la stronza di turno

Lucilla


 Finalmente poteva lasciarsi andare sulla  poltrona  preferita, posizionata  davanti alla grande porta finestra affacciata sul parco.  Soddisfatta di se sorrideva, era riuscita, tirando le somme della sua vita, ad ottenere  tutto ciò per cui aveva lavorato duramente. Sette matrimoni, cinque divorzi e due vedovanze, da cui aveva ereditato l'agiatezza, cinque meravigliosi figli, tre maschi e due femmine, sei nimpoti di cui uno prete.  Quel giorno compiva ottanta anni.  Come per una diciottenne aveva predisposto una festa sfarzosa. Più di cento invitati erano intervenuti, non aveva risparmiato sul buffet,  preparato da uno chef stellato.  Fiumi di champagne fatto venire da una pregiata cantina francese.  Un'orchestra di dieci elementi fece ballare fino a tarda notte anche il più pigro tra i partecipanti.  Si tolse le scarpe  chiudendo gli occhi. Dalla finestra entrava l'aria dolce di fine giugno, inebriata di gelsomino. Il cielo lentamente si stava illuminando di una piccola luce rossastra, l'alba.Cosa avrebbe dato per un caffè bollente. Ma quel cielo dipinto la teneva fissa ad ammirarlo. Sentiva una pace interiore infinita, beata, questo era l'esatto stato d'animo. Non aveva mai avuto niente da rimproverarsi nella vita. La sua condotta era sempre stata ineccepibile, aveva educato i figli nelle migliori scuole, ed ora ognuno di loro godevano di  un incarico professionale importante. Giulio era deputato al parlamento, Alberto un prestigioso cardiochirurgo, Felice musicista come quel pazzo del padre. Teresa e Laura sposate a due potenti industriali.  Per quanto riguardava il personale della villa non aveva mai abusato della loro pazienza nè presteso di essere chiamata Signora, semplicemente col suo nome, Lucilla.  Ora il bisogno del caffè si faceva urgente. Accese la lampada accanto alla poltrona, l'orologio segnava le cinque, troppo presto per svegliare Annina per un semplice caffè, scenderò in cucina a prepararlo. Con questo pensiero, scese le scale a piedi nudi, l'abito di lamè rosso accompagnava i movimenti frusciando come respiro lieve. Nella grande cucina accese la luce, prese la moca il barattolo del caffè una volta aperto ci tuffò il naso inebriandosi di quell'aroma ristoratore. Accese il fornello, ed aspetto paziente che la moca facesse il suo dovere. Scelse la tazza con piattino di porcellana, trovò dei biscotti semplici preparati da Annetta, grande cuoca, penso sgranocchiandone uno. La moca sbuffando, eruttò lentamente il suo nettare, lo versò, senza zucchero, così le era sempre piaciuto. Si sedette al grande tavolo  posto al centro della cucina, guardando fuori della finestra, il muro di cinta dove alcune erbacce aveva attecchito e tra queste anche alcune piccole piantine di bocche di leone. Godeva di quel silenzio, della luce rosata del mattino, degli odori caldi provenienti dal giardino. Avrebbe anche pututo morire in quel momento, sarebbe stato il più adatto. Fu proprio in quell'istante che avvertì una strana fitta alle spalle, come una puntura di insetto, tento di  voltarsi senza riuscirci. Qualcosa la bloccava alle sedia, la tazzina le scivolò dalla mano rotolonado sul tavolo come una trottola. Avvertì un respiro affannato alle spalle, e la fitta farsi sempre più penetrante e dolorosa. Provò ancora a voltarsi, ma questa volta percepì distintamente una mano che la spingeva in basso sul tavolo. Un rivolo di sangue colò lentamente sulle sue mani.