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« Tosi Massimiliano Strade...Massimiliano Andrea: La Sentenza »

TOSI MASSIMILIANO ASSICURATORE - Una storia di successi

Tosi Massimiliano
LA FOTOGRAFIA ARTISTICA
Di Massimiliano Tosi

 

 

 

«La Fotografia Artistica», venne pubblicata  tra il  1904 e il  1917 in  fascicoli di grande formato.
 
L'iniziativa fu di Annibale Cominetti, giornalista e fotografo. L'ipotesi di proseguire il proprio impegno dipubblicista con un'analoga «Rassegna fotografica» non ebbe però alcun esito. Solo nel 1904 Cominetti riuscì a condurre in porto il progetto di una pubblicazione periodica di analogo argomento ma di differente tenore, che programmaticamente assunse il titolo di «La Fotografia Artistica». Nasceva così un periodico che si proponeva di corrispondere alla necessità, espressa da Edoardo di Sambuy, fotografo torinese e presidente del Comitato promotore della grande Esposizione di Arte Decorativa e Moderna che si tenne a Torino nel 1902, che la fotografia avesse come pubblico «gente più evoluta, quali potrebbero essere i cultori più distinti dell'arte pura», ma non insensibile alle riflessioni sulla specificità del linguaggio fotografico formulate da Pietro Masoero, di cui  non a caso compare in apertura del primo numero il Ritratto di Cesare Schiaparelli, sebbene poi il vercellese non compaia più sulle pagine della rivista: una delle grandi assenze con Vittorio Sella, Enrico Thovez e Guido Rey.
 
Con la pubblicazione de «La Fotografia Artistica», Cominetti divenne uno dei protagonisti dell'Esposizione del 1902, occasione cruciale di crescita e confronto della cultura fotografica torinese e italiana, portata a misurarsi con più di 1300 opere degli autori più innovativi del panorama internazionale, dai pittorialisti francesi come Constant Puyo e Robert Demachy, cui non a caso sarà dedicato un articolo proprio nel primo numero, alla Photo-Secession americana presentata da Alfred Stieglitz, le cui opere suscitano reazioni  contrastanti per l'«esagerazione della ricerca».

Questa nuova «Rivista internazionale illustrata», (dalla stampa fotografica al bromuro alle fotoincisioni, alla similgravure), costituiva l’espressione più rilevante della nuova cultura fotografica italiana, orientata alla propria qualificazione ed al proprio rinnovamento mediante il confronto con la scena internazionale sia artistica che tecnica (si pensi alla costante attenzione per gli sviluppi della fotografia a colori), ma anche più in generale con la cultura artistica e pittorica, alla ricerca di quel «sentimento dell'arte» cui tendeva tutto il movimento pittorialista internazionale, qui richiamato sin dal titolo.
Espressione evidente di questa volontà era la composizione della Commissione Artistica che sovrintenderà almeno formalmente alle scelte lungo tutto l'arco di pubblicazione: essa era composta da Luigi Belli (titolare di un’importante collezione di fotografie, oggi conservate all'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino), Pier Celestino Gilardi (sostituito poi da Andrea Tavernier, analogamente a quanto era accaduto in Accademia), Paolo Gaidano e Luigi Onetti, autore anche della prima serie di copertine.
L'orientamento è evidente: mentre negli USA «Camera Work» presenta le opere delle avanguardie europee, in Italia il raffronto è cercato con la produzione accademica e il compito di esprimere il programma della rivista è affidato a un critico come Ercole Bonardi, che apre con L'arte nella fotografia il primo numero della rivista, in cui è ospitato anche l’intervento del francese Léon Vidal, tra i personaggi più noti del panorama internazionale, il quale coerentemente sostiene che «évidemment il n’ya qu’un art, et peut-être est-ce a tort qu’on a fait l’usage des mots photographie artistique».
Ecco allora comparire e divenire sempre più frequenti gli articoli dedicati alla letteratura e alla musica, ma anche le poesie di Arturo Foà e di Arturo Graf, in un progetto aperto «a tutte le forme della vita intellettuale» poiché–nelle parole di Cominetti (1909)– «Noi vogliamo che la nostra arte non si apparti dalle altre, ma collabori con esse in una viva ed armonica operosità».

Tra le firme dei collaboratori più assidui troviamo Ernesto Ferrettini, consorte della già citata Emilia Rossotti, che nel 1912 recensisce dettagliatamente la X Biennale di Venezia, e tre anni più tardi affronterà  L’arte di Davide Calandra; Giulio Cesare Barbavara che sempre nel 1912 (dicembre) presenta l’opera di Luigi Onetti, Il lavoro, parte centrale del trittico dedicato a La Vita, per il salone centrale della Casa del Popolo, significativamente confrontata sulla pagina precedente con un’immagine di identico titolo di Cesare Schiaparelli, mentre nel 1915 pubblicherà due articoli rispettivamente dedicati a Luigi Bolongaro, di Stresa, da poco deceduto a Pozzuoli e ad Antonio  Alice. E ancora troviamo Crescentino Caselli che pubblica nel 1916 un lungo articolo dedicato a Paolo Gaidano, con ben nove riproduzioni di opere.  Alcuni mesi dopo la rassegna critica si trasforma in cronaca con l’articolo siglato M.G.A.  dedicato alla pittura religiosa di  Enrico Reffo, e in particolare al ciclo di opere realizzate per la chiesa torinese di San Dalmazzo, terminato pochi giorni prima, il 16 aprile 1916.

Il riconoscimento della necessità di un'educazione artistica si traduce non solo nei dettagliatissimi resoconti delle maggiori esposizioni artistiche (dalle Biennali veneziane alle Quadriennali torinesi), ma anche con la sistematica pubblicazione di profili critici di pittori e scultori, anche minori, specialmente piemontesi; ciò non solo differenzia «La Fotografia Artistica» dalle altre riviste italiane, ma la caratterizza quale veicolo di diffusione e conoscenza specifica della produzione pittorica contemporanea al di fuori dei canali più specialistici e settoriali. Ulteriore conferma dell’opera di mediazione svolta dalla rivista sono le interviste condotte nel 1912 dal giovane Anton Giulio Bragaglia a un ristretto gruppo di personaggi che comprende un pittore (Giulio Aristide Sartorio), uno scultore (Ernesto Biondi) un maestro della critica d’arte come Adolfo Venturi, ma un solo fotografo (Gustavo Bonaventura). Ancora nel 1914 il Direttore rivendicava l’impegno svolto in tal senso con la pubblicazione di «Centinaia di riproduzioni di quadri e di statue; monografie su pittori e scultori pervenuti in grande fama; scritti toccanti questioni e problemi artistici furono gradito argomento per dimostrare quella completa fusione di intendimenti rappresentata dalla Rivista tra l’arte pura ed una scienza, che è ormai, alla sua volta, un'arte», auspicando che tale apertura critica potesse essere accolta anche dalle grandi esposizioni artistiche come le Biennali veneziane.
La conferma viene proprio dalle pagine della rivista, che ospitano opere di Gilardi (in memoriam, 1905), un’oleografica Pastorella di Michetti (1906) o una Sera d’agosto di Beppe Ciardi, riprodotta in tricromia (1912), opera che ripropone un tema (mucche al pascolo) che migrava ormai da alcuni decenni senza soluzioni di continuità dalla pittura alla fotografia e ritorno. Ma, sempre a titolo esemplificativo, vanno segnalati anche i puntuali interventi di Rina Maria Pierazzi, che nel 1911 commenta la Prima Esposizione internazionale femminile di Belle Arti, tenutasi a Torino dal 4 dicembre 1910 al 10 gennaio successivo, con riproduzioni di opere delle torinesi Rosetta Cassin (Novembre) e Rosa Catella (Souvenir di Tunisi), e nel  gennaio 1915  firma un articolo dedicato a Emilia Ferrettini Rossotti, corredato dalla riproduzione di sei dipinti.
 
Pur mantenendosi lontana da ogni  «forma di rivendicazione femminile», la rivista ospiterà ancora nel maggio 1914 un lungo articolo di Annibale Cominetti dedicato pedo torinese Adelaide Frassati Ametis, di cui si pubblicano otto opere, tutte descritte rievocando quel «sentimento del vero» che costituisce il valore estetico qualificante: «Qualche nuvolone cupo erra ancora in alto, in alto; o s’indugia sovra i monti lontani. Forse brontola ancora il tuono, come una sorda ed impotente minaccia; forse qualche goccia di pioggia s'attarda, quasi compiacendosi delle iridescenze, di cui la imperla il sole», ma consentendosi anche un porno di autoironia: «Sul primo innanzi "passa la lenta maestà dei buoi" (Veramente nel quadro son mucche – ricorda l’autore - ma una citazione carducciana fa sempre bene in un articolo di rivista).»

Dopo la chiusura della rivista (gennaio-febbraio 1917) Cominetti parteciperà ancora alla vita fotografica torinese e italiana come membro di commissioni e di giurie della grande esposizione del 1923 dedicata a L'arte nella fotografia.
Prima Esposizione Internazionale di Fotografia Ottica e Cinematografia, aperta al Palazzo del Giornale al Valentino per onorare il terzo  centenario della morte di Giovanni Battista Della Porta (1535-1615) su iniziativa della Camera di Commercio Torinese. Esempio complesso di esposizione fotografica, strutturalmente distante dai Salon che seguiranno per l’articolazione della materia, che qui prevede sezioni relative a tutti i settori di applicazione della fotografia, la manifestazione riscuote un grande successo di pubblico, segnato da più di 200.000 visitatori in due mesi. Due anni più tardi gli sarà affidata la direzione de «Il Fotografo», rivista già diretta da Felice Baratelli, redattore Celeste Ferdinando Scavini, che aveva sede a Torino, in via Cernaia 18 (poi in via Accademia Albertina, 1) ed era verosimilmente finanziata dalla Bayer, come sembrano dimostrare i diversi e insistiti richiami ai prodotti dell’industria tedesca. Cominetti riassume il ruolo di direttore di un periodico fotografico dopo l’importante esperienza de «La Fotografia Artistica», ma senza ripetere il successo dell’impresa precedente. Così nel 1932 la sua morte non sarà ricordata neppure sulle pagine del torinese «Corriere Fotografico», per molti versi solo erede di quel generoso e imperfetto tentativo di avviare una prima riflessione italiana sulla natura della fotografia.
 
Massimiliano Andrea Tosi

 

 

 
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