Amore cristiano

NOI CRISTIANI: RATTRISTATI MA GIOIOSI!


(Riflessioni dalla I Lettera di Pietro - n. 5) Robert Leighton, 1611-1684). RATTRISTATI, MA GIOIOSI "A motivo di questo voi gioite anche se al presente, per un po' di tempo, dovete essere afflitti da varie prove" (I Pietro 1:6). La medesima causa non può produrre nell’anima nostra sentimenti opposti. E siccome noi sperimentiamo ambedue, tristezza e gioia, l’Apostolo risale alla sorgente dell’una e dell’altra, per mostrarci quale di esse ha più potenti motivi e deve per conseguenza essere predominante in colui che le considera sotto il loro vero aspetto. Il suo scopo è di risvegliare e accrescere nei suoi fratelli afflitti la gioia spirituale; e come egli ne ha esposte le sorgenti profonde nei versetti precedenti, ora le applica e le oppone alle loro sofferenze. Alcuni traduttori spiegano questa frase con l’imperativo: Giubilate! L’intenzione è la stessa; ma mi sembra che la nostra versione corrisponda meglio allo scopo di Pietro. La gioia non si comanda; ma nel rammentare ai cristiani che sono afflitti la santa allegrezza che hanno già sperimentato o che ancora sperimentano, il linguaggio dell’Apostolo è più persuasivo. In tal modo egli indica quanto sia giusto e ragionevole, che le cose di cui ha parlato loro li rendano felici. E, certamente, se noi consideriamo la fede la sorgente di tale allegrezza, noi dovremo sentirla in una misura che assorbirà i nostri dolori, per quanto grandi e diverse siano le cause dei dolori. Ascoltiamo dunque l’Apostolo che ci mostra la sorgente delle acque amare e delle acque dolci, della tristezza e della gioia. La prima cosa che ci colpisce è che Pietro attribuisce la tristezza a “varie prove”. Le virtù che la grazia divina crea nell’ uomo, non possono acquistarsi né con lo studio né con gli sforzi né con alcun esercizio dei propri mezzi; esse scendono direttamente dal cielo nel suo cuore. Ma esse gli sono date perché le metta in pratica nelle diverse posizioni e occorrenze della vita umana; ed in tal modo si sviluppano e si fortificano. Ora, queste virtù della grazia trovano in ogni istante, nella loro applicazione alla vita, alcune difficoltà e opposizioni violente: ciò che la Scrittura comprende sotto il termine generale di “tentazioni” o “prove”. Non è necessario enumerare i vari significati di questa parola, di richiamare in quale senso è detto che Dio “tenta” l’uomo, in qual altro che non tenta nessuno: come Satana tenta gli uomini, come gli uomini si tentano a vicenda, e ciascuno se stesso in particolare. Tutti questi fatti sono espressi con questa medesima parola in accettazioni diverse. Ma, di più, il cristiano può trovare la tentazione nel suo proprio stato, nelle circostanze della sua vita, ovvero nelle cose. E benché niente sia nei termini del nostro versetto che non possa essere applicato a tutti i generi di “tentazioni” o “prove” alle quali è tanto esposta la persona credente, io penso nondimeno che qui si tratti delle ultime che abbiamo indicato, vale a dire delle afflizioni e dei dolori ai quali erano in preda gli “stranieri dispersi”. In questo senso sono prese le parole di Giacomo 1:2: “Considerate una grande gioia, fratelli miei, quando vi trovate di fronte a prove di vario genere”. Queste afflizioni sono chiamate “tentazioni” o “prove”, perché forniscono al cristiano la certezza speciale ed evidente dello Spirito da cui viene sostenuto, come pure della realtà e della misura della grazia che è in lui. Se egli soccombe, ha un’ulteriore riprova della sua debolezza e miseria: si umilia e cerca in Dio più fedeltà e forza per il prossimo combattimento. Se invece esce vittorioso dalla lotta, perché assistito dalla grazia divina, il suo trionfo e la sua forza tornano a lode di Colui dal quale ha ricevuto ogni cosa. L’uomo che non si è mai trovato in presenza di grandi prove, che vengono superate solo attraverso la fede, il coraggio e la pazienza, non solo è sconosciuto ai suoi fratelli, ma anche a se stesso. Come puoi sapere di possedere la calma di spirito, che è il carattere del vero cristiano, finché non sei stato oggetto di quelle contraddizioni o vessazioni che provocano l’impazienza e l’ira? Se, esposto a questa tentazione, rimani calmo, senza irritarti contro gli uomini e contro la Provvidenza, puoi riscontrare che la grazia di Dio sta operando realmente in te, e non sei simile a quelle acque calme e limpide in superficie, ma che, quando si toccano, s’intorbidiscono subito a causa di tutto il fango che giace sul fondo! Chi mai ti dice che, sottoposto a povertà, disgrazie, persecuzioni e patimenti, rimarrai non solo sottomesso alla volontà di Dio, ma anche sereno e riconoscente? Dici di averci pensato, di esserti preparato con le più ferme risoluzioni, di aver preventivato senza fremere le peggiori eventualità. Questo va bene ed è lodevole; ma sei sicuro che le tue immaginate vittorie non resterebbero tali dopo gli eventi, e che quelli che ti avevano sentito parlare con tale fiducia non abbiano a dire di te quello che un critico d’arte disse degli Ateniesi: Fortes in tabula, ovvero: “Appaiono forti nei loro quadri”? Ah! Colui che ci ha creato sa quanto il nostro cuore è pieno di furberie e d’inganni. Egli conosce la misura della forza o della debolezza di ognuno di noi, e distribuisce le grazie in proporzione. E mentre noi conosciamo l’uso della prova, Egli condiscende a parlare a questo proposito la lingua degli uomini, e a dire a colui che vinse il più terribile combattimento: “Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo figlio” (Gen. 22:12). Dio si compiace di chiamare i suoi figli più fedeli a combattere le tentazioni più forti, a portare le croci più pesanti, come un generale d’armata manda i suoi soldati scelti nella mischia più intensa. In questo modo Egli prova al mondo che in mezzo a tutta la falsa moneta che ha corso nel cosiddetto “cristianesimo”, c’è anche l’oro buono che ne fa la ricchezza. Quando, oltre a questi uomini che del vangelo hanno soltanto qualche frase in bocca, se ne vedono altri che rifuggono la mondanità, sopportano senza abbattersi le più crude afflizioni, i più estremi dolori di questa vita, affrontano la morte sotto le più crudeli forme, questo è uno spettacolo degno degli angeli e per il mondo una incontrovertibile dimostrazione della grazia, per la quale dei deboli peccatori riportano eroiche vittorie. E non si tratta di un solo combattimento, perché l’Apostolo parla di “varie prove”: prove del corpo, sofferenze della vita, dolori del cuore, lotte dell’anima, strazi della coscienza; questa è spesso la sorte che tocca ai più cari figli di Dio. Sospirava il Salmista: “Un abisso chiama un altro abisso, al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me” (Sal 42:7). Non c’è dunque da meravigliarsi se l’Apostolo dica ai suoi fratelli: “dovete essere afflitti”. Egli non biasima questa tristezza; cerca solamente di moderarla. La grazia non distrugge la natura, ma vi aggiunge una vita più eccellente, e non conosce quella costante orgogliosa insensibilità che si sforza di non sentire il dolore. Questo significherebbe avere poca attenzione alla riprensione del Signore, e il vangelo ce lo vieta, come pure perdersi d’animo quando siamo da Lui ripresi (Ebr 12:5). "Fate attenzione alla verga e a colui che l'ha designata" (Mic 6:9). Senza l’afflizione non si impara la pazienza. È nella prova che impariamo a vedere la mano di Dio e a sottometterci ad essa: “Allontana da me il tuo flagello; io vengo meno sotto i colpi della tua mano” (Sal 39:10). Ma questa tristezza è addolcita, e come rinchiusa in giusti limiti da queste due considerazioni: essa dura “un po’ di tempo”, ed è necessaria “al presente”. “Per un po’ di tempo”, dice Pietro. Tale non è il sentimento di colui che soffre; “un po’ di tempo” ci pare lungo perché dimentichiamo che esiste l’eternità. Cosa mai sono, al pensiero di un’eternità senza fine, tutti gli affanni e i godimenti della presente vita? La prosperità stessa dura un momento. Il ricco di cui si racconta nel vangelo di Luca parlava di “molti anni”. Ma che cosa gli disse Dio? “Stolto, questa stessa notte l'anima tua ti sarà ridomandata e di chi saranno le cose che tu hai preparato?" (Luca 12:20). Ecco, il termine più lungo che gli è accordato. I “molti anni” sono ridotti ad un momento, e se questi sono ripieni di prove e di dolori, si abbreviamo, facendoci raggiungere prima il fine. Se quindi l’Apostolo ci dichiara che la prova è necessaria, non ci sottometteremo noi? Ah! Non è cosa facile distruggere in noi tutte le follie del peccato e l’amore del mondo! Tuttavia Dio richiede ai suoi figli di non amare il mondo né le cose nel mondo (I Giov 2:15), sotto pena di rimanere esclusi dal suo amore, perché questi due amori si combattono necessariamente. Da ciò la necessità delle prove. Eh! Non ci accade forse di essere spesso avvolti nei lacci di questo mondo, nonostante siamo sottoposti a molte afflizioni? Quante volte, allorché Dio ci ha reso amaro un godimento terrestre, ne cerchiamo un altro immediatamente! Cacciata fuori da una porta, la corruzione del nostro cuore torna per cento altre, fin quando, chiusoci ogni passaggio per mezzo dell’afflizione, ci rifuggiamo verso la Sorgente delle acque vive. Comprendiamo allora questa parola: “Siamo corretti dal Signore, affinché non siamo condannati con il mondo” (I Cor 11:32). Poi, dopo queste crude esperienze, sopraggiunge l’orgoglio spirituale, o una sicurezza carnale, che forza il nostro Dio a raddoppiare i suoi colpi, dopo averci dato qualche riposo. Sappiamo perciò che a motivo della nostra debolezza “dobbiamo essere afflitti da varie prove”. E quanto alla durata, alla misura e alla natura di questi rimedi cosi amari per la nostra natura, lasciamoli alle cure del celeste Medico, il quale conosce le nostre malattie e affligge soltanto come fa un padre pieno di tenerezza per il suo figlio. Ma non tutto è dolore nella vita del cristiano. Molto più dell’uomo del mondo, egli ha le sue allegrezze; e queste sono tanto più pure e dolci quanto più la Sorgente non è terrestre. “A motivo di questo voi gioite”, dice l’Apostolo. Cosa richiama questa parola? Qual è la fonte di questa allegrezza? A qualunque parte del periodo precedente si riferisca il pronome relativo “questo”, esso certamente indica un’abbondante sorgente di allegrezza. È naturale infatti considerarlo come riepilogo di tutte le verità sulle quali si è soffermato il pensiero dell’Apostolo. Ecco, dice loro, “a motivo di questo voi gioite”, perché siate stati “rigenerati per una eredità incorruttibile”, che anticipatamente possedete, perché è “conservata nei cieli per voi”, e voi per questa eredità (1:3-5). Infine: benché tra voi e questo beato possesso vi siano deserti, montagne e mari, voi siete nondimeno sicuri di giungervi sani e salvi. Oh! Qual motivo di allegrezza! Quando il nostro cuore trova amarezza e dolore in qualche oggetto, esso volge naturalmente i suoi pensieri e le sue speranze ad un altro. Ma – oh follia! – anche quest’altro oggetto diverrà ben presto una fonte di dispiacere e di tormento. Il cristiano, invece, pazzo agli occhi del mondo, è infinitamente benedetto per la saggezza della sua scelta. Innalzandosi al di sopra di ciò che è mutabile, passa e perisce, egli getta la sua ancora nell’interno del velo (Ebrei 6:19). Colui in cui trova la sua letizia, infatti, è veramente una sorgente inalterabile di letizia. Quand’anche perdesse tutto ciò che possiede o, per parlare come il salmista, quand’anche “la terra si dovesse spostare e se i monti fossero gettati nel mezzo del mare”, non temeremo (Sal 46:2). E quando noi saremo messi in possesso di questa ricca e perfetta eredità, allora le nostre allegrezze non si conteranno più come quaggiù, per giorni e ore così brevi, perché non avranno altro termine che l’eternità. Allora pure il nostro amore, che è divino, tra tanti oggetti caduchi, sarà riunito intero sopra un solo Dio, la cui presenza riempirà l’anima nostra di delizie. Noi vediamo tramite l’esempio dei cristiani afflitti ai quali scrive l’Apostolo, che questa gioia, questa allegrezza, come dice nell’originale, può sussistere anche nella più profonda afflizione. Questo olio di allegrezza galleggia in mezzo ai flutti del dolore; ed è ancora più dolce al cuore quando è assaporata in mezzo a grandi afflizioni, quando non è mescolata con alcuna allegrezza terrena. Che cosa sarà, dunque, quando sarà divenuto perfetta? Queste verità ci servano da serio avvertimento. Noi professiamo di essere cristiani, figli di Dio, eredi della sua gloria. Se ci venisse chiesto della nostra fede, diremmo tutti che speriamo di conseguire la salvezza. Ebbene? Ciò solo, in mancanza d’altra prova, basterebbe a convincerci che molti di noi si ingannano. Perché quanto pochi sono coloro che fra di noi, nelle loro afflizioni, gustano quella gioia e quella allegrezza. Quanto pochi che ne rinfrescano ogni giorno l’anima loro. Quanto pochi che trovano più felicità nei beni celesti piuttosto che in quelli del mondo. Che follia! Che vergogna! L’annuncio del più misero vantaggio terreno alza il nostro cuore vano e leggero, e lo fa riempie di gioia, mente il messaggio del regno, di una eredità incorruttibile, eterna, preparata dall’amore di un tenero Padre, ci lascia indifferenti e freddi! Questo messaggio, dunque, non ci riguarda? Ahimè! Non è forse da temere che molti che si dicono cristiani non ne avranno parte? Se è così nel tuo caso, confessalo: queste cose non ti recano allegrezza, perché non le credi. Ora, tutte le lingue degli uomini e degli angeli sono impotenti a produrre in noi una fede viva nella felicità del cielo. Solo Colui che ce la dà, per sua infinita grazia, può ancora darci la fede che la comprende, che se ne alimenta e che ci riempie di gioia nella speranza di possederla presto. _________________________________________________________________ Chiesa Evangelica Riformata di Roma (La Storta)