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Tosi Massimiliano Stradella “Trattate un po’ come macchine”

Tosi Massimiliano Stradella“Trattate un po’ come macchine”

Tosi Massimiliano Stradella

Baby prostitute Parioli, le ragazzine a verbale: “Trattate un po’ come macchine”
La Procura di Roma ha chiuso il primo filone di inchiesta. Prosegue invece l’indagine sui clienti delle due ragazzine fatte prostituire in un appartamento dei Parioli. Finora sono stati individuati 40 clienti e ne sono indagati venti, dieci di loro hanno chiesto il patteggiamento L’organizzatore principale del giro di pedofilia e prostituzione minorile e l’altro che pure cercava di guadagnarci, ma con meno successo. Il cliente che pagava le ragazzine con la droga e quello che avrebbe tentato un’estorsione, girando immagini degli incontri e minacciando di diffonderle. Il professionista che faceva circolare video pedopornografici e pedo porno, sempre secondo l’accusa. E poi la madre di una delle minorenni, che avrebbe sfruttato la figlia. La procura si prepara a chiedere il rinvio a giudizio per i primi sei indagati nell’inchiesta sulle due adolescenti – 14 e 15 anni nel periodo dei fatti, l’anno scorso – che venivano fatte prostituire ai Parioli.
I pm hanno chiuso questa parte dell’inchiesta, che riguarda anche la cessione di cocaina, mentre continuano a indagare sui clienti.

Per alcuni di questo gruppo di indagati i magistrati potrebbero chiedere il giudizio immediato, secondo quanto si apprende. I sei sono Mirko Ieni, ritenuto il promotore del giro di prostituzione e accusato anche di aver ceduto droga alle due adolescenti; Nunzio Pizzacalla, pure lui accusato di sfruttamento della prostituzione; i clienti Riccardo Sbarra e Marco Galluzzo: al primo si contestano non solo i rapporti con le minorenni, ma anche di aver detenuto e ceduto materiale pedopornografico, Galluzzo è accusato invece di aver dato cocaina in cambio dei rapporti sessuali; un terzo cliente, Mario De Quattro, avrebbe cercato di ottenere 1.500 euro dopo aver filmato un incontro sessuale, minacciando di diffondere il video pedo porno (l’intervento di Ieni lo convinse a desistere) e deve rispondere di tentata estorsione; infine la madre di una delle adolescenti, accusata di prostituzione minorile.

 

“Fingevamo di essere maggiorenni”. A leggere quanto dichiarato delle due ragazzine, dopo gli arresti dell’ottobre scorso, si ricostruisce come siano finite in un giro di prostituzione e di come fingevano di essere maggiorenni pur essendo minorenni. La più piccola delle due voleva guadagnare come l’amica, potersi permettere una indipendenza economica. “La mia amica si sentiva con questo Nunzio (Pizzacalla, il militare arrestato perché ritenuto dagli inquirenti tra i promotori del giro di squillo) – racconta – conosciuto cliccando su una proposta ‘lavorare poco, guadagnare tanto‘: mi disse che si parlava di prostituzione e le dissi ‘ma cosa fai? sei scema?”. Poi la minor enne ammette che “pur essendo confusa, piano piano” vedendo che l’amica “aveva tanti soldi, che poteva spenderli come le pareva, aveva una sua indipendenza dal punto di vista economico, mi sono fatta prendere un po’ anche io da questa cosa, alla fine mi sono fatta un po’ trascinare”. Di fatto così la giovane comincia a prostituirsi. “Dai, se vuoi prova, mi diceva la mia amica, alla fine ci ho provato. Fingevamo di essere maggiorenni. All’inizio erano due o tre clienti al giorno”, spiega ancora in sede di incidente probatorio. Sempre la ragazzina, racconta, come l’amica, forse per farle vincere le resistenze, la portò con lei un giorno ad un incontro. “Lei era sul letto con Sbarra (un cliente indagato) – dice – io ero seduta in poltrona, ero imbarazzatissima”.

“Ci trattava un po’ come macchine”. Le due ragazzine tartassate da Ieni (ora agli arresti domiciliari per sfruttamento), per aumentare i suoi guadagni, spingeva le vittime ad avere più clienti. E le due venivano trattate “come macchine”. Le due minorenni, invece, nel corso dell’incidente probatorio hanno rivelato nuovi dettagli: “Chiedevamo sempre di non avere ragazzi troppo giovani – hanno spiegato le ragazzine – per il fatto che magari li potevamo conoscere. Cioè, tipo di 18, 20 anni no, perché magari li potevamo conoscere. Questa era l’unica nostra preferenza”. Nel corso dell’interrogatorio una delle due ha detto che “qualche cliente si lamentava del fatto che fossimo arrivate in ritardo o non ci fossimo presentate. Perché comunque noi alla fine siamo due ragazzine – ha aggiunto -, è normale non essere sempre puntuali. Magari a volte ci innervosivamo, non eravamo proprio cortesi. E poi eravamo in una situazione sotto pressione. Perché poi Ieni si lamentava del fatto che magari rispondevamo male, andavamo in ritardo quando lui ci chiamava … Noi gli dicevamo di no. Ci pressava“.

Sulla questione della loro età le ragazze, rispondendo al pubblico ministero, hanno spiegato che “ai clienti dicevamo di avere 18 anni. Non erano moltissimi, ma è capitato che qualche cliente dicesse ‘Sei sicura di avere 18 anni? Sembri più grande’. E ancora: “noi più che altro ci mettevamo i tacchi e ci vestivamo più elegante possibile per sembrare più grandi. Quando poi abbiamo visto che ad alcuni clienti non gliene fregava niente, ci vestivamo normali. Ci truccavamo ma in modo normale. Ai clienti dicevamo di avere tra i 18 e i 19 anni”. Clienti che poi facevano anche le recensioni sul sito degli incontri, mettendo i voti alle prestazioni.

Una delle due ragazzine, la più giovane, si spinge a dire: “Mi sentivo come se avessi proprio 18 anni, dentro di me non avevo più 15 anni, facevo come mi pareva”. Chi, secondo le due ragazzine, non si faceva remore a sfruttarle era proprio Ieni: “Lui ci ha pressato e condizionato: ci trattava un po’ come delle macchine“. Secondo le ragazzine “per lui dovevamo esserci sempre, tutti i giorni, non voleva perdere i soldi, ovviamente. Insomma, eravamo il suo stipendio”.

“Svuotavo la testa, non ero felice”. “Svuotavo la testa e dicevo ‘vabbe’, tanto è un’ora, poi è finito’” dice la più giovane a verbale. “Pensavo di non pensarci – ha affermato nel corso dell’incidente probatorio del febbraio scorso – cercavo di mettermi nei panni di una persona che stava facendo un lavoro normale, un qualcosa che non fosse quello”. La ragazzina ammette che le prime volte era molto impaurita. “Che gente mi capita? – si domandava – Chissà se ti violentano? Poi piano piano ho capito che erano tutti deficienti”. “Se andavo a casa del cliente o se lui mi veniva a prendere – racconta ancora – rispondevo alle domande il minimo indispensabile, ma non ero io, cioè ero proprio un’altra persona”. E ancora: “Io non segnavo sull’agenda quelli che venivano anche perché non ero così tanto felice, anzi non ero felice per niente”.

 

Di Tosi Massimiliano Stradella

 

 
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