La riscossa del Sud

FRANCESCO II DI BORBONE DELLE DUE SICILIE UN VERO RE, UN GRANDE UOMO, UN VERO CRISTIANO, UN GRANDE SANTO


Una delle motivazioni importanti per avviare il cammino di canonizzazione di un testimone della fede, è dato dalla fama di santità della persona candidata. Questo dunque ci mette nella condizione di fare uscire dall’oblio obbligato a cui è stato posto Francesco II di Borbone, Re del Regno delle Due Sicilie, un vero testimone di cattolicità. Ancor più bisogna anche sfatare e chiarire quei luoghi comuni e quelle “dicerie”, che certa storiografia prezzolata e di regime, hanno forzatamente e falsamente diramato sulla sua figura.Sentire fortemente attuale e vera la sua testimonianza cristiana ci ha dato la motivazione per fare luce sulla verità storica, e ridare a Re Francesco II quella “Luminosità” della quale in vita è stato rivestito, e che ne fanno un vero testimone, non solo nella profondità della sua umanità è cultura, ma soprattutto nel cammino di cristiano.Nel suo prologo l’evangelista Giovanni dice che chiunque accoglie la Luce ha il potere di diventare figlio di Dio. Accogliere la Luce significa avere fede in Gesù Cristo, la Luce che è venuta ad illuminare le tenebre. Ed è la fede in Gesù che ci rende figli di Dio, e come dice poi l’apostolo Paolo, eredi del suo Regno.Proprio in questa dimensione io leggo l’esperienza terrena di Francesco II di Borbone delle Due Sicilie, l’ultimo Re di questo Regno che per secoli ha conosciuto l’autonomia e il buon goveno.
Francesco D'Assisi Maria Leopoldo di Borbone nasce a Napoli, il 16 gennaio 1836, dal grande Sovrano Ferdinando II e dalla Beata Maria Cristina di Savoia-Borbone, “la Reginella Santa”, che dopo anni di attesa lo scorso 25 gennaio è stata beatificata. Della sua “ napoletanità” si sentiva fiero e felice, come sentiva profondo amore e affetto per la sua terra e il suo popolo.Egli è stato provato molto presto, quando appena pochi giorni dopo la sua nascita la sua mamma muore proprio per i postumi del parto. La memoria di questa donna stupenda e buona, della quale sempre su padre gli parlava, è ben impressa nel suo cuore e nella mente, e la fama di essere il figlio della “Regina Santa” accompagnò tutta la sua esistenza. Dalla sua memoria imparò l’umiltà e la mansuetudine, e da vero cristiano seppe sempre guardare aldilà delle tenebre, fondando la sua vita sulla fede cristiana, nell’onestà dei costumi e di pensiero, consapevole di essere chiamato a servire il suo popolo. Come sua madre, e lo stesso suo padre, anche lui è stato devoto della Vergine Maria, e certamente tante volte fissò in Lei il suo sguardo, chiedendole di farle da Madre e di accompagnarlo nel suo dovere di Re. La sua formazione umana, culturale, spirituale è stata affidata ai Gesuiti, che seppero ben imprimere in lui quelle virtù cristiane che faranno di lui un grande Re. Ma non gli mancarono neppure la formazione militare e del buon governo, che imparò direttamente da suo padre. È molto significativo un aneddoto della fanciullezza di Francesco, quando accompagnò suo padre in visita ai soldati che stavano facendo esercitazioni militari. Sia Re Ferdinando che il piccolo Principe mangiarono alla mensa dei soldati semplici, cosa abituale per il Re, e a tavola fu servito il pane raffermo. Francesco, ancora molto piccolo, ebbe un gesto di disgusto e di rifiuto dinanzi a quel pane. Suo padre, uomo di grande intelligenza e umanità, guardandolo con dolcezza e fermezza gli disse: “perché non vuoi mangiare questo pane?”. Egli rispose che era pane vecchio, e che non gli piaceva. Suo padre con dignità e autorità rispose: “se lo mangiano i soldati, che sono migliori di noi, perché non dovremmo mangiarlo noi?”. Il ragazzo comprese la lezione, che certamente ricordò per sempre, e mangiò quel pane con gusto, consapevole che la virtù dell’umiltà e la semplicità, valgono più di tutte le grandezze del mondo.Proprio questa consapevolezza faranno di lui il Re che è stato, preoccupandosi sin dai primi momenti del suo regno, al benessere di tutta la sua gente. Si occupò per l’assistenza dei poveri, costruì e ampliò ospedali, fece bonifiche, organizzò la scuola di diritto internazionale e si occupò per l’istruzione della sua gente, fece nuovi progetti per la diffusione delle ferrovie, e altri decreti per la valorizzazione delle industrie e dell’economia. Egli aveva dinanzi a sé un modello esemplare di regalità, quella che viene dal Vangelo, si sentiva, ed era effettivamente, “lo sposo” del suo popolo, che amò fino alla fine della sua vita, ben oltre la perdita del trono e la fine del Regno.Infatti egli regnò per breve tempo, a causa di avvenimenti che non solo capovolsero le sorti del Regno delle Due Sicilie, ma l’Europa intera e la Chiesa, che avrebbero conosciuto l’amarezza di una rivoluzione, che avrebbe seminato nella società violenza, guerre, dispotismi, razzismo e morte. Francesco II, con grande lucidità, seppe guardare lontano, e denunciò con chiarezza quel delitto che si stava commettendo, consapevole che la pirateria che aveva portato subbuglio e disordine nel suo regno, non era altro che l’anticipazione delle violenze e ingiustizie future. Egli aveva visto bene che dietro tutto quel movimento rivoluzionario si nascondevano i disegni della massoneria che impadronendosi oggi dei suoi Stati, ben presto avrebbero minacciato l’intera Europa. Infatti quella violazione delle norme più elementari del diritto internazionale, che ora stava danneggiando il suo Regno, avrebbe spianando la strada a regimi basati sulla forza , la corruzione e sulla violenza, anziché sul consenso dei popoli.
Fu profeta che aveva guardato ben lontano, rendendosi conto dei totalitarismi e massacri, che nel secolo successivo avrebbero trasformato l’Europa e il Mondo in un immenso teatro di violenza e di guerre, e di quelle nuove idee che avrebbero portato tanto male alla stessa Chiesa Cattolica.  Nessuno in quel momento sembrava rendersene conto quanto lui. Solamente il Beatissimo Papa Pio IX si rese conto di questa grave ingiustizia, e cercò di intervenire per aiutare il giovane Re, ma egli stesso rimase inascoltato. Ormai i grandi dell’Europa erano per la maggiore soggiogati dalla massoneria, che ben presto avrebbe fatto sentire la sua mano pesante ad altri imperi e altri regni.Alla fine visse questo evento, che aveva contrastato con tutte le sue forze per amore della verità e della giustizia, con serenità e pace. Uomo mite e semplice, non pensò mai ai suoi interessi personali o alle ambizioni, ma solamente al bene della sua gente. Certe scelte fatte, da taluni criticate, non furono frutto di paure o scrupoli, ma solamente per non portare sofferenza al suo popolo. Quando quel popolo si oppose alla colonizzazione del proprio paese, egli non mancò di sostenerlo e difenderlo. Ma dinanzi alle disparità della forza e alla sofferenza della sua gente, preferì l’esilio e la povertà, ma non abdicò mai ai suoi doveri di Re e di Sposo del suo popolo.Seppure era stato reso povero da quei malvagi che l’avevano ingiustamente detronizzato, seppe vivere sempre con dignità nel suo esilio, e all’occasione non mancava mai di soccorrere il suo popolo ridotto anch’esso in povertà. “Tutte le lacrime dei miei sudditi ricadono sopra il mio cuore… io sono Re, e come tale io debbo l’ultima goccia del sangue mio e l’ultimo scudo che mi resta ai popoli miei”. E questo programma lo realizzò fino alla fine. Proprio in occasione del terremoto che si abbatté nella città di Torre, poco lontano da Napoli, egli attraverso il Cardinale di Napoli, il venerabile Sisto Riario Sforza, che ha sempre avuto affetto e venerazione per il giovane Re,  fece giungere alle popolazioni colpite la sua carezza di padre, e il suo aiuto economico. E al popolo meridionale, ormai condannato da quella “falsa annessione al Regno d’Italia dei Savoia”, ad essere o brigante o emigrante, non mancò mai di rivolgere parole di speranza e di amore. Egli era accompagnato dalla consapevolezza che le usurpazioni non sono eterne, e che Dio avrebbe prima o poi fatto giustizia. E con la passione e l’amore di un vero Re, che aveva sposato il suo popolo nella buona e nella cattiva sorte, anche da lontano continuò a interessarsi della sua gente, particolarmente nei momenti di bisogno, e qualsiasi meridionale si presentava da lui veniva accolto con affetto, e non ripartiva mai a mani vuote.Gli ultimi anni della sua vita li trascorse ad Arco di Trento, sempre sobrio ed umile, disponibile verso la sua gente e verso chiunque. Mai alcuna parola di biasimo o di rancore dalla sua bocca, ma sempre parole di pace e di incoraggiamento. Lontano da ogni vanità , mai si è lasciato vincere dalle illusioni. Aveva conservato il titolo di Duca di Castro, ma tutti ad Arco lo conoscevano come “il signor Fabiani”. E con serenità e umiltà, da vero gentiluomo, ogni mattina si recava alla Santa Messa e poi sedeva ad un bar per fare colazione e leggere i giornali. Ogni sera poi era sollecito a recarsi presso la Chiesa della Collegiata per la recita del Santo Rosario. Le sue giornate erano accompagnate dalla preghiera e dalla carità. 
Francesco II di Borbone delle Due Sicilie lascia alla storia un nome, che le iniquità e le calunnie non possono oscurare. È stato uomo di grande spessore, e ne è prova il suo ricco epistolario, il suo diario, e la memoria di chi gli è stato vicino fino alla fine. Ci troviamo realmente dinanzi alla figura di un vero Re e un vero cristiano, dal profilo morale, umano, spirituale, intellettuale , di altissimo rigore. E così come è vissuto, alla stessa maniera: “Con l’anima serena dell’uomo giusto, con gli occhi estaticamente rivolti alla visione di quel sereno cielo che lo vide nascere, è morto il Re adorato, l’ultimo vero Re”. Era il 27 dicembre 1894, festa di san Giovanni evangelista.Matilde Serao, giornalista napoletana liberale e non certamente “borbonica”, nella sua onestà professionale così scrisse di lui:          «Don Francesco di Borbone è morto, cristianamente, in un piccolo paese alpino, rendendo a Dio l'anima tribolata ma serena. Giammai principe sopportò le avversità della fortuna con la fermezza silenziosa e la dignità di Francesco II. Colui che era stato o era parso debole sul trono, travolto dal destino, dalla ineluttabile fatalità, colui che era stato schernito come un incosciente, mentre egli subiva una catastrofe creata da mille cause incoscienti, questo povero re, questo povero giovane che non era stato felice un anno, ha lasciato che tutti i dolori umani penetrassero in lui, senza respingerli, senza lamentarsi; ed ha preso la via dell'esilio e vi è restato trentaquattro anni, senza che mai nulla si potesse dire contro di lui. Detronizzato, impoverito, restato senza patria, egli ha piegato la sua testa sotto la bufera e la sua rassegnazione ha assunto un carattere di muto eroismo... Galantuomo come uomo e gentiluomo come principe, ecco il ritratto di Don Francesco di Borbone».Questa è la forza dei grandi, essere veri cristiani e santi, saper andare incontro a Dio con animo retto e serenità, dopo aver vissuto con dignità e onore, generosità e amore, ricco di misericordia. Questo è stato Francesco II di Borbone delle Due Sicilie, un vero Re, un grande uomo, un vero napoletano, un grande Santo.Per questo lo ricorderemo sempre nella preghiera, e ci rivolgeremo a Lui, che dal cielo ci guarda e ci sorride.