Massimo Coppa

Sopravvivere al virus per poi morire di fame?


SOPRAVVIVERE AL VIRUS PER POI MORIRE DI FAME? 
Lo penso già da settimane, ma ora è giunto il momento di parlarne: ora, perché finalmente i dati ci dicono che abbiamo imboccato la fase calante dell’epidemia da Coronavirus. A cosa mi riferisco? Alla paralisi dell’economia. Da settimane, di fronte alle misure draconiane del governo e delle Regioni, a questa corsa insensata a chi spara il divieto più grosso e più articolato, in questa confusione terroristica che crea una psicosi al cui confronto la peste del 1300 sembra un raffreddore da fieno, io mi domando: vale la pena di sopravvivere fisicamente per poi morire di fame? Perché è questo che potrebbe accadere se il blocco di ogni attività continuerà ad andare avanti. Il tracollo delle Borse mondiali avuto nei primi giorni ha sbriciolato ogni record precedente, sia per velocità che per intensità: superiore addirittura alla famigerata Grande Depressione del 1929. Quindi, l’economia finanziaria è già al tappeto. Ma la differenza dalle altre volte, in una misura che probabilmente non ha precedenti, è che anche l’economia reale si è fermata e non metaforicamente: è proprio ferma, immobile, bloccata, paralizzata. E non può provare a riprendersi, perché viene minacciata con i mitra. Cerco di spiegarmi meglio. Molti dei mali dell’economia contemporanea vengono dai castelli finanziari che si costruiscono su di essa e che poi, crollando, trascinano tutto con sé. Si parla, perciò, di un’economia cartacea (oggi si dice digitale), sostanzialmente scollegata da quella reale, e che fa sembrare tutto nero quando nero non è. Si bruciano migliaia di miliardi di euro o dollari di valore, ma questo accade perché le azioni si deprezzano, anche perché c’è la corsa insensata a vendere. A volte accade che anche l’economia reale, concreta, sia in affanno: è la stagnazione, se non la recessione, e quindi il crollo dei corsi borsistici è la naturale conseguenza di un’effettiva situazione negativa, non è solo l’esito di speculazioni andate troppo oltre. Stavolta succede una cosa nuova, probabilmente senza precedenti: le economie di tutto il mondo (anche quella tedesca, anche la locomotiva americana) sono ferme. Ferme letteralmente: le fabbriche devono stare chiuse, la logistica deve stare immobile, i trasporti azzerati. Non ci si può muovere, non ci si può mischiare, non si può interagire da vicino, “perché altrimenti si prende il virus”. Ma se tutto è fermo, non c’è alcuna speranza che le cose riprendano il loro verso. Nessun’azione sarà possibile o utile: il governo potrà darmi un sussidio, ma non potrò spenderlo, perché non potrò comprare niente, e quindi non aiuterò le imprese produttrici, che falliranno e licenzieranno. I negozi sono chiusi, e le cose acquistate on line non te le portano a casa. Sì, perché sta succedendo anche questo, specialmente se la spedizione viaggia con le ineffabili Poste Italiane. Ciò che impedisce ad un’economia di sprofondare è la presenza di un minimo di attività che non può mai fermarsi. Ma ora mi sembra che stiamo facendo una specie di gara a bloccare veramente tutto. Guardiamoci attorno: nei supermercati e nei negozi di alimentari c’è ancora roba da mangiare; ma già i detergenti ed i disinfettanti scarseggiano, a dispetto dell’enorme domanda. Se voglio comprare una cosa su Internet, potrà accadere che non la riceverò (mi è successo), per cui desisto: altro commercio che va a morire. I negozi fisici sono chiusi. Potrei mettere un po’ di benzina nell’auto, ma perché, se non posso andare da nessuna parte? I trasporti sono al collasso: treni, traghetti, bus procedono al minimo, con i bilanci delle aziende che li gestiscono che vanno in profondo rosso ad ogni giorno che passa. Ristoranti, bar e pasticcerie sono chiusi, gli alberghi devono ridurre a quasi zero l’attività; persino i balneari si stanno lamentando in prospettiva. I lavori pubblici sono fermi: avranno voglia, le infrastrutture, di deteriorarsi, tanto non si può fare manutenzione. Si può solo intervenire se stanno crollando. È tutto un indotto che si azzera. Il settore industriale è bloccato quasi totalmente; il settore turistico (che in Italia è vitale) è al disastro; l’agricoltura stenta, perché non ci si può assembrare per raccogliere frutta e ortaggi, e allora marciranno. Il commercio è sostanzialmente vietato. Studi professionali, legali, tecnici, sono chiusi. Ricapitolando: industria pesante, industria leggera, agricoltura, terziario. Tutto è bloccato. Mi dite voi senza questi fondamentali come può sopravvivere un’economia? E per ogni attività ferma c’è un universo, alle spalle, fatto di indotti che a loro volta si bloccano. Per questo, pur essendo io profondamente anticapitalista, sono d’accordo con la richiesta degli imprenditori settentrionali di riprendere le attività. Non è per lucro, ma proprio per evitare di appendere il cartello di “fallimento” al sistema Italia.Neanche la ricetta keynesiana della spesa pubblica, nella quale credo moltissimo, stavolta ci salverà. Perché la spesa pubblica serve a stimolare la domanda per consumi ed investimenti: ma a che serve stimolarla, se poi non può trovare soddisfazione perché tutto deve restare inesorabilmente fermo e geograficamente confinato?!