 550°C.(pagina 12 di http://old.enea.it/produzione_scientifica/pdf_dossier/D23-Fonti_rinnovabili_2010.pdf

3 GWatt in impianti fotovoltaici a terra, occupano circa 6000 ettari.

- Il costo chiavi in mano di un impianto fotovoltaico fisso oscilla tra i 3000 e i 4500 Euro/kWp.

Tale costo può essere così suddiviso:
  • Moduli            60%
  • Inverter            10%
  • Materiale elettrico         5%
  • Strutture di supporto    5%
  • Progettazione         5%
  • Installazione        15%

(fonte: http://www.dinamosistemi.it/fotovoltaico/costi-e-benefici.html)

 Con un impianto fotovoltaico, se si usufruisce del servizio di 'Scambio Sul Posto' anche detto 'Autoconsumo' l'energia elettrica venduta viene pagata esattamente come quella acquistata.

- Un pannello fotovoltaico di 1 metro quadrato costruito con tecnologia film sottile (attualmente il più conveniente) in buona esposizione, genera una potenza di 90 Watt.

Dati raccolti:

Consumo energetico in Italia nel 2010:  500 305,50 GWh 

Foto raccolte

 

Mi tovi anche sul forum http://www.energeticambiente.it/ utente 'marcopedroni'

 
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Scritti 3.2000 - 2.2006 - di marcopedroni

Post n°48 pubblicato il 16 Febbraio 2011 da eurolanguage
Foto di eurolanguage

13 febbraio 2006Trovo incomprensibile che ad oggi ne un partito di destra ne uno di sinistra abbiano ancora offerto una candidatura a Vittorio Sgarbi. Sgarbi è uno degli uomini più intelligenti, acuto e generoso che la politica abbia annoverato in parlamento negli ultimi tempi. Egli ha un seguito trasversale appassionato e silenzioso che si arricchisce del suo sapere e del suo capire. Possiede infatti la qualità di capire la realtà più di tutti. Ad esempio quella realtà che lo vede escluso dalla ricerca di voti in grande numero, o quella che lo vede escluso dalla ricerca di candidature mediocri che non adombrino i leader costituiti, o quella che lo vorrebbe escluso per necessità di riservare candidature per ricambiare gli attivisti del partito. Egli sceglie la strada più difficile,l'attivismo per la società civile non quello per il partito. E' troppo importante per lui rispettare la libertà sua e quella del prossimo nel perseguire le proprie idee, senza escludere neppure l'opzione del ripensamento. Ma i cittadini, si meritano la sua esclusione? Noi, comuni fruitori della democrazia per rappresentanza, non possiamo averlo tra i parlamentari? Benché la sua candidatura possa risultare sconveniente alle logiche di alcuni partiti, noi cittadini non possiamo farne a meno. E così lo rincorrono gli editori liberi, le televisioni libere e tutti coloro che possono ridargli la sua voce pubblica. Se non sarà eletto sarà ancora possibile rimediare offrendogli il ministero dei Beni Culturali. 8 luglio 2005Una cosa eccezionale è accaduta. Ancora la stampa non gli ha dato il meritato risalto. Nel contesto della riforma della scuola, il decreto legislativo approvato in via preliminare il 27 maggio scorso stabilisce che fra sei anni, quando la riforma sarà a regime, avremo che nelle quinte liceo si insegnerà una materia completamente in lingua inglese. In questa decisione e' contenuta una vera rivoluzione! Non so se sarà previsto che i professori italiani possano cimentarsi o verranno utilizzati dei professori madrelingua. Se i professori, saranno gli stessi italiani, gli consiglio di accettare la sfida. Io procederei così: imparerei rapidamente le parole più tecniche della materia, mescolerei i termini tecnici con la nostra lingua e poi, gradualmente, imparando ""modi di dire"", mescolerei le due lingue fino ad una completa metamorfosi del linguaggio a favore dell'inglese. Credo che il tempo necessario affinché ciò avvenga, ad un livello utile, è minore di quanto molti possano immaginare. Le materie che meglio si adattano sono certamente quelle che già usano dei codici per esprimersi. Il numero dei termini tecnici utilizzati in proporzione, sarebbe maggiore. Una buona palestra di metamorfosi, potrebbe essere anche l'educazione fisica. I modi di dire e gli slang più moderni troverebbero un terreno più informale rispetto ad altre materie.20 giugno 2005Una grande preoccupazione affanna i paesi del capitalismo storico e i paesi iperpopolosi in via di sviluppo: come affrontare il fenomeno dilagante capitalismo-consumismo proprio di quei paesi. Da una parte ci si affanna a difendere il mercato interno dall'eccessivo ribasso dei prezzi di vendita derivante dal basso costo della manodopera di quei paesi (mediamente poveri). Dall'altra i governi locali faticano a contenere pericolosi fenomeni di sviluppo sociale accelerato che portano grandi masse umane a repentini cambiamenti di stato e di pensiero. Ebbene le misure di protezionismo commerciale al breve periodo possono essere utili, ma inefficaci e ingiuste nel lungo periodo. Così come ingiusta e inefficace e' la ipertassazione interna delle merci destinate all'export, imposta dai governi dei paesi in via di sviluppo. La soluzione del lungo periodo, favorevole sia ai paesi del vecchio capitalismo e sia ai paesi iperpopolosi in via di sviluppo, sta nel favorire il fenomeno di una benefica inflazione galoppante che svaluti rapidamente la moneta di quei paesi permettendo un riallineamento dei prezzi nel più breve tempo possibile. 23 marzo 2005Penso che tutti si possa concordare sul fatto che in una materia così attuale come la fecondazione artificiale andasse fatta una legge urgente per regolare la materia. Ebbene la legge è stata fatta, sempre migliorabile naturalmente. I Radicali ,legati alla loro forma di battaglia referendaria, propongono di abolirla almeno in parte. Voglio condurre un ragionamento esclusivamente laico, logico. L'aborto generato entro il 3° mese di crescita del feto nel ventre di una donna deve essere motivato. Le motivazioni di una donna o di una coppia, insieme, possono essere valide per da mille motivi diversi. ok? Che cosa riuscirà a motivare l'eliminazione di concepiti, embrioni o feti conservati? L'eliminazione di embrioni, nella pratica della fecondazione artificiale, a differenza che nell' ""aborto generato"",manca di una componente pesante che costringe alla riflessione su tale scelta: la ""sofferenza umana"". Conseguentemente, mi viene da pensare se tale pratica è o non è una questione morale. Se lo è, sarà importante stabilire fino a dove ci si può permettere di interferire. Il vincolo non può che essere la fecondazione.La vita inizia dalla fecondazione. Non si deve potere uccidere concepiti, embrioni o feti (e dico uccidere non cestinare o gettare come avviene per gli oggetti e nemmeno per gli animali) perché la vita è già iniziata oltreché per il fatto che nessuno si accollerebbe la responsabilità di tale gesto.16 giugno 2004Le ragioni della sconfitta elettorale alle provinciali di Milano sono molteplici. Oltre a quelle individuate da Formigoni, si è chiesto Berlusconi quanti cattolici Italiani avrebbero voluto la partecipazione alla forza militare in Iraq? E lo stentare della ripresa economica? Su chi doveva pesare elettoralmente?20 aprile 2003La guerra in Afganistan è stata una guerra per difendere la civiltà. La guerra all'Iraq è la guerra solo degli USA. Per tre motivi fondamentali: la paura, reale, di nuovi possibili attentati interni agli USA. I forti interessi economici per il controllo di un paese, importante estrattore di petrolio. L'accerchiamento logistico dell'India e della Cina. Noi in Italia e in tutta l'Europa ,non abbiamo questi motivi. Non scambiateci per pacifisti ad oltranza: Questa, non è la nostra guerra. Che gli USA si prendano direttamente le responsabilità di un conflitto. L'Europa ha già, e continua a dimostrare solidarietà all'11 settembre nella lotta al terrorismo. Questa è per l'Europa, l'occasione per osservare il comportamento degli USA nei confronti di uno Stato sovrano che , benchè ostile, non ha mostrato (dopo l'ultimo conflitto) atti d'offesa bellica o terroristica. L'Iraq ha perso la guerra del golfo quindi ,da parte Europea, gli si può consigliare di rispettare i trattati di resa. Si può di più...convincerli che un'altra guerra sarebbe comunque una sconfitta per la popolazione inerme.1 Gennaio 2003I popoli europei non si parlano. L'economia dell'area Euro non gode di buona salute. Credi, come me, che l'integrazione dei popoli sia lo strumento primario per il conseguimento di obbiettivi comuni? I diversi linguaggi frenano l'unificazione dei popoli e il decollo dell'economia dell'Euro. L'integrazione dei popoli si raggiunge bene, solo e più rapidamente con l'unificazione del linguaggio. Dunque la velocità di integrazione dei popoli è determinante per la salute dell'economia del nuovo paese nascente. La forte volontà di una lingua comune è una esigenza impellente.Marzo 2000Le Chiese del mondo svolgono un ruolo importante, nel processo di coesione della società. La religione: vulnerabile necessità dello spirito viene troppo spesso utilizzata come oppio per i popoli. Una Chiesa moderna e civile, vorrebbe rinunciare all'educazione delle masse quando a questo pensassero le istituzioni. Di fatto, la Chiesa risulta sussidiaria alle istituzioni.Marzo 2000Milioni di extraeuropei hanno invaso il nostro paese,le istituzioni hanno difficoltà a controllare il fenomeno. Credi che le usanze, di popoli a noi poco conosciuti, trasferite nel nostro paese, possano non essere capite da molti? La reazione interna produce alcuni ordini di effetti: la violenza, la ghettizzazione e altre forme di disordine. L'integrazione degli altri popoli nella nostra civiltà deve passare attraverso una fase di scambio culturale. Parallelamente al controllo dell'immigrazione, si deve fare uno sforzo per comprendere le altre culture e aiutare gli stranieri ad assimilare la nostra. Prova ad immaginare l'organizzazione di associazioni culturali Italo-Tunisine, Italo-Filippine, Italo-Marocchine..

 
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meno stato e più Mercato attraverso il federalismo - 4/10/2010 di marcopedroni

Post n°47 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage
 

La recente spaccatura all'interno del PDL ha evidenziato le profonde divergenze di pensiero che da sempre hanno coabitato all'interno del partito. E' difficile per qualsiasi schieramento ottenere consensi con percentuali sopra il 30%. Ci è riuscito Silvio Berlusconi ma più che per omogeneità di pensiero con il resto dei componenti del partito, per capacità del tutto personali. Alla gente piace Silvio Berlusconi e crede che possa far meglio degli altri. Molti politici furbetti l'hanno capito e sono saliti sul carro. Ora 'divorziando' spererebbero come, stà succedendo alla moglie Veronica Lario, in una liquidazione miliardaria. La volontà del governo si è mostrata molto anticonformista e riformista, convinta dell'inefficacia del metodo pubblico nelle questioni di un mercato sempre più globalizzato. Vi sarebbe, in una certa misura, l'idea dei ministri, di riconoscere l'inefficacia dello stesso apparato statale. I ministri, pur essendo funzionari pubblici, hanno un mandato a termine e non sentono e non vogliono sentire la responsabilità dell'operato di un apparato pubblico tanto criticato e decadente. Il PDL oggi si divide nella contrapposizione interna tra chi sostiene la necessità di ridimensionare e riformare l'apparato pubblico e chi invece non vuole rinunciare a trarre buone percentuali di consenso da quello stesso elettorato pubblico. Paradossalmente, la parte del PDL al governo, in sostanza l'ex Forza Italia insieme a parte di AN, oggi, trova maggiore sintonia con la Lega Nord, che pur alleata del PDL ha preferito mantenere la propria autonomia, piuttosto che con i cosidetti 'Finiani'. La Lega è la portatrice del collante. Il collante è il federalismo. I'Italia continuerà sempre a rimanere un paese eterogeneo e vorrei aggiungere, per fortuna. Gli italiani, benché accomunati dalla lingua, si differenziano molto per i climi le tipologie e distanze relative dei territori su cui vivono. Il PDL governativo vede il federalismo come il passaggio necessario per il ritrovamento dell'efficienza perduta dell'apparato pubblico. Attraverso l'adozione dei diversi metodi dei governi delle regioni e attraverso le privatizzazioni dei servizi - ora pubblici - si vorrebbe diminuire l'organico a carico dello stato in modo da riuscire a diminuire le imposte per ridare slancio agli investimenti nel paese. Insomma il trasferimento di competenze ai governi locali coincide con un atteggiamento liberale del governo centrale che desidera oltre che smantellare le inefficienze dell'apparato statale, allontanare da se l'etichetta di stato, ladro perchè sprecone. L'alleanza liberismo-federalismo potrebbe non portare necessariamente all'efficienza e alla diminuzioni in assoluto dei costi pubblici ma solleverebbe, da una parte le responsabilità di un eccesso di spesa dello stato centrale e dall'altra restituirebbe il controllo dei territori ai propri amministratori..

 
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Appunti sui rapporti tra l'occupazione pubblica e quella privata - 20/5/2010 di marcopedroni

Post n°46 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage
 

Nei giorni scorsi mi sono interessato a ricercare dati su occupazione pubblica e occupazione privata in Italia in modo da riuscire a fissare mentalmente i giusti rapporti dimensionali.Da un documento dell'Istat (1*) si possono estrarre vari dati interessanti sull'occupazione totale riferiti all'anno 2009. Al nord lavorano in 11.905.000 al centro in 4.832.000 al sud in 6.288.000 per un totale di 23.025.000 di persone. Più di un terzo della popolazione.Da un documento dalla Ragioneria Generale dello Stato ( 2*) si possono estrarre vari dati interessanti sull'occupazione pubblica riferiti all'anno 2008. Il numero totale di occupati pubblici inclusi regioni ed enti locali, il personale a tempo determinato e in formazione lavoro, altre categorie minori e il personale della regione Sicilia è, arrotondato 3.620.000 persone per una spesa complessiva di 169.170.202.558 Euro.Togliendo dal totale dei lavoratori il numero dei lavoratori pubblici, che consideriamo invariati nel 2009, ricaviamo i lavoratori del settore privato che sono dunque: 19.405.000La distribuzione percentuale sui vari settori del grafico a torta (3*) dice: scuola 33,5%, sanità 20,4%, regioni+province+comuni 15,5%, polizia 9,6%, ministeri 5,4%, esercito 4,3%, università 3,6%, altri 7,7%.Riepilogando: 19 milioni e 405 mila addetti privati , 3 milioni e 620 mila addetti pubblici, per un totale di 23 milioni e 25 mila lavoratori in Italia. I lavoratori pubblici rappresentano il 15,7374% del totale dei lavoratori italiani.Propongo al governo di offrire uno scambio. Defiscalizzazione, per metà del fabbisogno stipendi pubblici, alle aziende private che incorporano metà dei lavoratori pubblici. 84 miliardi e 500 milioni di Euro in cambio di assunzioni per 1 milione e 810 mila persone.Dividendo Euro per persone si potrebbe fare in modo che una azienda privata, assumendo 1 ex lavoratore pubblico viene defiscalizzata, ogni anno per il valore medio del suo stipendio pubblico. Dunque di 46.685 Euro.Chi sa dirmi, percentualmente, di quanto diminuirebbe il carico fiscale delle aziende ipotizzando che l'intero sistema privato si ripartisse il carico di assunzioni?(1*) http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100428_00/media2009.zip oppure http://digilander.libero.it/eurolanguage/documenti/file_unico_tav_med09.xls (2*) http://www.contoannuale.tesoro.it/sicoSito/presentazione_conti.jsp oppure http://digilander.libero.it/eurolanguage/documenti/conto_annuale_2008.pdf (3*) http://www.contoannuale.tesoro.it/sicoSito/presentazione_conti.jsp oppure http://digilander.libero.it/eurolanguage/documenti/distribuzione_del_personale_pubblico_nel_2008.jpg http://digilander.libero.it/eurolanguage/documenti/rapporto_dimensionale_lavoro_pubblico_privato_merged.pdf

 
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Nessuno scandalo se i soldi vanno dove sono più protetti - 9/9/2009 Leonardo Facco

Post n°45 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

Provo odio e disprezzo per gli invidiosi. Non è un caso, del resto, che l’invidia sia uno dei vizi capitali. Non è neppure un caso che l’invidia stia alla base del socialismo e rappresenti la linfa vitale di quell’ideologia mortifera che durante il Novecento ha creato solo povertà, ha diffuso unicamente odio e menzogna. Dietro alla campagna mediatica che dà addosso al “segreto bancario” ed ai “paradisi fiscali” – scatenatasi con violenza da qualche mese a questa parte – c’è puzza di risentimento. Helmut Schoeck, autore di un libro imperdibile in materia, direbbe che l’invidia «è un problema centrale dell’esistenza sociale ed essa trasforma l’uomo da costruttore di ricchezza in distruttore tout court». Da qui la domanda: perché tanto livore per le Bahamas, le Cayman ed Aruba, oppure per i conti correnti cifrati di Svizzera e Liechtenstein? Per un solo reale motivo: per il fatto che l’invidioso statalista (sia esso governante o elettore) “vorrebbe vedere l’altro privato, espropriato, spogliato, umiliato, danneggiato”, magari intascando come un bottino qualsiasi le ricchezze prodotte da altri! Chi ha davvero a cuore la libertà non può non difendere sia i paradisi fiscali che i segreti bancari. Vi siete mai chiesti perché certi luoghi di questa terra si chiamano “paradisi fiscali”? Per una sola, vera ragione. Perché l’Italia, ad esempio, è un inferno fiscale, come ormai riconoscono anche i più moderati tra i liberali. Una Cayenna dalla quale ogni persona di buon senso cerca di sfuggire, o quantomeno cerca di far evadere i suoi amati e sudati averi. Ma c’è di più: l’esistenza stessa di territori in cui le gabelle sono più basse garantisce quella concorrenza necessaria a moderare gli appetiti di taluni governi di parassiti, che una volta per tutte dovrebbero comprendere che meno sono alte le tasse più facile sarà creare ricchezza, lavoro, benessere. Eppoi, suvvia, per quale strampalata ragione un paese deve minacciarne un altro per il solo fatto che quest’ultimo è fiscalmente meno vampiresco? È come se volessi in galera Bolt perché corre più veloce di me! Inoltre, sapete chi odiava – e odia in verità – chi portava i propri denari all’estero? Un tale Mario Capanna, cultore dei Katanga. Ora, se quest’uomo vi appare come un fulgido esempio di libertà, preparatevi a subire le conseguenze di certa ideologia. E il segreto bancario? Intanto, val la pena ricordare che esso nasce e si sviluppa sul piano della sua natura di obbligo contrattuale e corrisponde ad un diritto del privato suo proprio riservato, un diritto della personalità. Una questione di riservatezza insomma! Ora, non si capisce per quale bizzarro motivo Silvio Berlusconi (cito il personaggio pubblico per antonomasia) richieda a gran voce il rispetto della propria privacy un giorno sì e l’altro anche ed io, cittadino qualsiasi interessato solo ai fatti miei, debba far sapere a tutti dove metto i miei denari, perché li porto al di fuori dei confini italici, che uso ne faccio. Certi pruriti collettivisti proprio non li sopporto. Mi si dirà: ma è la legge bellezza! Bene, ma io rispondo: chi se ne fotte! Il fatto che qualcosa sia imposto per legge mica significa che sia legittimo. Per farla breve, parafrasando Jan Krepelka – ricercatore dell’istituto Benjamin Constant di Losanna – a essere immorale non è l’evasione fiscale (adombrata ogni qualvolta si scoprono conti esteri), ma sono le imposte confiscatrici e arbitrarie, che per lo più finanziano spese che non dovrebbero essere fatte dallo Stato (si veda l’editoriale del nostro direttore pubblicato ieri). È dunque del tutto legittimo cercare di proteggere dalle tasse i propri redditi: lavorando in una giurisdizione e abitando in un’altra fiscalmente più vantaggiosa, piazzando il proprio denaro là dove è più protetto. Che diamine! Alla faccia di tutti gli invidiosi di questo mondo!

 
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I migliori politici si cimentano nelle amministrazioni - 30/8/2009 di marcopedroni

Post n°44 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

   Le funzioni del politico, si sa, sono per lo più pensare, preparare e proporre norme da sottoporre all'approvazione di assemblee territoriali. Il parlamento i consigli regionali e comunali. Ma vi è una funzione importantissima dei politici che è concessa solo a chi riceve un mandato amministrativo, la gestione della spesa. Il primo ministro, i governatori regionali, i sindaci, concentrano su di loro il potere di spesa. E' tra questi che si trovano i migliori politici. Uomini e donne che si propongono di aggiungere alle norme, la faticosa pratica della loro attuazione. Un esercizio, quello della amministrazione, dal quale, un politico ambizioso, non può che sentire un forte richiamo. L'ambizione però non basta a dimostrazione delle capacità (un buon lavoro può essere ben valutato solo al suo compimento) ma sicuramente è un ingrediente necessario. Come si fa allora a stabilire a priori, una candidatura centrata o per noi, semplici cittadini, come scegliere di votare un buon premier, un buon governatore o un buon sindaco? Sarà importante valutare il successo del suo lavoro tenendo presente però che l'esperienza nel privato potrebbe non dare grandi garanzie sul senso civico. Sarà anche utile ascoltare le dichiarazioni pubbliche. Come abbiamo visto, egli dovrà trasmetterci una forte ambizione nel volere impegnarsi nel mandato. Dovremo essere ancora più attenti nel capire, dalla sua presunzione di capacità, quanta sarà veramente utile e quanta invece rimmarrà, solo presunzione. Per qualificare la sua presunzione, potrà essere utile sentirgli dare valutazione del lavoro di altri, in incarichi simili, meglio ancora su chi lo ha preceduto. Molto del lavoro da svolgere è rappresentato da pianificazioni di lungo periodo, le cui ragioni attuative prevalgono anche sulla eventuale discontinuità di schieramento politico. Qualsiasi persona seria e responsable che si appresti a svolgere un lavoro faticoso iniziato da altri non valuterebbe mai con leggerezza l'impegno del suo predecessore. E' dunque più importante avere un buon primo ministro che un buon presidente della repubblica, un buon governatore regionale piuttosto che un buon presidente di camera e senato, un buon sindaco piuttosto che un buon parlamentare. Ai primi potrà essere riconosciuta la faticosa capacità del fare. I secondi, si potranno forse meglio distinguere per senso civico sempre che lo stesso senso civico non gli impedisca di considerare abnorme la spesa per i propri compiti istituzionali (i quasi 1000 parlamentari incassano ognuno circa 20.000 euro al mese senza contare quello che molti già ricevono dal vitalizio). Ad esempio la nomina a segretario di partito oggi, alla morte delle ideologie, vale proprio pochino.

 
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La politica del fare ha origine contadina - 15/6/2009 di marcopedroni

Post n°43 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

   La riflessione sugli accadimenti che si sono susseguiti in politica nell'era Berlusconi stanno dimostrando l'affermazione contenuta nel titolo. La società urbana che in molti periodi storici, anche per motivi numerici, ha rappresentato per tutti gli italiani un modello trainante, in questi ultimi anni non lo è stato. Il motivo è dovuto dal fatto che i centri urbani non sono riusciti a spingere l'innovazione. E' venuto meno il fare del cittadino. Ruolo, questo, che è stato piuttosto delle province, dei borghi delle campagne. Probabilmente parte delle ragioni di tale fenomeno sono da attribuire anche all'avvento di internet e delle videoconferenze. La possibilità di mettere in contatto diretto, produttori e consumatori ha eliminato molti passaggi. Una volta venivano affidati ai rapporti diretti fra uomini e in molti casi concentrati nei centri urbani. Le città hanno rappresentato il fulcro degli affari. Ora non è più scontato. Attività che avevano una forte connotazione urbana, ora non la hanno più. La crisi di identità del ruolo delle città però non permette un processo reversibile se non nell'impoverimento. La provincia impone un fare cadenzato, inevitabile. La cultura contadina rimarrà sempre legata ai ritmi delle stagioni perchè la terra da coltivare, le bestie da allevare, rappresentano una risorsa di ricchezza inesauribile. Il cittadino invece, senza il suo ruolo, il suo fare, si arrabatta e non crea ricchezza, consuma senza produrre. La crisi del parlamentarismo e del partitismo in politica, ha assomigliato a qualcosa di questo genere. Mentre ai tempi della costituente dove tutto era da fare e successivamente fino ai tempi dell'espansione dei consumi, gli anni ottanta, mille parlamentari che proponevano, discutevano e emendavano leggi necessarie erano concepibili, oggi questo non è più vero. Di leggi di principio ce ne sono tante, di sentenze di riferimento anche e anche in parlamento, come in città, non resta molto da innovare. Mille parlamentari diventano dunque mille persone che si arrabattano ma non producono e certo, non per quanto consumano. La crisi della sinistra è dovuta anche al suo atteggiamento intellettuale a difesa di posizioni conquistate, ma oggi inutili. La sua rifondazione, forse ripartirà dalla sua miseria. Me ne sono convinto vedendo una intervista a Fausto Bertinotti andata in onda ieri pomeriggio domenica su RAI news 24 (domenica 14 giugno 2009). Sedeva su una sedia antica e forse dorata, accanto un tavolino intarsiato, sullo sfondo, pomelli dorati e tende in velluto color porpora. Ora, gli elettori dell'era Berlusconi hanno premiato il fare, perchè solo un fare a ritmo serrato, giustifica l'utilizzo del gettito delle tasse nelle spese di chi ci governa. La richiesta del gettito fiscale è costante, serrato e inesorabile come le stagioni che impongono il lavoro dei contadini. Così deve essere il fare dei governanti, costante serrato e inesorabile. La riduzione dell'apparato statale a partire dal numero dei parlamentari, per poi seguire con la privatizzazione di molte altre funzioni, oggi pubbliche, dovrebbe essere prima di tutto la posizione di una opposizione critica, capace di leggere, meglio dei vincenti, le necessità di rifondare lo stato. Un'altra volta pare che l'arguzia di Berlusconi l'abbia preceduta.

 
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Berlusconi vuole veramente ridurre i parlamentari - 11/3/2009 di marcopedroni

Post n°42 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

   Oggi su 'Il Giornale' si legge della volontà di Berlusconi di dimezzare i parlamentari. Arriva come notizia bomba, anche se non nuova poichè già proposta qualche anno fa in un referendum costituzionale bocciato. Viene colta a gran titolo da Il Giornale e non dal Corriere della Sera e da Repubblica. Questi due quotidiani preferiscono evidenziare, nei titoli, la scaramuccia sul voto unico ai capigruppo in parlamento che contrappone Fini a Berlusconi. I casi sono tre, o considerano una barzelletta la reale possibilità della drastica riduzione o preferiscono gettare benzina sul fuoco dello scontro tra alleati o sono proprio dei c*******i a scegliere le priorità delle notizie. L'attuazione del proposito però lascia anche tutti noi scettici, perchè vorrebbe dire che la Casta dovrebbe votare un provvedimento contro se stessa, e questo, pare poco probabile. Ma tutti noi sappiamo quanto bisogno avrebbero gli italiani di risparmiare 87 milioni l'anno ricavati dalla eliminazione di 477 incassi mensili d'oro (sembra che i parlamentari incassano tra stipendio, diaria e rimborsi dai 15000 ai 16000 Euro al mese e credo sia una stima al minimo)e il parlamento di trovare una via piu snella all'approntamento delle leggi. Vi è inoltre la certezza di non sbagliare poichè stati ben più grandi e popolosi d'Italia funzionano già con molti meno 'chiaccheratori da scranno'. Dio voglia che Berlusconi riesca nel suo proposito! Perchè ciò si realizzi sarei pronto a lanciare l'iniziativa di raccogliere a favore di Berlusconi, da devolvere in beneficenza, 1euro da ogni italiano che premiasse la sua tenacia nel concludere il dimezzamento. Metà Italia potrebbe aderire all'iniziativa e le Onlus a scopo benifico potrebbero così rastrellare anche 30 milioni di Euro.

 
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Una lezione di democrazia - 18/11/2008 Vittorio Sgarbi

Post n°41 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

Tra le cose più curiose - e più sfiziose - di questi giorni (appesantiti dalassassinio di Stato di Eluana Englaro, dopo un regolare processo concluso con la condanna alla pena di morte in un Paese che la esclude) ⁣è elezione di Riccardo Villari, dopo uattesa più estenuante deluscita del 6 al Superenalotto, alla presidenza della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Si penserebbe: finalmente. È un parlamentare delopposizione, è apprezzato, ha ottenuto, con meditata convinzione, i voti della maggioranza, è un uomo super partes che non ha mai amato Berlusconi e che ha una grandissima esperienza parlamentare come Ciriaco De Mita, che ne dice: «Ha tutti i pregi dei napoletani, moderazione, garbo, accortezza». Tutto ciò che conviene a un buon presidente. E ancora, mentre da ogni parte della sinistra se ne invocano le dimissioni: «Secondo me non deve dimettersi. Io lo apprezzo molto, anche perché, a differenza di altri, ha mantenuto con me un rapporto affettuoso anche dopo la mia cacciata dal Pd. Dovrebbe restare alla guida della Vigilanza, in attesa che si mettano ⁤accordo».Guardiamo allora la situazione, con il solito Di Pietro che attribuisce il risultato dell’elezione, comunque di un esponente dell’opposizione, a Berlusconi e, con la consueta misura (il candidato sconfitto, nei fatti, era stato proposto da lui), lo apostrofa con un «caro presidente del Consiglio Videla», attribuendogli «un atteggiamento tipico di una dittatura argentina». Berlusconi cade dalle nuvole, attribuisce la scelta ai gruppi parlamentari; e, timidamente, i deputati difendono il loro voto secondo il principio che in democrazia prevale chi ha la maggioranza. Certo: c’è soddisfazione e divertimento per l’esito imprevisto, che ha il carattere di un blitz, pur essendo molto lentamente maturato. Intanto, almeno due esponenti dell’opposizione hanno votato Villari: e poi la sua candidatura, come la sua elezione, deve essere stata espressa da un qualche embrione di democrazia ritrovata e di riabilitazione del Parlamento quotidianamente mortificato attraverso la meccanica votazione di ordini calati dall’alto che tolgono al parlamentare ogni autonomia e ogni libertà. L’insistente richiesta dell’opposizione delle dimissioni di Villari (la solita Bindi: «Immediatamente»; Rutelli: «Dimissioni a razzo» e, anche, con un’ipocrisia smascherata da Sabina Guzzanti, D’Alema: «Una prepotenza quel che è accaduto») scopre tutta la sorpresa per la beffa, e la delusione per non avere potuto far prevalere l’ostinazione della minoranza sulle regole democratiche. Dal momento che i parlamentari non decidono niente e non possono mai scegliere (ricordo quante frustrazioni, anche ai tempi miei, nel non poter mai discutere e decidere nulla) si insinua il veleno che ciò che non è concordato dalle segreterie dei partiti, non è democratico. Si confonde cioè la democrazia con la diplomazia e si mortifica la libertà di voto (la Costituzione dice: «Senza vincolo di mandato») con il bon ton. L’elezione di Villari appare a me, e credo ad altri, una liberazione. Ristabilisce principi aritmetici a fronte della convenzione, non scritta, che alcune commissioni debbano esser presiedute dall’opposizione. Commissioni di garanzia, dunque. E infatti Villari è un esponente dell’opposizione. Ma è stato votato e scelto dalla maggioranza, strilla la nomenklatura dell’opposizione. Salvo due peones, penso io come molti.Così la maggioranza li fa tornare liberi, dà un segnale che, evidentemente, qualcuno ha raccolto. La maggioranza aiuta l’opposizione a ritornare democratica. Villari non ha soltanto il temporaneo compiacimento di un ruolo di grande responsabilità, allo svolgimento del quale alcuni importanti esponenti dell’opposizione lo garantiscono preparato, come abbiamo visto. Ma ha l’imprevisto ruolo di garante della democrazia. Non dimettendosi egli fa resistenza alla prepotenza delle segreterie, restituendo dignità ai parlamentari. Lunga vita al presidente della commissione di Vigilanza Riccardo Villari. Anche in barba ai baffi di D’Alema (sotto i quali se la ride, per quanto non gli piacciono Di Pietro e il suo scudiero Orlando).

 
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Il liberismo? È più «sociale» dello statalismo - 16/10/2008 Geminello Alvi

Post n°40 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

In queste ancora calme settimane di fine estate ⁳è avviato sui giornali un utile dibattito sulla economia sociale di mercato. E già aggiunta della parola sociale fa intendere al nostro lettore come si sia mitigata quella mitizzazione del mercato astratto che ci tormenta da anni. Il ministro Tremonti intende farne uno dei temi ⁤azione di cui si discuterà a settembre. La qual cosa un p turba Mario Monti, il quale però, con ogni suo prudente garbo, paventa il discredito del liberismo. Teme che dietro la critica alle follie globalizzanti si celi un ritorno al mercantilismo. Ovvero a più dazi, arbitri del potere statale. Michele Salvati a sua volta da una parte approva il timore di Monti, dalaltra rimprovera Tremonti di poca socialità. Di non aver ridotto abbastanza le tasse ai redditi meno elevati. Insomma Monti o Salvati esito è uguale: per fare più sociale economia di mercato si dovrebbero dosare redistribuzione statale e controlli: si dovrebbe usare lo Stato per lenire i guai del mercato globale, ma non troppo. Ecco la conclusione che si ricava a leggerli, e che con franchezza, mi pare un p troppo poco. Se ne ha l’impressione di rimasticaticcio, di giri di parole per parare il colpo, ricondurre il tema ai soliti liberismi di sinistra. Negli anni ’70, l’economia era ridotta dalle sinistre a lotta per ridistribuire il reddito, e più Stato. Queste aberrazioni si sono negli anni corrette, ma a dosi di conformismo liberal. L’idea di socialità in economia è restata infatti la stessa: qualcosa che lo Stato deve imporre, e tutela. Idea, direi, del tutto sbagliata. E però è la sola possibile per una cultura di sinistra stanca, e che non ha mai voluto rinnovarsi. Sarebbe solo bastato in effetti già leggersi Omero, per capire che la parola «oikonomia» significa redistribuzione ospitale. Dunque è inerente, originaria all’atto economico una solidarietà, che non implica lo Stato. Perciò Olivetti nei suoi esperimenti a Ivrea parlava della sua fabbrica come di una comunità: influenzato da Rudolf Steiner, voleva tenerne ben fuori lo Stato politico. Ma non gli si badò, tutti presi da Marx o Sraffa. E trascurando per esempio pure von Hayek, liberista estremo, ma che vedeva nello scambio una catallassi, un’ammissione nella comunità. Insomma la mia tesi è che un’economia sociale può compiersi meglio per via comunitaria e libertaria, limitando le tasse, e ogni intrusione statale. Nel migliore dei casi con la cultura e la sanità finanziate da fondazioni. La socialità in economia richiederebbe del resto il meno possibile di far intervenire Stati o super Stati. Ma è quanto meno aggrada alle sinistre. Le quali, screditatisi tutti i loro statalismi, si sono messe a difendere i super Stati: la Ue o il Wto. Obliando le comunità concrete tormentate da tasse, immigrati, globalizzazioni, e alle quali gioverebbero perciò un po’ meno Stati e super Stati. E servirebbe invece un’impresa in armonia alla comunità, che mantenga il vincolo di sani bilanci; ma riunisca consumatori e lavoratori, in disegni di sussidiarietà. Calate così le tasse lo Stato potrebbe ridursi a poche funzioni; in confederazioni di comunità libere, anche di sottrarsi alle follie globalizzanti. Giacché non deve obliarsi: persino per il liberista estremo von Hayek lo scambio era una libera ammissione nella comunità. In altri termini il dibattito sull’economia sociale non richiede le solite chiacchiere stanche sull’equilibrio tra Stato e mercato. Non può svolgersi all’altezza dei tempi senza riferimenti alla cultura comunitaria e libertaria. Essa è varia e vasta, pure se ignorata in una cultura italiana, così impoverita dalle sinistre.Da ilGiornale.it del 28.08.2008

 
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Rifiuti nella discarica degli scherzi - 11/2/2008 Vittorio Sgarbi

Post n°39 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

Nessun dubbio che i napoletani avrebbero trovato il modo di convivere con i rifiuti. ⁄altra parte emergenza ha reso fisiologico ciò che era patologico, e ha reso stabile ciò che era occasionale. In molte parti di Napoli, da molti anni, immondizia è familiare, e ha rappresentato un cancro con il quale ci si adatta a convivere. Ora il cancro è diventato metastasi, non risparmia nessun punto della città, i napoletani trasmettono da un quartiere alaltro esperienza. Con i rifiuti la città è diventata una enorme favela nella quale non ci sono regole che si debbano rispettare in nome della legge, perché la legge ha mancato il suo compito. Nessuna fiducia in Bassolino, nessuna nella Russo Iervolino, ma nessuna anche nelle reali possibilità del commissario straordinario De Gennaro. La soluzione non è stata trovata e non si troverà. Occorrerà aspettare le nuove elezioni e, una volta che la destra sarà al governo, accettare misure impopolari che non potranno essere compromesse alla urgenza del consenso. In questa fase nessuno si può permettere di mostrare il volto dell’arme, nessuno può rischiare di perdere voti, oltre quelli che ha già perso e perciò i napoletani sono rassegnati. Ma dalla rassegnazione non mancano di trarre soddisfazione. E intanto, nell’emergenza nessuno può chiedere niente, la legge non può essere applicata, ma nessuno può pretendere che si paghino le tasse. La città si può avvantaggiare dello stato di calamità, i cittadini possono chiedere (e magari non ottenere) ma non dare. Una condizione ideale. Si può dunque stare acquattati dietro i rifiuti. Si può non lavorare. Gli studenti possono evitare di andare a scuola. Gli amministratori sono pronti a giustificarli e a fornire loro un alibi. D’altra parte l’immondizia offre garanzie. Se le scuole restano chiuse i giovani non rischiano di incontrare docenti deficienti. Se nella scuola vi debbono essere professori come quelli che hanno firmato (e pare che si siano moltiplicati) l’appello contro il Papa, è salutare (per la salute mentale) che i giovani non vadano a scuola. Rischierebbero di farsi contagiare. Vi sono dunque già alcuni vantaggi che vengono dall’immondizia, i napoletani non hanno certamente mancato di accorgersene. Arrivano oggi notizie della felice convivenza con i rifiuti: nelle strade intasate si possono delimitare i confini di un campo di calcio con gli spalti costituiti dall’immondizia. Ma poi si possono organizzare dei mini campionati di slalom fra i rifiuti o di corsa ad ostacoli, di salto in lungo. Come esempio delle favelas si può iniziare a riciclare una parte di rifiuti, nella fascia alta seguendo l’esempio di Piero Manzoni, e producendo opere d’arte; nella fascia bassa producendo oggetti di artigianato, cestini, scatole, pannelli. Il caso ha voluto che qualche giorno fa io sia stato a Viadana, laborioso centro della Padania, a visitare l’azienda di Mario Saviola, aspirante artista, ma, allo stato, straordinario produttore di pannelli per mobili e di mobili: 350mila pezzi al mese. Tra un quadro e l’altro, con anima serena, Saviola mi ha detto di ricavare i suoi pannelli da scarti differenziati di immondizia, prevalentemente organica: alberi, radici, erbe, fieno. Mi ha portato a vedere una montagna di immondizia destinata a essere riciclata e trasformata. In un sistema meno organizzato, i napoletani stanno sicuramente producendo oggetti ricavati dai rifiuti, così come quando, in visita alle vittime dell’eruzione del vulcano a Zafferana Etnea, vidi alcuni industriosi calamitati ricavare dalla lava portacenere. I napoletani hanno due mesi davanti, due mesi di assoluta immobilità, per organizzarsi. In attesa che il nuovo governo prenda quelle misure impopolari che obbligheranno gli occupanti a liberare le discariche e ad accettare di essere destinatarie dei rifiuti perché ritorni la normalità. Ma la normalità contraddice lo spirito di adattamento che è il genio stesso dei napoletani in qualunque circostanza. Per cui adesso si trovano soluzioni provvisorie, fra due mesi si chiederà di farle diventare definitive. La precarietà, l’abusivismo, la criminalità troveranno un comodissimo alibi nell’immondizia e, in quel momento, la pulizia apparirà un rischio. D’altra parte se questi disagi sono toccati a Napoli non è per caso, né all’improvviso; probabilmente occorreva che la metafora si facesse realtà e che fosse chiara la condizione del Meridione e la vita differenziata dei cittadini rispetto a quelli del Nord. Anche l’immondizia è un volto dell’apocalisse.

 
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Omossessuali si nasce o si diventa? - 25/10/2007 di marcopedroni

Post n°38 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

La regione toscana ha recentemente pubblicato una campagna a difesa dell'orientamento sessuale degli individui. Il dibattito si accende sui quotidiani giocando anche, in parte sull'equivoco generatodall'immagine di un neonato con al polso un cartellino che lo identifica come omosessuale appunto,fin dalla nascita. La domanda nasce spontanea: l'orientamento sessuale degli individui è innato, o no? Viviamo fortunatamente ad un livello di civiltà tale per cui è possibile discutere di questo argomento in buona libertà. Cogliendo magari l'occasione per scrollarci di dosso antichi pregiudizi e cercando di dare alla domanda una risposta esclusivamente laica, razionale e scientifica. Viene semplice ragionare per esclusione. Si puo escludere certamente pensare che un qualsiasi orientamento sessuale possa essere considerato una malattia. Trovo condivisibile anche il rigetto dell’idea che possiamo aver avuto in passato che una minoranza avente orientamenti sessuali differenti dalla massa, potesse rappresentare un pericolo per la auto-proclamata ‘normalità’. Sembra che i dati scientifici delle ricerche fatte in proposito non riescano ad avallare pienamente una ipotesi di orientamento sessuale innato. Cito alcuni dati letti sul giornale di oggi:” l’ipotesi secondo cui qualcuno nasce omosessuale è stata formulata nel 1897 da Magnus Hirschfeld ma non è mai stata dimostrata. Il biologo Simon Le Vay, ripetutamente indicato come scopritore del fondamento genetico dell’omosessualità, ora dichiara di «non avere mai asserito questo». Gli studi sui gemelli di Bailey e Pillard, che avrebbero dovuto dare la prova finale che omosessuali si nasce, hanno concluso che questa prova non c’è. I dati più recenti di Dean Hamer, celebrato come lo scopritore del cosiddetto «marcatore omosessuale», sottolineano che oltre il 70% degli omosessuali non presenta tale «marcatore»”. Questo però non esaurisce la nostra curiosità, perché continuiamo a chiederci…E fosse invece solo una predisposizione genetica, unita alle esperienze della vita a generare l’orientamento sessuale? La scienza ad oggi sembra indicare proprio questo: cito “….si può parlare in «casi singoli» di una «predisposizione », ma non di una determinazione genetica comune e irrevocabile. L’educazione e la socializzazione sembrano i fattori cruciali.” In fondo cambia qualcosa? L’orientamento sessuale non è innato ma esiste una predisposizione genetica condizionabile dall’ambiente. Non cambia niente. L’uomo, che non è nocivo agli altri individui, è libero di fare e essere ciò che vuole. Affrontando l’argomento, in fondo, quello che rimane di veramente interessante e formativo per noi è che è giunto il tempo di buttare nel cassonetto un bel numero di pregiudizi che hanno occupato la nostra testa per centinaia di anni. Questa consapevolezza ci rende più liberi.

 
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I vandali dell'energia eolica - 9/10/2007 Vittorio Sgarbi

Post n°37 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

In tempi di grande sfortuna per il governo, sarebbe vile non indicarne i meriti, ove vi siano. E allora si dica che, rispetto alle invettive di Floris e di Santoro, ha ragione Mastella, e che la sua azione disciplinare nei confronti di De Magistris non è una difesa della «casta», aggredita da un giudice eroe, ma è la conseguenza di una inchiesta corretta e fondata su prove certe di magistrati che hanno verificato operato velleitario ed irregolare del loro collega proponendone al ministro il trasferimento. Mastella ha agito su impulso di magistrati che Santoro avrebbe il dovere di rispettare quanto il magistrato che fa passare per vittima. Mettiamoci anche la retorica degli studenti che senza sapere nulla senza conoscere le carte, per pura emotività antipolitica, manifestano in favore dei De Magistris ed abbiamo il quadro completo della più disgustosa demagogia cui si accomoda una invereconda Tv di Stato. Ma non basta.Il paradosso dei tempi, nonostante la diffusa opinione, che, anche a sinistra, gli fa preferire il destro Alemanno, ci impone di stare dalla parte di Alfonso Pecoraro Scanio. Come sarà? Nella bella Italia, e nella bellissima Sicilia, ma non per esempio sulle Dolomiti, difese dalla loro stessa gloria, crescono i fiori del male della più violenta devastazione ambientale, le orride pale eoliche imposte in nome dell’energia pulita in luoghi arcani come Segesta, intorno a Mineo, e con la minaccia di aggredire il territorio più integro d’Italia, intorno a Ragusa, ben peggio delle trivelle nel Val di Noto. Lupi mascherati da agnelli, vandali dall’aspetto civile sotto i marchi di Legambiente e di Greenpeace chiedono di continuare l’azione devastatrice del paesaggio contro due sacrosanti decreti che limitano la diffusione degli impianti eolici.Pecoraro Scanio, meridionale, conosce lo scempio compiuto in Campania e in Molise, ha visto le povere colline intorno a Benevento aggredite da mostruosi falli a elica e ha provveduto con norme illuminate. Il decreto legge 252 del 16 agosto 2006, che, per tutelare gli animali selvatici e le specie a rischio vieta la realizzazione di parchi eolici nelle «zone a protezione speciale» (con un vincolo in più rispetto a tutti gli altri impianti), e il decreto legislativo del 12 settembre 2007 che istituisce, con grande saggezza, la valutazione di impatto ambientale nazionale, a evidente difesa della bella Italia, degli impianti eolici di potenza superiore ai 20 megawatt. Queste disposizioni pensate in difesa dei territori agricoli sono tanto più eccezionali e meritevoli perché sottraggono la competenza su una questione tanto delicata come il paesaggio tutelato dalla Costituzione alla valutazione delle singole regioni, molto più esposte ad accettare compromessi (e danaro) per autorizzare l’inaudita violenza di queste macchine insolenti. Immaginiamo Goethe, Berenshon, Antonio Cederna, Cesare Brandi e quanto hanno amato e difeso il paesaggio italiano, davanti a questa sistematica sottrazione di aura a luoghi incontaminati tanto più se remoti e poco conosciuti nelle regioni più povere soprattutto nel Mezzogiorno.I nomi di questi grandi amici dell’Italia perduta dovrebbero garantire della intelligenza e della bontà delle indicazioni di Pecoraro Scanio, illuminate e rispettose della civiltà e della natura italiane. Contro di loro, contro la loro memoria (e facendoli rivoltare nella tomba) si schierano oggi Walter Canapini, presidente di Greenpeace, e Roberto Della Seta, presidente di Legambiente.Cosa hanno fatto questi ultimi, di degno di memoria, in difesa dell’Italia? Con quale autorità chiedono di sconsacrare, di sfigurare, di distruggere ciò che miracolosamente fino ad oggi è stato preservato? Pecoraro Scanio, con le norme sopra indicate, ha dato un segnale importante contro i particolarismi, gli egoismi, e le speculazioni con l’alibi dell’energia pulita. Qual è invece l’interesse di produttori di pale eoliche nel devastare l’Italia, senza sensibilità estetica e senza scrupoli?

 
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Fondazione come... - 3/9/2007 di marcopedroni

Post n°36 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage
 

Leggevo a fine agosto scorso che Milano si sta dotando di una fondazione detta "Milano Sociale"alla quale contribuirannoil Comune la Camera di Commercio e i sindacati CGIL CISL e UIL. Chiunque troverà l'iniziativa lodevole considerando sontanziale la missione, cioè quella di aiutare: i giovani nella realizzazione in campo professionale, gli over 50 a riqualificarsinel mondo produttivo e i poveri piu in generale. Credo che la via delle fondazioni sia la via giusta da percorrere per completarel'offerta al cittadino delle fasce piu deboli della società, insieme al sistema sanitario e pensionistico pubblico e privato.Nella notizia e nelle interviste che ho ritrovato sui giornali non è stato dato peso sufficiente ad un'elemento essenziale: il metodo disostentamento della fondazione. La fondazione non deve trovare sostentamento soltanto attraverso le sovvenzionipubbliche e private ma deve offrire prodotti e servizi a pagamento al pubblico, altrimenti si ricasca nell'errore assistenzialistico commesso dallo Stato. Pertanto: i giovani si formano, ma nello stesso tempo producono;gli anziani si riqualificano, ma nello stesso tempo producono, i disabili si specializzano, ma nello stesso tempo producono;i poveri si istruiscono o si educano, ma nello stesso tempo producono. In questo modo si realizza quello chechi lavora in una fondazione deve profondamente sentire come la propria missione, ridare cioe dignità e libertà agli individui.Una missione dal sapore umanitario più che caritatevole. Dove forse l'avere dell'individuo precede ma non esclude il dare. E evidente a tutti che la forma giuridica della fondazione non puo essere fatta rientrare nel sistema di piena concorrenza,pertanto la sovvenzione pubblica si rende compensativa e necessaria.Molte ragioni rendono la fondazione non in regime di piena concorrenza nel mercato. Prima fra tutte il fatto di dover prima investire capitaliprima di raccogliere qualcosa. Il dare prima dell' avere, deve essere alla base del rapporto con i suoi assistiti.La tendenza, tra i migliori riqualificati, quindi quelli che raggiungono un buon indice di produttivita, di abbandonare la fondazione per andare a lavorare per il mercato libero dove potra essere meglio retribuito. Questo non deve esimere la fondazione dal ricercare e rinnovatamente trovare la sua collocazione nel mondo della produttivita.

 
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Il paradosso delle aliquote IRPEF - 24/6/2007 di marcopedroni

Post n°35 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

Se mi date un po di attenzione provo a convincervi che è meglio tassare con aliquota unica. Percentuale, ma unica. Dunque, tutti piu o meno, sanno che il nostro sistema di tassazione dei redditi delle persone si basa sul sistema delle aliquote progressive. Cinque aliquote percentuali che aumentano all'aumentare del reddito personale. Precisamente 23% per i redditi piu bassi ,27%, 38%, 41%, 43% per quelli più alti. Al fine di avere una distribuzione del reddito equo uno stato socialista dovrebbe auspicare che ad esempio cinquecento persone guadagnino la stessa cifra e che tutte e cinquecento paghino la stessa quantità di tasse. Invero allo stato questo non conviene. Applicherebbe a questi, una aliquota sola, probabilmente la più bassa. Con il sistema delle aliquote progressive, allo stato risulta economicamente più conveniente la maggior disparità possibile nei redditi in maniera che le tasse incassate siano maggiori. Infatti, i megaredditi di pochi sono assogettati alla aliquota più alta. Per eccesso allo stato conviene che il reddito totale delle cinquecento persone sia concentrato nel maggior numero di persone che possono pagare l'aliquota maggiore e che gli altri siano pure nullatenenti. In breve se due persone guadagnano 50 a testa e lo stato li tassa ognuno al 38% incassa in totale 38 se invece uno guadagna 100 e l'atro niente lo stato incassa con aliquota ad esempio 43% e il 43% di 100 è 43 ben maggiore di 38. Per questo l' aliquota unica è più giusta.

 
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Il danaro del prossimo non fa paura ai ‘capaci’ - 9/6/2007 di marcopedroni

Post n°34 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

La danaro del prossimo è una buona cosa. Prossimo vuole dire vicino. Pensate di avere vicino solo poveri. Sarebbe un pò come andare a vivere a Calcutta. Il danaro di chi si candida a governarci fa ancora meno paura. Spero non siate così poco realisti da non ammettere che il danaro di chi si candida a governarci non possa rappresentare una buona garanzia di disinteressamento. Potreste obiettare che è talmente facile distruggere o farsi distruggere un patrimonio da un giorno alaltro che il miglior modo per mantenerlo è quello di detenere anche il potere politico. E questo è sen⁺altro vero se si pensa : di non essere capaci ad amministrare il proprio danaro, che ci siano affondatori di ricchezza tra i nostri governanti o, peggio per tutti, ci siano errori tra le nostre procedure di tassazione. Ma partiamo da un presupposto di buona fede. Ammettiamo di escludere la sfiducia nelle persone che ci governano e nei meccanismi di imposta. Non resta ch⁥&.essere†capac⁩. Pertanto il danaro a garanzia di una scelta politica disinteressata non è sufficiente. Ci vuole anche la garanzia sulle capacità. Un conto è essere ricchi per truffa, furto o per fresca eredità. Un conto è esserlo per meriti. Dunque il danaro degli†incapac⁩ deve dissolversi a favore della collettività. Il danaro dei†capac⁩ si accresce e porta danaro ai†capac⁩ che gli sono vicini. Gli†incapac⁩, allora qualche timore possono averlo. E se li può consolare, ricordino che il danaro non fa la felicità. Infatti la Beata Suor Maria Teresa , lo scrittore Domenique Lepierre e il regista Roland Joffé, nel film ""La città della gioia"", vogliono essere i testimoni che anche a Calcutta si può vivere...con gioia.

 
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Rimaniamo in Afghanistan - 7/3/2007 di marcopedroni

Post n°33 pubblicato il 17 Novembre 2010 da eurolanguage

La ricerca della pace nel mondo deve essere e credo che sia, un principio condiviso. Quello invece su cui possiamo non concordare tutti è se la guerra possa diventare una opzione necessaria. Lo dimostrano, la situazione di guerra perpetua di cui sembrano soffrire gli Stati Uniti e le posizioni di pacifismo a oltranza di alcuni esponenti dell’estrema sinistra. Ebbene, devono sapere questi ultimi, che li stimo moltissimo per il principio per il quale si battono, ma allo stesso tempo, li esorto a comprendere un principio ancor più forte, se non più alto. Sostenere le missioni militari, anche perché ci conviene. E’ innegabile che l’Afghanistan fosse e forse lo è ancora, un covo di terrorismo internazionale, responsabile delle stragi di New York, Londra e Madrid. E’ altrettanto vero che l’Afghanistan è il più grande produttore del mondo di sostanze stupefacenti. Mentre un tempo, quando si andava a cavallo, i popoli dovevano necessariamente passare da violenti scontri sociali che mietevano milioni di vittime prima di scegliere di maturare regole per vivere in pace con gli altri popoli, oggi l’intervento di meccanismi organizzativi internazionali guidati da paesi civili mettono in grado di velocizzare il processo di civilizzazione evitando così molte vittime. La pace e la civiltà , non senza costi, si possono ‘esportare’. Allo stesso modo, della odiosissima cosiddetta ‘ragion di stato’ questa, odiosissima ‘ragion di civiltà’ ci fa schifo, ma va sostenuta. Io voglio credere, che alla base della mia scelta, ci siano comunque due principi giusti, quello della lotta al terrorismo e quello della lotta al narcotraffico. In linea di principio, mentre trovo percorribile la via del coinvolgimento degli estremismi di pensiero nel contesto di un paese evoluto, questa stessa via, benché di gran lunga la più nobile, non conviene essere applicata ai paesi dove il sottosviluppo è eccessivo e in cui non è stato raggiunto un buon livello di civiltà. Secondo questo percorso logico, che valuta in sostanza se scegliere anche la via armata oltre a quella diplomatica, in alternativa a solo quest’ultima, non sarebbe comprensibile la scelta interventista italiana nella disputa libanese/israeliana, nei cui due paesi, il livello di civiltà è senz’altro superiore a quello afgano.

 
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