la fiaccola

Io e il moscone


Il moscone ed io
 Avevo esagerato con il vino, ma me ne resi conto solo quando mi alzai dalla sedia. Le gambe mi sorressero a fatica, vacillai, mi afferrai al tavolo che tremò sotto il peso del mio corpo. Le caraffe  vuote ondeggiarono,  e tintinnarono urtandosi, il bicchiere si rovesciò e rotolò giù verso il pavimento; non so come riuscii a riprenderlo al volo. Lo posai  sul tavolo con cura esagerata e restai un attimo immobile cercando un equilibrio stabile. La sala iniziò a ruotare. Chiusi gli occhi, ma fu peggio, era come se fossi su una barca nel mare in tempesta. Un'ondata di vino e di succhi gastrici risalì dallo stomaco e mi riempì la bocca, ma riuscii a deglutire e a farla refluire nella laringe. Rimasi immobile trattenendo il respiro, poi quando la stanza smise di girare, con passo strascicato, mi avviai verso il cesso, sul lato opposto della sala. I tavoli erano tutti pieni, la gente parlava forte, rideva e scherzava. Una ridda di voci mi aggredì da ogni lato. Di quella melassa di suoni indistinti, stranamente, riuscivo a percepire chiaramente solo alcune, frasi che sembravano riguardarmi: "E alla fine  la ditta ha chiuso e ci hanno licenziati tutti". "Mia moglie mi ha fatto scrivere dall'avvocato". "Tua madre è ancora in ospedale?". "Coraggio è solo un momento difficile, passerà!". Si, è solo un momento difficile. Lo è da quando sono nato e non passa mai! Ero frastornato, la traversata sembrava non aver fine. Sentivo le ondate di vomito salire come cavalloni  Ad ogni passo ero costretto a fermarmi, a trattenere il respiro, a serrare le mascelle, a stringere le labbra per impedire che quel liquido fetido eruttasse come la lava di un vulcano. Alla fine, dopo un tempo che mi parve infinito, arrivai alla porta del bagno e l'aprii. Non era un bagno, ma una putrida latrina in tono con il resto del locale. Una fioca lampadina appesa a un filo pendeva dal soffitto, i muri scrostati erano ricoperti di graffiti osceni,  sul pavimento un dito di melma giallastra e maleodorante che la segatura non riusciva più ad assorbire. "Per fortuna ho gli scarponi", pensai. Mi feci coraggio, entrai in quella mefitica palude e mi piazzai a gambe larghe davanti alla tazza. Aprii la cerniera dei pantaloni, infilai la destra nelle mutande, lo tirai fuori e lo puntai verso il water. All'interno, su uno schizzo di merda attaccato alla ceramica, c'era uno moscone. Uno di quei grossi mosconi schifosi con le zampe nere e pelose e gli occhi amaranto. "Cazzo!" pensai "A me la merda costringono a mangiarla a palate ogni giorno e tu invece sei lì che te la succhi felice. Che testa di cazzo!" Lo schizzo di urina uscì violento come il getto di una pompa. Lo presi in pieno, non gli diedi scampo. "Muori affogato nel piscio stronzo! Potevi volare su i fiori e hai scelto lo merda. Mille volte testa di cazzo!" Me lo sgrullai con cura e lo rimisi a nanna nelle mutande. Mentre tiravo su la lampo guardai il moscone che galleggiava nella pozza giallastra in fondo alla tazza. "Crepa!" e sputai con disprezzo. Ma mentre sputavo pensai che lui era morto facendo ciò che gli piaceva. Io invece sarei morto prendendolo in culo.  Tirai la catena, tornai al tavolo e mi scolai un altro quartino.  © Dr.emme