La riscossa del Sud

13 marzo del 1861 la Real Cittadella di Messina si arrendeva


Messina, bella citta della Sicilia, è stata, insieme con quelle di Gaeta e di Civitella del Tronto, l’estrema  resistenza del millenario Regno delle Due Sicilie, dove i soldati  meridionali pur sapendo della inutilità di ogni sforzo cercarono di  difendere la propria Patria esprimendo fedeltà a Francesco II di  Borbone.
A  difesa dell'indipendenza, i circa 5000 soldati della Fortezza della Reale Cittadella di Messina, che risultò imprendibile ai garibaldeschi invasori, decisero di continuare   con coraggio e determinazione la difesa della nostra Patria, l'Indipendenza del nostro Popolo, la Libertà e la Dignità della nostra Gente. Furono sostenuti dal loro ufficiale, il generale Fergola che comanda il forte, e che ha un cuore patriottico perfettamente corrispondente a quello dei suoi uomini.Caduta Gaeta, dopo ben sette lunghi mesi di isolamento, gli eroi di Messina sentono che è il momento della loro prova, e con coraggio continuano a difendere la loro fortezza, senza temere le minaccie e le angarie del vile criminale Cialdini, generale piemontese, che già come a Gaeta, così a Messina, usa ogni mezzo, seppure illecito e ignominioso, per vincere la battaglia, e non furono risparmiate cannonate dal vile  piemontese, non soltanto contro i valorosi soldati, ma anche sui tanti civili ricoverati nella Fortezza, donne e bambini, che vedevano in quei giorni finire tragicamenta l'indipendenza della loro Patria.Dopo una eroica, ma impossibile resistenza, il 13 marzo del 1861 la Real Cittadella di Messina si arrendeva alle truppe piemontesi del Gen. Cialdini, il quale boriosamente entrando nella cittadella proferisce novelle minacce facendo arrestare immediatamente gli ufficiali rei di aver difeso l'onore della loro Patria e dichiarando prigionieri i bravi soldati duosiciliani.L'ottuso e poco galantuomo ufficiale piemontese non concesse neppure l'onore delle armi ai vinti che avevano fatto il loro dovere fino alla fine ed anzi al momento della resa respinse sdegnosamente la spada dell'anziano Gen. Fergola e gli disse in francese: ´Vous n'ètès pas des italiens, Je vous cracherais sour le visage ...! (Vi sputerei in faccia). Un comportamento degno di una belva criminale, qual'era il bomardatore di Gaeta, da lì a poco il mandante dell'eccidio di Pontelandolfo e Casalduni, e di tanti altri paesi del Regno conquistato con la violenza e  il terrorismo.Ai nostri eroi silenzio e oblio, mentre al criminale Cialdini onore e strade intitolate, e ora ancora si vogliono tributargli onori al suo paese natale, Castelvetro di Modena, invece di riflettere che è una vergogna aver dato i natali ad una simile belva, bisognerebbe sentire la stessa vergogna di quelle città dove nacquero i criminali di guerra nazisti.
Ma a 148 anni dall'eroica resistenza molti compatrioti si sono ritrovati a Messina il 14 e 15 marzo per commemorare i nostri eroi, per ricordare la vergognosa azione dell'usurpazione piemontese, per dire ancora che a questa unità italiana raggiunta con la violenza, l'ingiustizia  e la corruzione noi diciamo no.
E' stata una bellissima manifestazione, dove non è mancato un tributo anche a Re Ferdinando II, nel 150° anniversario della sua morte . A tutti i compatrioti sicialiani un grazie per queste bellissime giornate, che ancora ci danno la possibilità di far memoria della nostra storia, ma anche per riflettere sul nostro futuro. E ritrovarci sempre uniti attorno a quell'ideale che fu dei padri nostri, per riscatatre dall'usurpazione la nostra libertà.Discorso del generale Fergola alla truppa"Uffiziali, Sottouffiziali e Soldati, è questo l'ultimo ordine che io vi rivolgo, e la mano mi trema nel vergarlo. Allorchè presi il comando di questa Fortezza e di voi tutti, sacro giurammo di difendere fino agli estremi questo interessante sito fortificato che la Maestà del Re (N.S.) aveva affidato al nostro onore e alla nostra fedeltà. Avete ben veduto che tutti abbiamo mantenuto il giuramento, serbando fedeltà, attaccamento e devozione al nostro amatissimo sovrano Francesco II. Immensi sono stati gli sforzi che per lo spazio di cinque giorni si son fatti colle nostre artiglierie per distruggere i lavori di attacco che il nemico costruiva sulle alture della città di Messina ed in altri siti ancora, ma poco effetto à provocato il nostro fuoco, sí perché quasi tutti i lavori erano al di là della portata delle nostre artiglierie, sí perché altri trovavansi mascherati da casamenti ed oggetti occasionali. Quindi l'inimico profittando di tali suoi vantaggi à compiuto inosservato la maggior parte dei suoi lavori. Poco dopo il mezzo giorno di oggi e precisamente quando estenuati di forze prendevate un po' di ristoro, à aperto simultaneamente un fuoco formidabile contro questa Real Cittadella, che l'à ridotta in poche ore nello stato in cui si ravvisa, ad onta di quella resistenza che si è potuta fare colle nostre artiglierie di una portata molto inferiore a quella delle sue. Veduto dunque che inutile si rendeva qualunque altro nostro mezzo di difesa, e che eravamo a causa dello incendio sviluppatosi minacciati da una sicura esplosione della gran polveriera Norimbergh e suo magazzino attiguo anche pieno di polvere, se non vi si apportava un pronto rimedio, è chiesta per ben due volte per mezzo di parlamentari una tregua al nemico per la durata di 24 ore. Ma vedendo egli di quanto aveva col suo fuoco prodotto di danno e della trista posizione in cui eravamo, à rigettato la mia domanda, e mi ha fatto sentire che dovevamo renderci a discrezione, e che se a tanto non divenivamo e non gli si dava risposta decisiva per le ore 9 della sera, avrebbe riaperto il fuoco con l'aggiunta di altre batterie che ancora non erano punto a vista della fortezza. In tale stato di cose, riunito il consiglio di difesa e sentitone anche il parere, è stato forza sottoporci a quanto il nemico imponeva. Quindi mio malgrado e vostro, domani la Piazza sarà resa. Cosí non avrei giammai ceduto, ma gli incendi che seco noi minacciavano 1000 e piú tra donne e fanciulli mal ricoverati, e che vi si appartengono, e la nostra eccezionale posizione, perché le potenze europee àn permesso una aggressione non mai letta nelle istorie, e noi da chicchessia sperar non potevamo soccorso di sorte, mi ànno obbligato a cedere. Cediamo alla forza perché sopraffatti dalla superiorità dei mezzi e non dal valore dei vincitori. Certo che la nostra resistenza non avrebbe salvata la Monarchia, sagrificata con la resa di Gaeta; non ci restava che salvar solo l'onore militare e nazionale: e mi lusingo che lo stesso nemico ci farà giustizia di concedercene l'orgoglio, come spero che voi me la farete: nel convenire d'aver visto con voi fino all'ultimo i disagi, le privazioni, ed i pericoli. Un dovere però mi resta a compiere ed è quello di esternare a voi tutti i miei sentiti e distinti ringraziamenti per aver saputo ognuno cosí bene secondare le mie vedute nel difendere questa Real Cittadella, ove rinchiusi per circa 8 mesi abbiamo dato le piú grandi prove di abnegazione e di fedeltà al nostro Augusto Sovrano Francesco II. Se l'abbiano particolarmente però i signori generali De Martino, Combianchi ed Anguissola, Ten. Col. Recco, Capitani Lamonica, Di Gennaro e Lauria; e fra tutti il mio capo di stato maggiore ed Uffiziali dello stesso signor Ten. Col. Guillamat, Capitano Cavalieri e Subalterni Gaeta e Brath. Io vi ringrazio tutti di cuore, poichè tutti avete gareggiato nella difesa della rocca. Accettate tutti vi prego tali miei ringraziamenti che partono da un cuore leale e riconoscente. Miei bravi compagni d'armi, nella mia lunga carriera militare di 47 anni ò veduto diverse peripezie non dissimili alla presente, ma però la provvidenza o presto o tardi ha fatto sempre rilucere la sua giustizia quando meno si attendeva, per cui non ci perdiamo d'animo, e confidando in essa auguriamoci giorni piú felici, i quali compenseranno i tristi e dolorosi che abbiamo sofferti. Mi avevo prefisso di porre ai piedi del Real Trono le mie umili suppliche per chiedere alla munificenza Sovrana un compenso speciale al vostro attaccamento, alla vostra sperimentata fedeltà, ma la sorte avversa delle armi me lo à impedito e con dolore mi divido da voi tutti, ma porterò scolpito profondamente nell'anima mia la rimembranza di voi, della vostra fede. Della vostra lealtà, del vostro militare coraggio. Non so quale sarà il mio destino ed il vostro in avvenire, ma se la mia età mi permetterà in seguito potervi rivedere, sarà sempre una vera gioia per me poter stringere la mano a qualcuno dei difensori di questa Real Fortezza, ai quali nè le minacce, nè i pericoli, nè le lusinghe, nè i pravi esempi, nè men la morte seppe far declinare da quella via d'onore che solo è sprone e ricompensa al prode che pel suo Re combatte per vincere o morire. Addio miei bravi camerati! Addio! La sventura ci divide, fede e lealtà fu la nostra divisa, e questa non si spogli giammai da noi, ciascuno di voi porti scolpita in core la nobile parola, che l'univa con nodo indissolubile al nostro sventurato, ma eroico sovrano.                              Gen. Fergola 12 MARZO 1861    ALLA FORTEZZA DI MESSINA