Amore cristiano

riflessioni e meditazioni sulla Parola di Dio

 
 

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ECCO, IO VI MANDO COME PECORE IN MEZZO AI LUPI

Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi.

Siate dunque prudenti come i serpenti e

semlici come le colombe.

Però guardatevi dagli uomini, perchè

vi consegneranno ai tribunali, e vi 

flagelleranno nelle loro sinagoghe,

e sarete consegnati ai governanti, per causa mia

e per rendermi testimonianza davanti a loro.

Matteo 10, 16-18.

 

 

CONSIDERATE COME CRESCONO I GIGLI DELLA CAMPAGNA (Matteo 6:28)

Post n°89 pubblicato il 26 Aprile 2014 da mauroproietti1953
 

"Considerate come crescono i gigli della campagna." (Matteo 6:28) Dio guarda verso di noi attraverso ogni fiore che sboccia. La bellezza che riempie la terra è un segno del pensiero e dell'amore di Dio nei nostri confronti. Si narra di un viaggiatore che, in mezzo al deserto, spossato e assetato, fu salvato dalla morte perché vide un filo di vegetazione che spuntava nella sabbia ardente. Quel bagliore di vita lo rassicurò, gli dimostrò che Dio era vicino, infondendo nuova speranza nel suo cuore e la forza di rialzarsi e di proseguire il cammino, fin quando non trovò l'acqua. Ogni fiore e ogni filo d'erba dovrebbero ricordarci Dio, rinvigorire la nostra speranza e renderci riverenti. Lo splendore della natura grida la grandezza di Dio e proclama a piena voce la gloria del nostro Signore. Ecco perché dovremmo mettere al bando tutti i nostri lamenti, angosce e malinconie. Una vita che non si piega e un'esistenza che non si sviluppa possono essere riscattate dalla visione dell'infuocata magnificenza divina, se solo sapremo rinunciare a pensieri instabili e superficiali. Il Signore non è limitato dalla rappresentazione della natura, e il creato è a immagine di Dio soltanto nella misura in cui rimanda alle prerogative divine di onnipotenza, di bellezza e di sapienza infinita. Eppure la visione della creazione dovrebbe avvolgere il nostro pensiero, per riconoscere il progetto supremo che sta dietro a un fiore che sboccia nella sua spontanea semplicità. Esiste una trama soprannaturale che ci impedisce di credere a una materia non creata e che ci porta a riconoscere nel giglio del campo il potente testimone del nostro grande Signore e Salvatore. A cura di: Consapevoli nella Parola http://consapevolinellaparola.blogspot.it/p/una-parola-per-oggi.html

 
 
 

...E IO ENTRERO' DA LUI!

Post n°88 pubblicato il 25 Aprile 2014 da mauroproietti1953
 

"Se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui." (Apocalisse 3:20) Qual è il vostro desiderio questa sera? E 'impostato sulle cose celesti? Avete tempo per godere l'alta dottrina dell'amore eterno? Desiderate la libertà in una stretta comunione con Dio? Aspirate a conoscere le altezze, le profondità, le lunghezze e le larghezze? Allora è necessario che voi vi avviciniate a Gesù; dovete ottenere una chiara visione di Lui nella Sua preziosità e completezza: è necessario che voi visualizziate Lui nella Sua opera, nei Suoi uffici, nella Sua persona. Colui che comprende Cristo, riceve un'unzione dallo Spirito Santo, mediante la quale Egli conosce tutte le cose. Cristo è la grande chiave-maestra di tutte le stanze di Dio: non esiste un tesoro di Dio, che non si aprirà e consegnerà tutta la sua ricchezza all'anima che vive vicino a Gesù. State dicendo: "O che Egli possa dimorare nel mio seno. Vorrei che Egli facesse del mio cuore la Sua dimora per sempre?" Aprite la porta, diletti, e Lui entrerà nelle vostre anime. Egli è stato per lungo tempo a bussare, e tutto per questo motivo, che Egli possa cenare con voi, e voi con Lui. Lui cenerà con voi perché voi scoprirete la casa o il cuore, e voi con Lui perché Egli porterà le provviste. Egli non potrebbe cenare con voi se non fosse nel vostro cuore, che voi troverete la casa; né potreste voi cenare con Lui, perché avete un piatto vuoto, se Egli non portasse le provviste con Sè. Scagliate lontano, allora, i portali della vostra anima. Egli verrà con quell'amore che voi da lungo tempo sentite; Egli verrà con quella gioia, per la quale voi non potete operare nulla per il vostro povero spirito depresso; Egli porterà la pace che ora voi non avete; Egli verrà con le Sue caraffe di vino e con dolci mele di amore, e vi incoraggerà affinchè non abbiate nessun'altro malessere, se non quello di "un amore travolgente, l'amore divino". Aprite la porta solamente a Lui, cacciate fuori i Suoi nemici, consegnate a Lui le chiavi del vostro cuore, ed Egli dimorerà lì per sempre. Oh,meraviglioso amore che porta un tale ospite a dimorare in tal modo in un cuore! Tradotto da: Consapevoli nella Parola

 
 
 

Una Resurrezione che già ci coinvolge

Post n°87 pubblicato il 20 Aprile 2014 da mauroproietti1953
 

Non astratte speculazioni Quando si parla di risurrezione, in particolare della risurrezione di Gesù di Nazareth, l'avvenimento centrale della fede cristiana, di solito la gente pensa che si tratti di astrazioni, di speculazioni metafisiche di scarsa rilevanza per la nostra vita concreta, di tutti i giorni. Si pensa che le questioni sulla Risurrezione riguardino "solo la fede", che siano "credenze" che riguardano "fatti non veramente provati, anzi improbabili". Davvero, però, come si tende oggi a pensare, la fede nella risurrezione "non ha rilevanza pratica?" Il meno che si possa dire al riguardo, è che chi pensa in questo modo non conosce l'insegnamento del Nuovo Testamento o ne conosca solo un'immagine piuttosto limitata e distorta. La risurrezione di Cristo non è soltanto una proiezione fideistica del credente verso una realtà futura e neanche solo uno stimolo ed un incoraggiamento ad agire nello spirito di Cristo perché - si dice - la risurrezione ne garantisce il buon esito finale. Questo è vero, ma c’è molto di più. Credere in Cristo ed essere davvero in comunione con Lui, con la Sua morte e risurrezione, implica, per il cristiano, una sua personale e tangibile morte e risurrezione di tipo morale e spirituale. Si tratta di qualcosa di indubbiamente "concreto" che avviene, anzi, deve avvenire nel concreto, in mancanza della quale si ha pieno titolo di dubitare dell'autenticità di tale professione di fede. Il testo biblico Questo è ciò di cui parla l'apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi, capitolo 3: “Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria” (Colossesi 3:1-4). La potenza della risurrezione all’opera in noi 1. “Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio". L’apostolo Paolo qui scrive sulla base di un presupposto, vale a dire che i suoi lettori, gente concreta e vivente, “sono stati risuscitati con Cristo”. Quel suo “se” non è un’ipotesi, implica un “dato che...”: è un dato di fatto: “Dato che voi siete risuscitati con Cristo”! Il cristiano (autentico) è già esistenzialmente unito a Cristo, suo Signore e Salvatore, sia nella Sua morte che nella risurrezione, e questo non in modo “virtuale”, “ideale”, o “mistico”. Ciò che Cristo ha compiuto nella Sua morte e risurrezione, in queste persone è stato efficace tanto da operare in loro una tangibile trasformazione. Queste persone sono state unite a Cristo per fede e la loro vita è stata trasformata, o meglio, è in via di trasformazione. Questo è un fatto di cui tutti possono esserne testimoni. Come l’apostolo si esprime nel capitolo precedente, diventando credenti in Cristo, la loro vecchia vita è stata sepolta - essi sono “morti e sepolti” - e sono stati “vivificati”. Per questo l’apostolo può affermare, senza contraddizione alcuna, che la risurrezione non è solo una realtà futura, ma qualcosa della cui efficacia l'autentico cristiano può e deve aver fatto esperienza. Che cosa significa essere stati "risuscitati", aver già fatto l'esperienza della sua potente efficacia? Significa aver fatto l’esperienza della conversione nel modo di pensare e di vivere in seguito ad un incontro personale con Cristo attraverso l’annuncio dell’Evangelo. Attratto irresistibilmente a Cristo, il cristiano è colui o colei che Dio sta trasformando per mezzo dell’azione efficace dello Spirito Santo, dispiegando Egli in questo la stessa potenza manifestata nella risurrezione di Gesù dai morti. In altre parole, si tratta di ciò che chiamiamo l’esperienza della rigenerazione morale e spirituale. Dio estrae dalla massa perduta dei peccatori persone alle quali impartisce la grazia della salvezza in Cristo. Attraverso l'azione efficace dello Spirito Santo, esse si aprono verso Dio, giungono al ravvedimento ed alla fede ed iniziano un processo di santificazione che a suo tempo le porterà alla piena comunione con Dio. Queste persone si differenziano così moralmente e spiritualmente dagli altri, cambiano le loro prospettive sulla vita, si interessano dei valori e degli obiettivi di Cristo e desiderano, in quello che sono e fanno, compiacere Dio. Essi sono stati trascinati, per così dire, dal Cristo risorto, a rinnovare la loro vita. Sono stati "risuscitati" in senso morale e spirituale, ma indubbiamente concreto, ad una vita nuova. Ecco così il senso dell’esortazione apostolica che qui troviamo: in quanto persone "risorte" con Cristo, esse ora devono cercare, o meglio, si impegnano a cercare, perseguire, coltivare, "le cose di lassù", quelle che sono proprie del Cristo risorto ed asceso al cielo. Questo concetto viene ribadito nel secondo versetto. 2. "Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra". La comunione personale del credente con Cristo implica, così, due responsabilità, due imperativi: “cercare” e “aspirare”. Dato che Dio l’ha fatto risorgere con Cristo ed è già spiritualmente “seduto con Cristo in cielo”, egli deve continuare a cercare "le cose del cielo" e resistere alla tentazione di seguire le vie di questo mondo, quello che fanno gli inconvertiti, che vivono solo in funzione di questa terra. L’incontro personale con Cristo, il momento in cui si giunge alla fede, non termina certo la ricerca e le aspirazioni del credente. Il credente è chiamato a sviluppare gradualmente una mente impostata alle cose “del cielo” (le nostre benedizioni spirituali e speranza, i desideri del Salvatore, ecc.) e non tanto ciò che è semplicemente fisico e temporale, ciò sul quale si concentrano gli increduli, le persone di questo mondo. Le “cose del cielo” occupano la più gran parte degli interessi del cristiano. Egli “pensa” le cose celesti, la sua vita intellettiva deve imparare a muoversi su parametri diversi da quello che sono comuni in questo mondo. L’autentico cristiano vede ogni cosa dalla prospettiva dell’eternità. Non vive più come se questo mondo fosse tutto ciò che importa. Considera questo mondo, la sua vita attuale da una visuale più vasta, quella dell’eternità. Considererà, per esempio, molto più importante dare che ricevere, servire più che dominare, perdonare piuttosto che vendicarsi. Il cristiano deve, certamente, tenere i suoi piedi sulla terra, ma la sua testa, o meglio, il suo cuore, è, di fatto, “nei cieli”. Questo non vuole dire estraniarsi dal mondo, ma vivere in questo mondo non secondo i principi del mondo, ma secondo i principi “del cielo”, operare affinché questo mondo sia conforme a quello celeste, conforme a Cristo ed ai Suoi valori. Qui il verbo “cercare” mette in rilievo aspetti più pratici, mentre il verbo “aspirare” indica l’intera impostazione della sua vita. Il primo è verso l’esterno, il secondo verso l’interno, l’interiore. C’è chi dice talvolta al credente: “Hai la testa nelle nuvole”, “Vivi in un altro mondo”, perché non dà tanta importanza alle cose di questo mondo, delle cose di cui si occupa la maggior parte della gente. Senza per questo ignorare le sue responsabilità terrene, egli darà necessariamente importanza molto relativa, ad esempio, al denaro, ai beni materiali, ai piaceri mondani, perché il suo interesse principale è “altrove”, “lassù”. Il cristiano vive di fatto “in prospettiva dell’eternità”. Il mondo considera questo atteggiamento biasimevole. Il cristiano, però, pur compiendo ogni suo legittimo e necessario dovere in questo mondo, ha una visione trascendente della vita. Non se ne deve vergognare o lasciarsi intimidire dai riproveri che il mondo e delle chiese compromesse con questo mondo gli rivolgono. Essere risorti con Cristo significa vivere con parametri diversi, e di questo deve andarne fiero, qualunque cosa gli altri possano pensare di lui. Perché? Lo ribadisce il terzo versetto: 3. "...poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio". Ci si aspetta che il cristiano condivida le aspirazioni di questo mondo, si comporti come gli altri. Come potrebbe? È morto! I morti non hanno a che fare con le cose "della terra", non se ne interessano! Fantasie e superstizioni immaginano che i morti abbiano un qualche rapporto con questo mondo, come se “aleggiassero” fra di noi, ci guardassero e persino “ci consigliassero”. Secondo l’insegnamento biblico non è così. Fra loro e noi “c’é una grande voragine” (Luca 16:26). Lo stesso avviene fra l’autentico cristiano e l’andazzo di questo mondo. "...infatti che rapporto c'è tra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele? E che armonia c'è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come disse Dio: «Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Perciò, uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'impuro; e io vi accoglierò" (2 Corinzi 6:15-17). In che senso noi dobbiamo altresì esservi "morti" e non avere a che fare, non interessarci di quelle cose? In questo mondo il cristiano certo vive, ma come “forestiero e pellegrino sulla terra”, come il popolo di Dio del passato, di cui è scritto: "Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra" (Ebrei 11:13). Gesù dice di coloro che Gli appartengono: "Io ho dato loro la tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo" (Giovanni 17:14-16). Volete conoscere quale sia l’atteggiamento del vero cristiano rispetto a questo mondo? L’apostolo Paolo scrive: "...preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore" (2 Corinzi 5:8). Il mondo considera follia un tale atteggiamento. Perché il cristiano può dire così? Perché la sia esistenza personale è "in Cristo". È celata, "nascosta" in Lui. Il cristiano è “morto con Cristo” al mondo ed al peccato nel passato, e continua a vivere con Cristo nel presente. La sua vita trae il suo nutrimento spirituale da una sorgente segreta, la sua vita è sicura come se fosse depositata in una cassetta di sicurezza di una banza, anzi, più ancora. La sua vita è una con Cristo, il quale è “nel seno del Padre” (Giovanni 1:18). Per i maestri d’errore che l’apostolo Paolo denunciava poco prima nella lettera ai Colossesi, i tesori della sapienza erano nascosti nei loro libri segreti, ma per i cristiani Cristo è il tesoro della sapienza, e la nostra vita è nascosta in Lui. 4. "Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria”. Certo, la trasformazione del cristiano, conseguente alla sua conversione, deve necessariamente essere visibile, ma l’incredulo cerca di contestarla e di “spiegarla” alla sua maniera. Di fatto, il mondo degli increduli, il mondo irrigenerato, non vede, non comprende, come la vita del cristiano sia indissolubilmente legata a Cristo. Un giorno, però, quando Cristo tornerà in gloria, quando tutti inequivocabilmente "lo vedranno", anche la vera natura del cristiano sarà manifestata con Cristo nella gloria. Talvolta si dice di una persona: “La musica è la sua vita”, “Lo sport è la sua vita”, oppure “Vive in funzione del suo lavoro”. Quelle persone trovano la vita e tutto ciò che la vita significa, nella musica, nello sport, nel lavoro, o in altro. Per il cristiano Cristo è la sua vita. Cristo domina i suoi pensieri e riempie la sua vita. Che strano che il mondo comprenda che cosa possa voler dire vivere per la musica, lo sport o il lavoro, e dica di un cristiano che fa così che “è un fanatico”! Cristo, però, tornerà come ha promesso e sarà manifestato. L’Apocalisse dice: "Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen" (Apocalisse 1:7). Allora Cristo non sarà più nascosto, e la verità sarà pure evidente al riguardo di tutti coloro che appartengono a Cristo. Conclusione Quando parliamo, anzi, annunciamo, la risurrezione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo dai morti, noi non parliamno di astrazioni, di ipotesi, di una realtà che appartenga solo alla fede, di pii desideri. Parliamo di una realtà operante e concreta che incide sul mondo reale, che ha inciso sulla nostra vita e che la determina. Per usare un’espressione teologica, la nostra fede è un “già e non ancora”, “escatologia realizzata”. Essa attende con grande aspettativa gli avvenimenti degli ultimi tempi sulla base di ciò di cui già in parte abbiamo avuto esperienza. L’apostolo scrive: “Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto” (1 Corinzi 13:12). Quando annunciamo la risurrezione di Cristo chiamiamo anche la nostra generazione ad essere coinvolta da questa realtà che è potente anche nel presente a trasformare vite, a redimerle, a liberarle dalla schiavitù del peccato per riconciliarle con Dio. È chiaro, però, che la testimonianza del cristiano deve essere un consapevole impegno alla coerenza personale sulla linea indicata dal testo, un testo che, però, su questo argomento, non finisce lì! È importante anche il seguito, che non abbiamo trattato, ma che dice: "Perciò fate morire in voi gli atteggiamenti che sono propri di questo mondo: immoralità, passioni, impurità, desideri maligni e quella voglia sfrenata di possedere che è un tipo di idolatria. Tutte queste cose attirano la condanna di Dio su quelli che gli disubbidiscono. Un tempo anche voi eravate così, quando la vostra vita era in mezzo a quei vizi. Adesso, invece, buttate via tutto: l'ira, le passioni, la cattiveria, le calunnie e le parole volgari. Non ci sia falsità quando parlate tra voi, perché voi avete abbandonato la vecchia vita e le sue azioni, come si mette via un vestito vecchio. Ormai siete uomini nuovi, e Dio vi rinnova continuamente per portarvi alla perfetta conoscenza e farvi essere simili a lui che vi ha creati" (Colossesi 3:5-11). Solo così l’annuncio della risurrezione di Cristo può avere senso per chi lo ode. Gesù è veramente risuscitato ed è all’opera nella mia vita. di Paolo Castellina "Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d'oggi tra di noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione" (Atti 2:29-31) http://consapevolinellaparola.blogspot.it/2014/04/una-risurrezione-che-gia-ci-coinvolge.html

 
 
 

NOI CRISTIANI: RATTRISTATI MA GIOIOSI!

(Riflessioni dalla I Lettera di Pietro - n. 5) Robert Leighton, 1611-1684). RATTRISTATI, MA GIOIOSI "A motivo di questo voi gioite anche se al presente, per un po' di tempo, dovete essere afflitti da varie prove" (I Pietro 1:6). La medesima causa non può produrre nell’anima nostra sentimenti opposti. E siccome noi sperimentiamo ambedue, tristezza e gioia, l’Apostolo risale alla sorgente dell’una e dell’altra, per mostrarci quale di esse ha più potenti motivi e deve per conseguenza essere predominante in colui che le considera sotto il loro vero aspetto. Il suo scopo è di risvegliare e accrescere nei suoi fratelli afflitti la gioia spirituale; e come egli ne ha esposte le sorgenti profonde nei versetti precedenti, ora le applica e le oppone alle loro sofferenze. Alcuni traduttori spiegano questa frase con l’imperativo: Giubilate! L’intenzione è la stessa; ma mi sembra che la nostra versione corrisponda meglio allo scopo di Pietro. La gioia non si comanda; ma nel rammentare ai cristiani che sono afflitti la santa allegrezza che hanno già sperimentato o che ancora sperimentano, il linguaggio dell’Apostolo è più persuasivo. In tal modo egli indica quanto sia giusto e ragionevole, che le cose di cui ha parlato loro li rendano felici. E, certamente, se noi consideriamo la fede la sorgente di tale allegrezza, noi dovremo sentirla in una misura che assorbirà i nostri dolori, per quanto grandi e diverse siano le cause dei dolori. Ascoltiamo dunque l’Apostolo che ci mostra la sorgente delle acque amare e delle acque dolci, della tristezza e della gioia. La prima cosa che ci colpisce è che Pietro attribuisce la tristezza a “varie prove”. Le virtù che la grazia divina crea nell’ uomo, non possono acquistarsi né con lo studio né con gli sforzi né con alcun esercizio dei propri mezzi; esse scendono direttamente dal cielo nel suo cuore. Ma esse gli sono date perché le metta in pratica nelle diverse posizioni e occorrenze della vita umana; ed in tal modo si sviluppano e si fortificano. Ora, queste virtù della grazia trovano in ogni istante, nella loro applicazione alla vita, alcune difficoltà e opposizioni violente: ciò che la Scrittura comprende sotto il termine generale di “tentazioni” o “prove”. Non è necessario enumerare i vari significati di questa parola, di richiamare in quale senso è detto che Dio “tenta” l’uomo, in qual altro che non tenta nessuno: come Satana tenta gli uomini, come gli uomini si tentano a vicenda, e ciascuno se stesso in particolare. Tutti questi fatti sono espressi con questa medesima parola in accettazioni diverse. Ma, di più, il cristiano può trovare la tentazione nel suo proprio stato, nelle circostanze della sua vita, ovvero nelle cose. E benché niente sia nei termini del nostro versetto che non possa essere applicato a tutti i generi di “tentazioni” o “prove” alle quali è tanto esposta la persona credente, io penso nondimeno che qui si tratti delle ultime che abbiamo indicato, vale a dire delle afflizioni e dei dolori ai quali erano in preda gli “stranieri dispersi”. In questo senso sono prese le parole di Giacomo 1:2: “Considerate una grande gioia, fratelli miei, quando vi trovate di fronte a prove di vario genere”. Queste afflizioni sono chiamate “tentazioni” o “prove”, perché forniscono al cristiano la certezza speciale ed evidente dello Spirito da cui viene sostenuto, come pure della realtà e della misura della grazia che è in lui. Se egli soccombe, ha un’ulteriore riprova della sua debolezza e miseria: si umilia e cerca in Dio più fedeltà e forza per il prossimo combattimento. Se invece esce vittorioso dalla lotta, perché assistito dalla grazia divina, il suo trionfo e la sua forza tornano a lode di Colui dal quale ha ricevuto ogni cosa. L’uomo che non si è mai trovato in presenza di grandi prove, che vengono superate solo attraverso la fede, il coraggio e la pazienza, non solo è sconosciuto ai suoi fratelli, ma anche a se stesso. Come puoi sapere di possedere la calma di spirito, che è il carattere del vero cristiano, finché non sei stato oggetto di quelle contraddizioni o vessazioni che provocano l’impazienza e l’ira? Se, esposto a questa tentazione, rimani calmo, senza irritarti contro gli uomini e contro la Provvidenza, puoi riscontrare che la grazia di Dio sta operando realmente in te, e non sei simile a quelle acque calme e limpide in superficie, ma che, quando si toccano, s’intorbidiscono subito a causa di tutto il fango che giace sul fondo! Chi mai ti dice che, sottoposto a povertà, disgrazie, persecuzioni e patimenti, rimarrai non solo sottomesso alla volontà di Dio, ma anche sereno e riconoscente? Dici di averci pensato, di esserti preparato con le più ferme risoluzioni, di aver preventivato senza fremere le peggiori eventualità. Questo va bene ed è lodevole; ma sei sicuro che le tue immaginate vittorie non resterebbero tali dopo gli eventi, e che quelli che ti avevano sentito parlare con tale fiducia non abbiano a dire di te quello che un critico d’arte disse degli Ateniesi: Fortes in tabula, ovvero: “Appaiono forti nei loro quadri”? Ah! Colui che ci ha creato sa quanto il nostro cuore è pieno di furberie e d’inganni. Egli conosce la misura della forza o della debolezza di ognuno di noi, e distribuisce le grazie in proporzione. E mentre noi conosciamo l’uso della prova, Egli condiscende a parlare a questo proposito la lingua degli uomini, e a dire a colui che vinse il più terribile combattimento: “Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo figlio” (Gen. 22:12). Dio si compiace di chiamare i suoi figli più fedeli a combattere le tentazioni più forti, a portare le croci più pesanti, come un generale d’armata manda i suoi soldati scelti nella mischia più intensa. In questo modo Egli prova al mondo che in mezzo a tutta la falsa moneta che ha corso nel cosiddetto “cristianesimo”, c’è anche l’oro buono che ne fa la ricchezza. Quando, oltre a questi uomini che del vangelo hanno soltanto qualche frase in bocca, se ne vedono altri che rifuggono la mondanità, sopportano senza abbattersi le più crude afflizioni, i più estremi dolori di questa vita, affrontano la morte sotto le più crudeli forme, questo è uno spettacolo degno degli angeli e per il mondo una incontrovertibile dimostrazione della grazia, per la quale dei deboli peccatori riportano eroiche vittorie. E non si tratta di un solo combattimento, perché l’Apostolo parla di “varie prove”: prove del corpo, sofferenze della vita, dolori del cuore, lotte dell’anima, strazi della coscienza; questa è spesso la sorte che tocca ai più cari figli di Dio. Sospirava il Salmista: “Un abisso chiama un altro abisso, al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me” (Sal 42:7). Non c’è dunque da meravigliarsi se l’Apostolo dica ai suoi fratelli: “dovete essere afflitti”. Egli non biasima questa tristezza; cerca solamente di moderarla. La grazia non distrugge la natura, ma vi aggiunge una vita più eccellente, e non conosce quella costante orgogliosa insensibilità che si sforza di non sentire il dolore. Questo significherebbe avere poca attenzione alla riprensione del Signore, e il vangelo ce lo vieta, come pure perdersi d’animo quando siamo da Lui ripresi (Ebr 12:5). "Fate attenzione alla verga e a colui che l'ha designata" (Mic 6:9). Senza l’afflizione non si impara la pazienza. È nella prova che impariamo a vedere la mano di Dio e a sottometterci ad essa: “Allontana da me il tuo flagello; io vengo meno sotto i colpi della tua mano” (Sal 39:10). Ma questa tristezza è addolcita, e come rinchiusa in giusti limiti da queste due considerazioni: essa dura “un po’ di tempo”, ed è necessaria “al presente”. “Per un po’ di tempo”, dice Pietro. Tale non è il sentimento di colui che soffre; “un po’ di tempo” ci pare lungo perché dimentichiamo che esiste l’eternità. Cosa mai sono, al pensiero di un’eternità senza fine, tutti gli affanni e i godimenti della presente vita? La prosperità stessa dura un momento. Il ricco di cui si racconta nel vangelo di Luca parlava di “molti anni”. Ma che cosa gli disse Dio? “Stolto, questa stessa notte l'anima tua ti sarà ridomandata e di chi saranno le cose che tu hai preparato?" (Luca 12:20). Ecco, il termine più lungo che gli è accordato. I “molti anni” sono ridotti ad un momento, e se questi sono ripieni di prove e di dolori, si abbreviamo, facendoci raggiungere prima il fine. Se quindi l’Apostolo ci dichiara che la prova è necessaria, non ci sottometteremo noi? Ah! Non è cosa facile distruggere in noi tutte le follie del peccato e l’amore del mondo! Tuttavia Dio richiede ai suoi figli di non amare il mondo né le cose nel mondo (I Giov 2:15), sotto pena di rimanere esclusi dal suo amore, perché questi due amori si combattono necessariamente. Da ciò la necessità delle prove. Eh! Non ci accade forse di essere spesso avvolti nei lacci di questo mondo, nonostante siamo sottoposti a molte afflizioni? Quante volte, allorché Dio ci ha reso amaro un godimento terrestre, ne cerchiamo un altro immediatamente! Cacciata fuori da una porta, la corruzione del nostro cuore torna per cento altre, fin quando, chiusoci ogni passaggio per mezzo dell’afflizione, ci rifuggiamo verso la Sorgente delle acque vive. Comprendiamo allora questa parola: “Siamo corretti dal Signore, affinché non siamo condannati con il mondo” (I Cor 11:32). Poi, dopo queste crude esperienze, sopraggiunge l’orgoglio spirituale, o una sicurezza carnale, che forza il nostro Dio a raddoppiare i suoi colpi, dopo averci dato qualche riposo. Sappiamo perciò che a motivo della nostra debolezza “dobbiamo essere afflitti da varie prove”. E quanto alla durata, alla misura e alla natura di questi rimedi cosi amari per la nostra natura, lasciamoli alle cure del celeste Medico, il quale conosce le nostre malattie e affligge soltanto come fa un padre pieno di tenerezza per il suo figlio. Ma non tutto è dolore nella vita del cristiano. Molto più dell’uomo del mondo, egli ha le sue allegrezze; e queste sono tanto più pure e dolci quanto più la Sorgente non è terrestre. “A motivo di questo voi gioite”, dice l’Apostolo. Cosa richiama questa parola? Qual è la fonte di questa allegrezza? A qualunque parte del periodo precedente si riferisca il pronome relativo “questo”, esso certamente indica un’abbondante sorgente di allegrezza. È naturale infatti considerarlo come riepilogo di tutte le verità sulle quali si è soffermato il pensiero dell’Apostolo. Ecco, dice loro, “a motivo di questo voi gioite”, perché siate stati “rigenerati per una eredità incorruttibile”, che anticipatamente possedete, perché è “conservata nei cieli per voi”, e voi per questa eredità (1:3-5). Infine: benché tra voi e questo beato possesso vi siano deserti, montagne e mari, voi siete nondimeno sicuri di giungervi sani e salvi. Oh! Qual motivo di allegrezza! Quando il nostro cuore trova amarezza e dolore in qualche oggetto, esso volge naturalmente i suoi pensieri e le sue speranze ad un altro. Ma – oh follia! – anche quest’altro oggetto diverrà ben presto una fonte di dispiacere e di tormento. Il cristiano, invece, pazzo agli occhi del mondo, è infinitamente benedetto per la saggezza della sua scelta. Innalzandosi al di sopra di ciò che è mutabile, passa e perisce, egli getta la sua ancora nell’interno del velo (Ebrei 6:19). Colui in cui trova la sua letizia, infatti, è veramente una sorgente inalterabile di letizia. Quand’anche perdesse tutto ciò che possiede o, per parlare come il salmista, quand’anche “la terra si dovesse spostare e se i monti fossero gettati nel mezzo del mare”, non temeremo (Sal 46:2). E quando noi saremo messi in possesso di questa ricca e perfetta eredità, allora le nostre allegrezze non si conteranno più come quaggiù, per giorni e ore così brevi, perché non avranno altro termine che l’eternità. Allora pure il nostro amore, che è divino, tra tanti oggetti caduchi, sarà riunito intero sopra un solo Dio, la cui presenza riempirà l’anima nostra di delizie. Noi vediamo tramite l’esempio dei cristiani afflitti ai quali scrive l’Apostolo, che questa gioia, questa allegrezza, come dice nell’originale, può sussistere anche nella più profonda afflizione. Questo olio di allegrezza galleggia in mezzo ai flutti del dolore; ed è ancora più dolce al cuore quando è assaporata in mezzo a grandi afflizioni, quando non è mescolata con alcuna allegrezza terrena. Che cosa sarà, dunque, quando sarà divenuto perfetta? Queste verità ci servano da serio avvertimento. Noi professiamo di essere cristiani, figli di Dio, eredi della sua gloria. Se ci venisse chiesto della nostra fede, diremmo tutti che speriamo di conseguire la salvezza. Ebbene? Ciò solo, in mancanza d’altra prova, basterebbe a convincerci che molti di noi si ingannano. Perché quanto pochi sono coloro che fra di noi, nelle loro afflizioni, gustano quella gioia e quella allegrezza. Quanto pochi che ne rinfrescano ogni giorno l’anima loro. Quanto pochi che trovano più felicità nei beni celesti piuttosto che in quelli del mondo. Che follia! Che vergogna! L’annuncio del più misero vantaggio terreno alza il nostro cuore vano e leggero, e lo fa riempie di gioia, mente il messaggio del regno, di una eredità incorruttibile, eterna, preparata dall’amore di un tenero Padre, ci lascia indifferenti e freddi! Questo messaggio, dunque, non ci riguarda? Ahimè! Non è forse da temere che molti che si dicono cristiani non ne avranno parte? Se è così nel tuo caso, confessalo: queste cose non ti recano allegrezza, perché non le credi. Ora, tutte le lingue degli uomini e degli angeli sono impotenti a produrre in noi una fede viva nella felicità del cielo. Solo Colui che ce la dà, per sua infinita grazia, può ancora darci la fede che la comprende, che se ne alimenta e che ci riempie di gioia nella speranza di possederla presto. _________________________________________________________________ Chiesa Evangelica Riformata di Roma (La Storta)

 
 
 

GLORIFICARE DIO

"Poiché a voi è stato dato, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui." (Filippesi 1:29) Non siamo sempre in grado di sapere in quali ambiti possiamo glorificare Dio nel modo migliore. Può essere nel lavoro, forse in un'attesa paziente e coraggiosa. Può essere nella sofferenza, oppure in un servizio nascosto e appartato, che probabilmente nessuno riconosce. Forse Dio ci ha chiesto un'ubbidienza silenziosa, l'assistenza di una persona malata che si trova al nostro fianco. Ad alcuni chiede la fatica fisica che altri non sono disposti ad affrontare, ad altri il carico di ansie che accompagna l'assunzione di responsabilità gravose. E' meglio, quindi, lasciare a Dio la scelta del modo in cui dobbiamo servirLo e onorarLo. L'usignolo glorifica Dio innalzando il proprio dolce canto, il fiore emanando un profumo soave. Maria lodò Cristo sedendosi ai Suoi piedi, Marta servendoLo. Se ci preoccupiamo di fare soltanto la Sua volontà, faremo sempre la cosa migliore. La fede non può ridursi a un corollario di teorie, né ci è consentito circoscriverla a un complesso di dottrine e di regole. Credere in Dio vuol dire lanciare il nostro cuore nel servizio e coinvolgere le nostre energie in un impegno consacrato per la causa del Salvatore e questo può significare tribolazione. La vera fede è quella di un uomo in lotta per la causa del cielo, che non indietreggia di fronte agli attacchi del nemico e che non si fa intimorire dalla pressione che proviene dall'esterno. La fiducia intesa biblicamente non andrà mai disgiunta dalla sofferenza, dal travaglio interiore, dagli affanni dell'animo. Chi ambisce a raggiungere fin d'ora uno stato beato e sereno non sa nulla di Stefano, di Paolo, di Pietro, di Giacomo e di tutti gli altri intrepidi uomini di Dio il cui esempio riempie le pagine del Nuovo Testamento. A cura di: Consapevoli nella Parola http://consapevolinellaparola.blogspot.it/p/una-parola-per-oggi.html

 
 
 
 
 

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Un blog di: mauroproietti1953
Data di creazione: 30/10/2011
 

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