Massimo Coppa

Il Coronavirus e l'anarchia in Italia: le Regioni contano più dello Stato...


IL CORONAVIRUS E L’ANARCHIA IN ITALIA: LE REGIONI CONTANO PIU’ DELLO STATO...
Quello che sta succedendo negli ultimi giorni e nelle ultime ore rappresenta plasticamente la confusione istituzionale che regna ormai in Italia: una confusione talmente grave da rasentare l’anarchia. Ci voleva l’emergenza Coronavirus per farci comprendere definitivamente che il nostro Paese è una nave in tempesta, ma senza nocchiero. Chiunque abbia una minima conoscenza del diritto sa che le norme giuridiche sono di vario tipo ed ordinate gerarchicamente fra loro: alcuni precetti, cioè, devono essere fatti con un certo tipo di norma, e non un altro, e fra loro ci sono norme le quali, se contraddette da altre di rango inferiore, vincono su queste. Questa premessa era per dire che, fedele ancora alle mie nozioni universitarie, mi facevo un’amara risata quando il presidente della Regione Campania, De Luca, mi diceva che non potevo nemmeno fare trekking o correre, seppur da solo e in aperta campagna, quando invece il governo lo consente. “Certamente la bestialità giuridica di una Regione che pensa di contare più dello Stato sarà subito stigmatizzata dal governo e castigata dagli organi giurisdizionali”, mi ripetevo. E invece? Il governo non ha mosso un dito, facendosi addirittura dettare l’agenda dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Campania! Non solo: il TAR campano, investito della questione da un cittadino, non ha nemmeno concesso la sospensiva! Qualche giorno fa, in conferenza stampa, il premier Conte ha annunciato che con le Regioni c’è un dialogo istituzionale aperto per comporre tutte le divergenze giuridiche. In pratica, il governo ha ammesso di non contare nulla! Questo desolante scenario, che istiga le Regioni all’anarchia, deriva da quella maledetta riforma del Titolo V della Costituzione, relativo appunto ai rapporti fra Stato e Regioni in Italia, la quale non ha fatto altro che aprire gravissimi contrasti fra l’ente locale e l’autorità centrale. Fu approvata dal centrosinistra nel 2001. Come se non bastasse, sottoposta a referendum confermativo, fu avallata da quel popolo bue degli italiani, i quali evidentemente, tanto per cambiare, non avevano capito niente. Anche se, in verità, solo in 34 su 100 andarono a votare. Da allora il risultato consiste in un’incertezza perpetua su diritti, doveri e poteri delle Regioni, con frequenti ricorsi che arrivano alla Corte Costituzionale. Il meccanismo precedente a questa sciagurata riforma il quale, benché suscettibile di miglioramenti, bene o male funzionava, dal 2001 si è inceppato definitivamente. Col caso del Coronavirus vediamo emanare, ed essere validi, decreti ed ordinanze restrittivi delle libertà personali in maniera superiore a quanto stabilito dal governo. E chi li emana? I presidenti di Regione, erroneamente chiamati Governatori (non sono a capo di uno Stato federale!), giusto per vellicare ulteriormente il loro ego già ipertrofico. Il cittadino viene quindi bombardato di prescrizioni: tante e pure contraddittorie. Chi dovrà ascoltare? Ormai l’esperienza di questi giorni mi ha fatto capire che ci conviene ascoltare l’ente locale più vicino a noi. Quindi, la Regione. In pratica, dalle mie parti, De Luca è diventato una specie di Duce che spadroneggia, oltretutto applaudito dai sondaggi (all’italiano l’uomo forte piace sempre): e Roma, più lontana che mai, non può farci proprio niente. Infatti ieri sera, con l’ennesimo editto, De Luca ha deciso che la Campania prorogherà il “coprifuoco” fino alla metà di aprile: unica regione italiana! Anzi, per puro gusto del paradosso, dirò di più: non solo dobbiamo fare attenzione a cosa dice la Regione, ma anche a cosa decida il Comune. Vuoi vedere che il sindaco conta anche più della Regione? Se poi abbiamo un comitato circoscrizionale di quartiere, cerchiamo di sapere se abbia deciso qualcosa; perché va a finire che conta più del consiglio comunale! Questa è la situazione a cui siamo ridotti. Vergognatevi tutti. Vergogniamoci tutti.