Massimo Coppa

Il "New York Times" on line torna a pagamento


Una decisione che si inserisce nella problematicadella qualità dell’informazione su Internet e nel declinodei giornali cartaceiIL “NEW YORK TIMES” ON LINE TORNA A PAGAMENTO
La pacchia sta per finire un’altra volta. Nella vexata quaestio della gratuità o meno dei contenuti su Internet, specie di quelli informativi, il “New York Times” (quello che era considerato il quotidiano più famoso e prestigioso del mondo) ha deciso di far pagare la lettura degli articoli pubblicati sul suo sito Internet.In realtà non è una novità. Forse qualcuno ricorderà che, qualche anno addietro, questa strategia era stata già tentata, con risultati imbarazzanti: pochissimi avevano deciso di aprire il portafoglio per accedere agli articoli on line.Ma la crisi, economica e dell’editoria, continua e, alla fine, gli strateghi del marketing hanno deciso di riprovarci.Il fatto è clamoroso, innanzitutto per l’infausto precedente, e poi perché va ad inserirsi in quello che è ormai l’incubo di tutti i quotidiani cartacei dei Paesi avanzati: resistere, arrendersi, cambiare, scomparire? E poi: far pagare o puntare sulla pubblicità?La materia è terribilmente scivolosa e nessuno ha la ricetta definitiva: si procede a tentoni. Un solo dato è certo: tutti i giornali cartacei, dagli Stati Uniti all’Europa, ed anche in Italia, sono in crisi. Le copie vendute in edicola calano costantemente da anni e non c’è iniziativa editoriale che le risollevi. Al contrario, i siti di informazione on line vanno fortissimo: ma quanti sono disposti a pagare per continuare ad usufruirne? E’ proprio questo il punto: il lettore internettiano vuole davvero un’informazione precisa e puntuale? Diciamo meglio: accetta di pagare per una buona informazione professionale? O si accontenta di quel che passa il convento (e quindi notizie approssimative, non verificate, campate in aria e magari scritte pure male), basta che sia gratis?Su questo confine si gioca non solo il destino dei giornali intesi come oggetti, ma del concetto stesso di informazione fatta da professionisti: un mondo messo già a dura prova dal “giornalismo diffuso”, quello che tutti credono di essere in grado di fare solo perché, con un cellulare munito di obiettivo, hanno ripreso un evento capitato sotto i propri occhi.Il Washington Post ed il Financial Times fanno pagare l’edizione on line da tempo, e l’esperimento sembra avere avuto successo: ma quella è informazione economica e finanziaria di altissima qualità, un bagaglio di conoscenze che viene usato per fare soldi e far fruttare, o conservare, i propri investimenti.Ma in quanti accetteranno di mettere mano alla carta di credito pur di leggere una notizia di politica o di cronaca che, anche se abborracciata ed approssimativa, potranno trovare altrove?